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Dialoghi in corso. Prostituzione: se questo è un uomo

Fonte internet

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Di Monica Lanfranco by MicroMega

Mentre sono ancora senza nome due delle tre donne trucidate, presumibilmente, dal feroce De Pau a Roma, donne che spesso sono definite ‘invisibili’ (come milioni di prostitute sul pianeta), manca qualcosa nella dolorosa analisi diffusa della violenta relazione tra i sessi quando parliamo di compravendita del corpo femminile.

Mentre sono ancora senza nome due delle tre donne trucidate, presumibilmente, dal feroce De Pau a Roma, donne che spesso sono definite ‘invisibili’ (come milioni di prostitute sul pianeta) mi sembra che manchi qualcosa nella dolorosa analisi diffusa della violenta relazione tra i sessi quando parliamo di compravendita del corpo femminile.

Ricordo che, nella faticosa elaborazione del numero 6/2020 di Micromega dedicato alla prostituzione si ragionò con la collega e amica Cinzia Sciuto sull’ipotesi di chiedere a qualche uomo di scrivere come cliente della prostituzione, a  condizione che l’articolo fosse firmato, non anonimo o con pseudonimo: ogni autrice che partecipava a quel numero della rivista, infatti, si firmava con nome e cognome e si assumeva la responsabilità della sua visione, quale che fosse, sull’argomento.

Ovviamente non si trovò nemmeno un ‘cliente’ (“Il cliente” è anche il titolo dello storico testo inchiesta sulla domanda di prostituzione di Maria Rosa Cutrufelli uscito nel 1981) disposto, come si suol dire, a metterci la faccia.

Ma va saputo che sono migliaia gli uomini che ‘recensiscono’ corpi di donne e prestazioni come prodotti qualsiasi e si danno consigli e indicazioni nei siti e sui social dedicati: ne emerge un panorama umano pervaso di disprezzo, svilimento e cinismo verso le donne difficile da sopportare. Questi uomini hanno madri, sorelle, amiche, mogli, colleghe e figlie: eppure, a leggere i commenti triviali e sporchi sembrano inconsapevoli che i corpi che comprano, solo in virtù del potere che dà loro il denaro, sono uguali a quelli di qualcuna dalla quale poi tornano, alla quale hanno detto, o dicono, ti amo.

Quanto c’è di patologico in questa scissione tra ciò che si vive, si prova, si agisce e si rappresenta di sé, nel mondo e nelle relazioni?

Quasi dieci anni fa, prima dell’esplosione ormai incontenibile e pericolosa dei social, dove minorenni possono offrire prestazioni sessuali senza controllo e sicurezza, la blogger Ricciocorno schiattoso illuminò in tutta la sua dimensione di agghiacciante normalità diffusa, trasversale per età, condizione economica e sociale, la cultura maschile misogina dello stupro a pagamento (come lo definisce la sopravvissuta Rachel Moran), del sito Gnoccatravel, luogo mostruoso dove ottimi lavoratori e padri di famiglia sono presenti in massa.

Ma attenzione: non troverete mai un nome e cognome di questi uomini. Mai.

Sono la razza padrona degli ‘utilizzatori finali’, quelli che sottolineano come sia un loro diritto comprare donne, pretendendo lo sconto nella giornata Black Friday del 3X2 (non è uno scherzo, esiste); sono quelli che si lamentano per i servizi che talvolta giudicano ‘svogliati’ da parte di ragazze, magari minorenni, poco esperte; quelli che rivendicano un potere politico (reale) da mettere in campo come lobby affinché i casini riaprano e si possa fare la fila anche in Italia, finalmente! (in pausa pranzo, o prima di tornare in famiglia a sera) nei grandi bordelli legali come avviene in Germania, Austria e Svizzera.

Rivendicano, alzano la voce, sbraitano di diritti di chi paga, ma non si firmano.

Invocano riservatezza. Strano: se non c’è nulla di male e illegale, come dicono, dal momento che ‘pago per un servizio’, come mai questo riserbo? Di che vergognarsi?

La vergogna, del resto, non è forse un sentimento che riguarda la merce, ovvero le donne che questi uomini consumano per le loro eiaculazioni da pausa pranzo o weekend?

Proprio alla vigilia del 25 novembre, a chiosa considerata ‘culturale’ degli articoli di cronaca sugli efferati femminicidi di Roma La Stampa ha pubblicato un pezzo con velleità letteraria di uno scrittore che, fortunato lui, è stato per anni avventore del bordello romano teatro della mattanza.

Si firma Patrizio Bati, ma non è il suo vero nome. Nel suo profilo autoriale (ha pubblicato per Mondadori il libro Noi felici pochi) si legge: ”Vive e lavora a Roma. Laureato in Legge, è sposato e padre di una bambina di otto anni. Nel suo studio ha un’asta di bandiera, un bonsai di ficus benjamin e una collezione di foto segnaletiche di detenuti americani anni Cinquanta”. L’articolo di Bati, oggetto di una protesta sotto forma di mail bombing alla Stampa proposta dalla Rete per l’Inviolabilità del corpo femminile, ha un pregio enorme: ci mostra in modo inequivocabile come ‘il cliente’ si consideri autorizzato dal contesto sociale, quindi dalla società tutta, a essere dove è e a fare quello che fa.

Il cliente, estensore dell’articolo, descrive pantofole, capelli neri, ombre: un esercizio letterario nel quale manca un dato fondamentale: se stesso. Dà per scontato che chi legge transiti veloce sulla sua presenza in quella situazione, come se tutto ciò che racconta fosse ovvio e regolare. Lui è un uomo, il suo pene ha ‘certe esigenze’, dunque è perfettamente normale che per anni abbia frequentato un bordello.

Ed è proprio questa sua surreale assenza, questo scomparire del suo corpo e del suo potere pagante sulla scena dello stupro a pagamento, che fa pensare che i veri invisibili sono loro, gli uomini, i clienti. Avvocati, professori, impiegati, operai, ingegneri, operatori sociali, sindacalisti, deputati, senatori, giornalisti, calciatori, in una teoria infinita di qualifiche, età, condizioni sociali, provenienze, culture: un esercito di senza nome invisibili e senza coraggio, dietro a pseudonimi malamente presi a prestito da pseudo eroi del fallo che esercitano potere e violenza su una donna, per poco o molto denaro, perché incapaci di affrontare i fantasmi della loro sessualità, preferendo la predazione alla relazione.

Fermarsi a pensare sul loro gesto di compratori, riflettere sui confini e sulle differenze tra desiderio, sessualità e potere vorrebbe dire guardarsi dentro, affrontare paure e fragilità, sarebbe troppo. E poi, perché? Loro, che pure un nome ce l’hanno (ma non a calzoni calati), forse su targhette alle porte degli uffici o biglietti da visita, sono la verità velenosa e invisibile che pervade il mondo e che il mondo autorizza.

Se non affrontiamo questo nodo sarà inevitabile continuare a leggere l’odiosa frase ‘il mestiere più antico del mondo’ riferita alle donne, mentre sono gli uomini senza nome che le comprano, e si sentono autorizzati a fare violenza chiamandolo sesso, la zavorra più antica e tossica che l’umanità ha sulle spalle.

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