Concerti e sconcerti. Cronache musicali (1915-1919)
Antonio Gramsci
A cura di Fabio Francione e Maria Luisa Righi
Musica
Mimesis
2022
Pag. 168 euro 16
Valerio Calzolaio
Torino. 1911-1921. Il gracile sardo Antonio Gramsci (1891-1937) riuscì a frequentare l’università a Torino vincendo una borsa di studio. Divenne presto un militante attento a ogni sommovimento sociale, assiduamente impegnato nel Partito Socialista. Studiava linguistica, era colto e curioso, scriveva molto bene, iniziò a fare il giornalista sulle pagine cittadine del settimanale Grido del popolo e del quotidiano Avanti, ben diffusi fra studenti e operai. Sfido ogni giornalista presente a dichiarare di non aver voluto scrivere (almeno agli esordi) anche di quel che seguiva (privatamente o meno) di vitale nel campo delle arti e degli spettacoli! Gramsci venne assunto nel dicembre 1915 e fu “usato” frequentemente come cronista teatrale (titolare della rubrica “Teatri”, una passione fin dal liceo cagliaritano), lo si sapeva da oltre mezzo secolo. Gramsci fu pure abituale cronista musicale, finora non lo si sapeva proprio, meglio impararlo. Non firmò quasi mai i suoi articoli, che comparivano perlopiù anonimi; né pubblicò mai una loro antologia, ovviamente. Tutti i volumi già usciti che portano il suo nome sono raccolte di “attribuzioni” postume ovvero di articoli che altri, studiosi operanti molti anni o decenni dopo la sua morte, hanno ritenuto scritti da lui, sulla base di diverse considerazioni: notizie sulla biografia, contenuti e stile espositivo, corrispondenza con testi sicuramente suoi (come le Lettere dal carcere e i Quaderni del carcere), testimonianze di collaboratori e compagni di lotta. Per alcuni articoli gli elementi che riconducono a Gramsci sono molteplici e inequivocabili; in altri casi appaiono più labili e sfumati, hanno dato o possono dar luogo a controversie. La maggior parte dei testi di argomento musicale non gli erano mai stati attribuiti e, comunque, non erano mai stati pubblicati. Che piacere leggerli!
È in corso la pubblicazione nazionale ufficiale degli scritti di Antonio Gramsci, posta sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica nel 1990, istituita dal Ministero per i Beni culturali e ambientali con un decreto del 20 dicembre 1996, edita dall’Istituto della Enciclopedia italiana dal 2009. Dopo che fu nominata la commissione scientifica e fu stabilito l’articolato piano dell’opera (lunghi studi preliminari e lenta pubblicazione), nel 1998 fu approvata una ripartizione in sezioni (ognuna con una pluralità di volumi, in parte pubblicati, in larga parte ancora in elaborazione) con le seguenti denominazioni: Scritti 1910-1926; Quaderni del carcere 1929-1935; Epistolario 1906-1937. I volumi 1910-1916 e 1917 sono già stati pubblicati nel 2019 e nel 2015, non ancora ii successivi. I testi qui presentati in ordine cronologico sono 47 del 1915-1916, 18 del 1917 e 18 del 1918-1919, 83 in tutto e, per quanto riguarda pochi del periodo 1915-1917 e quelli 1918-1919, sono dunque attribuzioni non ancora pienamente ufficiali, seppur motivate e molto probabili. Gli “sconcerti” del titolo risalgono al pezzo del 17 maggio 1916 su un concerto pianistico che titillava i nervi, variamente. Mentre una scelta degli articoli “teatrali” (definiti “cronache” da Calvino, non vere recensioni) era apparsa già nei primi volumi dei Quaderni, mai era state selezionate le cronache musicali (spesso brevissime) di opere, operette, concerti, balletti e vaudeville, probabilmente per il pregiudizio che Gramsci avesse un cattivo rapporto con la musica. Non era così: l’ottima approfondita introduzione di Maria Luisa Righi affronta le conoscenze musicali gramsciane, biografiche ed epistolari (specie rispetto alla compagna violinista Giulia Schucht, madre dei loro figli): mai nelle argomentazioni di Gramsci si coglie una gerarchia tra le forme artistiche o una svalutazione della musica. All’epoca l’ascolto della musica sinfonica e operistica era possibile solo assistendo alle esecuzioni dal vivo, cosa che Gramsci fece spesso e volentieri, con sincero godimento estetico e critica curiosità sociale (grazie alla nota influenza di Rolland), per quanto dal 1915 si trattasse di spettacoli in tempo di guerra. L’altro curatore è Fabio Francione, che firma pure la breve postfazione. In appendice gli indici dei nomi e delle composizioni.
v.c.
