UNA QUESTIONE DI CHIAREZZA DI INTENTI NELL’USO DEI FONDI CIS
Ancora una volta, nell’illusione di migliorare le condizioni di vita ed economiche delle persone che insistono a sopravvivere nelle nostre montagne, gli amministratori locali rischiano di favorire, crediamo inconsapevolmente, processi di sfruttamento neo coloniali delle risorse della montagna e del suo territorio.
Il governo con i CIS, e per lui il ministero per il sud e la coesione territoriale, ha stanziato complessivamente 160 milioni di euro per le aree colpite dal sisma del 2016. CIS sta per Contratti Istituzionali di Sviluppo è dovrebbero rappresentare gli strumenti preferenziali per rilanciare l’economia depressa delle aree deboli italiane, come appunto la montagna appenninica delle Marche, Umbria e Lazio, pesantemente colpita dai fattori di sottosviluppo tradizionali (abbandono, invecchiamento della popolazione, recessione economica ecc.) a cui si sono sovrapposti quelli del sisma.
In queste 3 regioni sono stati presentati numerosi progetti dei quali 49 sono rientrati tra quelli finanziabili subito e nelle Marche il finanziamento complessivo è di circa 100 milioni di euro. La prima cosa che salta subito agli occhi è che mentre la maggior parte dei progetti riceveranno finanziamenti variabili tra i 2 e i 5 milioni di euro (solo San Ginesio ha ottenuto 9 milioni di euro), spicca per la sua sproporzione quello del Comune di Sarnano finanziato per ben 29.430.000 di euro, con un progetto per l’intensificazione degli impianti di sci di Sassotetto.
INTOLLERABILE SOSTEGNO A UN’INDUSTRIA FALLIMENTARE
Ora la cosa paradossale non è, ovviamente, la cifra, ma il suo impiego per l’ennesimo tentativo di rifinanziare la vorace e fallimentare industria dello sci, in Appennino, nell’illusione che essa rilanci l’indotto e trascini tutta l’economia della zona. Non sono bastati decenni di bilanci in perdita, di una attività economica che è sopravvissuta a se stessa solo grazie alle continue e massicce iniezioni di soldi pubblici, per convincere i politici che lo sci non è la soluzione ai molti problemi della montagna maceratese, ma semmai è la parte forse più significativa del problema della desertificazione della montagna, ridotta al ruolo di parco divertimenti. Che la neve, complici i cambiamenti climatici, sarà presente sempre di meno alle basse quote in cui insistono gli impianti scioviari maceratesi, ormai lo sanno anche i progettisti del faraonico progetto, pomposamente definito ”Sistema integrato per lo sviluppo dell’entroterra (riqualificazione e ampliamento dei sistemi connessi agli sport invernali ed estivi”), che infatti propongono di realizzare una bella pista di plastica (non c’era fino a prima del Covid un elevato allarme per la perniciosità dell’inquinamento da plastica?) e due nuovi invasi per accumulare acqua per l’alimentazione dei cannoni sparaneve. Alterando così anche gli equilibri di una risorsa sempre più preziosa.
Ma siccome i soldi sono tanti e bisogna pur spenderli allora si è anche pensato di ristrutturare radicalmente alcune strutture ricettive per potenziare la disponibilità dei servizi. Peccato che una di queste è già stata ristrutturata, poco tempo fa, sempre grazie ai fondi pubblici generosamente messi a suo tempo a disposizione, anche se tutto ciò non sembra aver inciso significativamente sulla ripresa economica dell’area, finora. Per non entrare nel merito del progetto, redatto in modo approssimativo, nel tentativo di nascondere i vincoli ambientali presenti ( Parco, Sic ecc.) cercando di presentarlo come addirittura migliorativo e rispettoso dell’ambiente naturale (green come si dice oggi).