Recensione Per terre e per mari
Per terre e per mari. Quindici migrazioni dall’antichità ai nostri giorni
Massimo Livi Bacci
Storia
Il Mulino Bologna
2022
Pag. 212 euro 18
Valerio Calzolaio
Da tremila anni a questa parte. Per il Mediterraneo, per altri bacini e per ogni terra del mondo occidentale. La migrazione è un fenomeno fisico sociale politico, la cui intima sostanza non è molto cambiata nei millenni; un fenomeno difficilmente classificabile, per la varietà delle motivazioni, delle selezioni e delle modalità con cui avviene; per l’intermittenza del suo fluire nel tempo; per la molteplicità delle circostanze che lo accompagnano; per convenienze e conseguenze che determina. Duemila anni fa Seneca (esiliato in Corsica dall’imperatore Claudio) aveva già capito tantissimo (certo più dei decisori politici attuali): per lui il mondo conosciuto era già da tempo un crogiolo di etnie, culture e lingue, conseguenza della stratificazione storica delle migrazioni; un mondo di migranti mossi dalla natura umana e per mille spinte concrete lungo vie spesso impervie e ignote, assicurando a tutti (anche a chi non migra) il rinnovo e il ricambio delle società. Possiamo esaminare quindici episodi di migrazione, storicamente e geograficamente determinati, diversissimi per luoghi e tempi, moventi o modi o effetti, raggruppati a seconda del grado di libertà individuale che ha informato la scelta di migrare (termini oculati e scelta saggia). Per spostare intere etnie da un capo all’altro dell’impero bastava un cello dell’Inca in Perù, o una decisione del Politburo in Unione Sovietica, ma per insediare il continente nordamericano occorsero milioni di decisioni individuali. Le migrazioni poste in atto dall’attività militare di Roma furono di soli uomini, le filles du roi furono solo donne, i tedeschi reclutati da Caterina la Grande solo famiglie, i Goti e i Longobardi e altre etnie barbariche interi popoli. I Greci ápoikoi nel Mediterraneo erano poche migliaia, la migrazione transoceanica riguardò decine di milioni di persone. I migranti stagionali in Europa coprivano distanze ridotte, gli haitiani vittime di disastri hanno viaggiato su e giù per un intero continente.
Il grande demografo Massimo Livi Bacci (Firenze, 1936) realizza uno splendido nuovo testo, intelligente nella concezione, multidisciplinare nel contenuto, godibile nello stile. Non un’impossibile storia di tutte le migrazioni umane, non un improbabile campione globale sistematico, piuttosto occasioni di riflessione comparata sul fenomeno antico e ubiquo della nostra capacità di migrare (sempre e ovunque), “qualità istintuale connaturata agli esseri viventi” (come opportunamente sostiene l’autore, forse poteva aiutare qualche riferimento alla biologia evolutiva), “fattore di ricambio e rinnovo delle collettività” capace di influenzare le decisioni di governo (e qui forse poteva aiutare la definizione del fenomeno come diacronico e asimmetrico). Le prime storie riguardano l’antichità euromediterranea: le colonie di città greche almeno dall’VIII al VI secolo a.C.; l’estensione del mondo romano soprattutto tramite selezione di veterani (delle tante guerre) guidati dallo Stato centralizzato; la pressione dei popoli germanici sulle frontiere dell’impero a partire dal III secolo. Seguono storie di migrazioni forzate politiche, in tutto o in larga parte: volutamente non la già trattata deportazione degli schiavi, bensì i tre casi dell’impero Inca nel XV e XVI secolo, dell’impero ottomano al tramonto (da poco più di un secolo fa), dell’Urss negli anni della seconda guerra mondiale. Poi le storie di migrazioni forzate a seguito di “misfatti della natura”, in tutto o in larga parte: le siccità (in particolare la Grande Seca del 1877-1879 nel nord-est brasiliano e il Dust Bowl in almeno tre stati americani negli anni Trenta del Novecento), i disastri geomorfologici e climatici (come ad Haiti il terremoto del 2010 e l’uragano del 2016), le carestie alimentari conseguenti a “malattie” negli ecosistemi (come la distruzione della patata in Irlanda tra il 1845 e il 1850, causa peronospora). Fra le migrazioni più libere la distinzione essenziale è fra quelle organizzate (le giovani donne inviate dalla Francia al Québec dal 1663 al 1673; i tre secoli del Drang nach Osten, la germanizzazione dell’est europeo; la colonizzazione della valle del Volga operata da Caterina la Grande tra il 1674 e il 1767) e quelle più individualmente libere, a ondate da contesti impoveriti o verso nuovi mercati del lavoro, sia internazionali che nazionali. Qualche mappa, un colorato inserto iconografico, buon apparato di note, indici dei luoghi e dei nomi.