DEL TUTTO DIMENTICATE LE ESIGENZE DI RICOSTRUZIONE DELLE COMUNITÀ LOCALI
Ma è inevitabile che sia così perché se i progettisti e i politici si prendessero la briga di andare a studiare un po’ più approfonditamente la realtà del loro territorio e delle vere esigenze della popolazione, scoprirebbero almeno due cose: uno che la maggior parte della popolazione attiva dei loro comuni si dedica all’agricoltura, due che la popolazione attiva è andata negli ultimi decenni velocemente invecchiando, non a causa dell’abbandono a seguito del terremoto, ma per la brutale decurtazione dei servizi e delle infrastrutture necessarie per il vivere civile, che ha fatto fuggire specialmente i giovani. E tale situazione non è diversa se nel comune c’è l’industria dello sci, come a Sarnano, oppure no come ad esempio ad Amandola o a San Ginesio. Ciò significa che il turismo mordi e fuggi che si vuole potenziare, non è quello che fa la differenza, ma altri sono i fattori strutturali sui quali bisognerebbe rapidamente incidere. Siamo fermamente convinti, come CAI, che i soldi che arriveranno, non incideranno minimamente sulle reali condizioni di sottosviluppo del territorio montano della nostra provincia, che per lo più andranno in gran parte a beneficiare i progettisti e le imprese che realizzeranno gli impianti, e ben poco rimarrà poi a beneficio futuro della popolazione locale. Sarà proprio un caso che per realizzare qualche tappeto di plastica, mettere qualche cavo sospeso tra due picchi, ristrutturare qualche skilift e qualche baita, fare qualche piazzola da campeggio, anche se pomposamente la vogliamo chiamare “glamping”, si siano mossi importanti progettisti dalle grandi città del nord? Il rischio che si intravede allora è che si tratti ancora una volta dell’ormai vetusto modello colonizzatore della montagna, aduso ad appropriarsi di ogni residua risorsa lì disponibile, lasciando poi sul territorio, finiti i soldi, i simulacri arrugginiti di tali realizzazioni, come quelle che già tristemente da molto tempo fanno mostra di sè, sui versanti e le creste dei Sibillini.
OCCORRE SALVARE IL PATRIMONIO CULTURALE E AMBIENTALE DELLA MONTAGNA
Il vero patrimonio che nessuno vede, ma che è presente in tutta la fascia pedemontana marchigiana dei Sibillini è invece il paesaggio rurale e i suoi centri abitati; l’agricoltura è la vera ricchezza che andrebbe potenziata e sulla quale bisognerebbe massicciamente investire per trasformare le poche aziende ormai invecchiate, in centri di produzione di eccellenza gestiti da giovani preparati, acculturati, profondamente motivati a vivere “bene” a casa loro. I tristi fatti di questi giorni hanno drammaticamente evidenziato come il nostro sistema agroalimentare sia fortemente dipendente, fragile ed inquinante. Le risorse come l’agricoltura e l’acqua che la montagna ancora custodisce, sono la vera ricchezza, oggi e sempre più nel futuro, e lì bisognerebbe volgere tutti gli sforzi e gli investimenti per un nuovo modello di produzione e di sviluppo integrato sociale e rispettoso dell’ambiente. E oggi agricoltura sostenibile significa anche turismo i cui proventi però, finirebbero direttamente nelle mani dei produttori, della gente del posto e non esportati fuori dal territorio nelle mani di speculatori e avventizi.
UNA RIFLESSIONE SULA IRREVERSIBILITÀ DEL PROGETTO
Nell’area in cui si sono sviluppati negli ultimi anni gli impianti di risalita era già emerso con evidenza l’impatto delle alterazioni fisiche introdotte con la costruzione delle strutture a servizio dei sistemi di risalita, le modifiche introdotte per garantire il funzionamento della neve artificiale (invaso, scavi per il collegamento con i cannoni, accumulo degli additivi nel terreno irrorato), cabine ed accessori vari.
Ora il progetto prevede un ammodernamento e un incremento degli impianti (sia l’uno che gli altri si realizzeranno con nuovi lavori di scavo e di cementificazione), una moltiplicazione delle piste, un inserimento di ulteriori elementi artificiali su nuove superfici (pista di plastica, rotaia per il bob, ampliamento degli edifici esistenti, nuova viabilità e nuove aree di parcheggio.
In sintesi si tratta di un’enorme area di urbanizzazione che decreterà un’alterazione irreversibile delle superfici di prateria ancora presenti all’interno del comprensorio sciistico e quindi una perdita definitiva della possibilità di mantenere e recuperare praterie appartenenti all’Habitat 6210. Da considerare che gli Habitat mantengono il loro valore ambientale prioritario di conservazione anche se si trovano al di fuori del perimetro della Rete Natura 2000.
PER CONCLUDERE
Riteniamo che sia ancora possibile rivalutare come utilizzare le risorse che oggi sono disponibili, che non dovrebbero essere sprecate in operazioni di dubbia efficacia. É indispensabile riflettere sul fatto che questi soldi non vengono dal cielo, ma sono debito e quindi ci vengono prestati dai nostri figli e dai nostri nipoti, che hanno il diritto a non veder depredato il proprio futuro ambiente di vita per l’avidità di alcuni oggi.
La Alleanza della Associazioni Ambientaliste Marchigiane di: Club Alpino Italiano, Federazione Pro Natura, Gruppo di Intervento Giuridico, Italia Nostra, Lega Abolizione Caccia, Lega Anti Vivisezione Legambiente, Lipu, Lupus in Fabula, Salviamo il Paesaggio, WWF.
ADERISCONO:
Con in faccia un po’ di sole, Associazione E quindi il monte, Università del Camminare, APS Monte Vector, Officina Giovani, l’Occhio nascosto dei Sibillini, Gruppo Borghi e Sentieri della Laga, Fermiamo il consumo di suolo SBT –
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