v.c.
Recensione Morte e vita di Bobby Z.
Don Winslow
Morte e vita di Bobby Z.
Traduzione di Alfredo Colitto
Noir
HarperCollins Milano
2021 (orig. 1997, prima ed. it. Einaudi 2013)
Valerio Calzolaio
3
California del Sud e Messico. Metà Novanta. Il modo in cui al giovane detenuto (a San Quentin) Tim Kearney capita di diventare il leggendario Bobby Z è questo: affila come un rasoio la targa di un’auto e la usa per tagliare la gola a un gigantesco Hell’s Angel soprannominato Stinkdog (che gli aveva ordinato di entrare nella Fratellanza Ariana), procurando a quello una morte istantanea e a un agente della Dea di nome Tad Gruzsa un’istantanea felicità. Tim è una testa calda, sfigato ladro 27enne condannato a un periodo di ferma nei Marines e congedato con disonore, di nuovo arrestato per un furto ridicolo. Ora l’accusa di omicidio renderebbe probabile la pena dell’ergastolo e l’identità della vittima farebbe di lui, dopo l’isolamento iniziale, un uomo morto in qualsiasi carcere della California. Tad è contento perché può concretizzare l’idea maturata causa la somiglianza di Tim con un trafficante di droga scomparso: liberarlo se proverà a farsi passare per Robert James Zacharias, Bobby Z, gran surfista, precoce spacciatore di erba, poi ricco trafficante di gran qualità, capace di ben nascondere volto e aspetto. Il più grande signore della droga del Messico settentrionale tiene prigioniero un ottimo agente americano ed è disposto a scambiarlo con il compagno d’affari Bobby Z, che recentemente si era costituito alla Dea in Thailandia, malato come un cane e presto morto per infarto, pare. Tim è costretto ad accettare, lo addestrano nella pericolosa parte da interpretare, la piccola cicatrice di una Z in fronte, le storie raccolte nel relativo fascicolo, i legami più o meno noti. Lo scambio non comporterà vita certa e tranquilla, ma almeno eviterà l’incipiente tragica morte. Tim prova a diventare Bobby Z e inizia una mirabolante violenta avventura, tra deserti e mari, nuovi complicati amori e ingenti ambiti denari, bugie e vendette.
“Morte e vita di Bobby Z.” è il primo affascinante romanzo di successo di Don Winslow (New York, 1953), scritto nei pendolari trasferimenti in treno a Los Angeles e venduto subito a un produttore cinematografico (il bel film con Paul Walker uscirà nel 2007). La narrazione è in terza al presente (un’innovazione significativa rispetto alle prime prove, riuscite ma poco vendute), piena di ritmo ed energia, già incalzante come una sceneggiatura, settantanove velocissimi capitoli in presa diretta. Il protagonista è un perdente cronico, moderno povero abile fuorilegge gentiluomo, per ragioni di trama (dalla morte alla vita, come sintetizza il titolo) non poteva certo divenire un personaggio seriale, tornerà comunque nella meravigliosa raccolta recente (2020) delle sei dettagliate novelle o romanzi brevi, con tutti gli altri protagonisti degli splendidi romanzi dell’autore. Segnalo il crescente rapporto fra Tim e il piccolo Kit, vera favola all’interno della storia di sangue e tradimento. Si tratta di una precisa magnifica scelta di Winslow: l’interpunto; il continuo alternarsi di scene sentimentali e crudeli, ironiche e drammatiche; la sincronia di eventi con relazioni e figure differenti e la loro evoluzione diacronica. La riedizione consente la meritata lettura (o rilettura). Ovviamente, come spiega l’autore, “il jazz è la colonna sonora del noir”.
v.c.
Recensione Nel cuore profondo
Nel cuore profondo
Henning Mankell
Traduzione di Barbara Fagnoni
Romanzo
Marsilio Venezia
2021 (orig. 2004)
Pag. 472 euro 18
Valerio Calzolaio
Isole svedesi e mare Baltico. 1914-1937. Dal 1915 al 1937 Kristina Tacker è stata rinchiusa nell’ospedale psichiatrico vicino a Säter, sono trascorsi dodici anni da quando ha pronunciato l’ultima parola, restando “inaccessibile”. Ormai ha cinquantasette anni e un tempo era sposata con un uomo di nome Lars, abitavano in un accogliente appartamento di Stoccolma, ne è ancora certa. Nell’autunno 1914 l’ufficiale di marina Lars Tobiasson-Svartman era stato mandato in missione segreta nel Baltico con l’incarico di tracciare nuove rotte con il batimetro, in un tratto marino teatro di scontri tra le flotte tedesca e russa. Su un isolotto desolato fra gelidi abissi conobbe Sara Fredrika e iniziò un’altra storia, di passioni e tragedie. Ecco l’ennesimo imperdibile romanzo, gli umani paesaggi di mare del mitico Henning Mankell (1948-2015), una storia estrema, “Nel cuore profondo”, narrata in terza varia al passato e pubblicata in Italia per la prima volta.
v.c.
Recensione Malacarne
Malacarne
Giosuè Calaciura
Romanzo
Sellerio Palermo
2022 (1° ed. Dalai Baldini Castoldi 1999)
Pag. 209 euro 14
Valerio Calzolaio
Città senza nome (Palermo, più o meno). Un maggio della fine degli anni Ottanta. Nel bunker di un carcere si svolge il maxiprocesso e un risoluto sicario confessa al signor giudice, in modo lucido e logorroico. le proprie violente gesta criminali, descrivendo con delirante ironia da fumetto triviale il contesto sociale e ambientale tra vicoli e mercati, la mafia come acrobatico sfondo; regolamenti di conti, tradimenti, esecuzioni, stragi; vittima dopo vittima, massacro dopo massacro; reclutato marginale nei quartieri popolari, trasferito ricco nel traffico internazionale di droghe. Viene ripubblicato da Sellerio il bel romanzo d’esordio di Giosuè Calaciura (Palermo, 1960), tanti brevi profluvi di parole in capitoli senza soluzione di continuità. S’intitola “Malacarne” ed è narrato in prima persona al passato. Nella postfazione, l’autore ricorda le vicende familiari e personali che lo indussero a cominciare a scrivere da giornalista di cronaca e narratore di fantasia.
v.c.
Recensione Isolitudine
Isolitudine. Scrittrici e scrittori della Sardegna
Laura Fortini e Paola Pittalis
Letteratura
Iacobelli, Pavona di Albano Laziale
2012 (1° ed. 2010)
Pag. 152 euro 12,90
Valerio Calzolaio
Sardegna. Dall’Unità d’Italia. La “letteratura in Sardegna” riguarda non solo le opere di autori nati e vissuti nell’isola, ma anche quelle di autori che in Sardegna sono venuti dall’esterno e hanno scritto su di essa e l’insieme dei testi, compresi giornali e riviste, che nell’isola circolano e/o dell’isola parlano. Nel bel volume “Isolitudine” le due colte studiose Laura Fortini (Roma, 1960; laureata nella capitale, poi all’università di Sassari per almeno un decennio) e Paola Pittalis (Usini, Sassari; laureata a Roma e poi docente in Sardegna) raccolgono quattro storie intrecciate che confermano quanto la letteratura che ha origine in Sardegna abbia arricchito la letteratura italiana tutta: voci di maestre (decisive nel processo di alfabetizzazione e nella nascita della Sardegna moderna, Pittalis), figure di stranieri (ricorrenti nei testi del premio Nobel Grazia Deledda, Pittalis), Salvatore Mannuzzu e la grazia terrena (Fortini), Michela Murgia e le eredità deleddiane (Fortini).
v.c.
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