di Raimondo Giustozzi
Pubblicato anche il libro di Paul Kennedy, Ascesa e declino delle grandi potenze, decimo volume per la collana Geopolitica: capire gli equilibri del mondo, edizione speciale per il Corriere della Sera, su licenza Garzanti S.r.l. Il saggio, pubblicato nella prima edizione nel 1987 e ristampato nel 1989, 1993, 1994, 1999 è un’opera storica che abbraccia un periodo di cinquecento anni per un totale di 784 pagine. La pubblicazione “suscitò un dibattito politico tale da impegnare editorialisti, uomini d’affari e di governo, fino a caratterizzare, sia pure indirettamente, una campagna elettorale presidenziale americana. Una recensione, uscita sulla prima pagina del Book Review dell’autorevolissimo New York Times contribuì non poco a segnalarlo ad un pubblico più vasto di quello degli addetti ai lavori” (Gian Giacomo Mignone, Presentazione, pag. 11, in “Ascesa e declino delle grandi potenze”, di Paul Kennedy, Milano, 2022).
“La guerra in Ucraina è un test sul quale misuriamo la validità delle grandi teorie geopolitiche. Il nesso che Paul Kennedy stabilisce fra potenza economica e capacità militare viene messo alla prova da Vladimir Putin, autocrate che ha impoverito la Russia e ciononostante estrae dal suo suolo e dal serbatoio di un nazionalismo rancoroso risorse sufficienti per le guerre imperiali. D’altra parte l’Occidente rimane kennedyano ad oltranza – sempre con riferimento all’autore di questo saggio – quando pensa di poter perseguire la pace, strangolando l’economia russa con sanzioni economiche. Credere nel primato dell’economia diventa tanto più necessario se hai deciso che non puoi o non vuoi combattere” (Federico Rampini, Prefazione, pag. 8, in “Ascesa e declino delle grandi potenze”, di Paul Kennedy, Milano, 2022).
“Il filo conduttore del libro è il legame tra potenza economica e militare. Quel che conta, per stabilire le gerarchie tra le nazioni, è il rapporto di forza relativo, la velocità di cambio e l’accorciarsi dei vantaggi del numero uno. Anche quando l’impero britannico godeva ancora di una supremazia, la rapidità di ascesa della Germania già lasciava presagire uno squilibrio in costruzione, quindi la premessa di futuri conflitti. Le rivoluzioni economiche e tecnologiche possono alterare in fretta le gerarchie tra nazioni. Accadde quando, nel Cinquecento, apparvero le navi a lungo raggio munite di cannoni. Il baricentro economico si spostò dal Mediterraneo all’Atlantico. Avvenne la stessa cosa quando le navi andavano con i motori a vapore e a carbone. Una rivoluzione tecnologica ha vincitori e vinti, crea squilibri, accelera lo scardinamento di un ordine internazionale inadeguato. Oggi, l’area dell’Indo – Pacifico sta emergendo come il nuovo centro del mondo. E’ una di queste rivoluzioni. L’America ne è consapevole, ma questo non basta a salvarla. Gli Stati Uniti hanno toccato l’apice di grande potenza economica e militare alla fine della seconda guerra mondiale e da allora sono su una traiettoria discendente”.
“Paul Kennedy non riduce tutta la storia dell’ascesa e del declino di una grande potenza alla sola forza economica. Un’economia prospera e sana è una condizione – almeno a lungo termine – per avere una potenza militare tale da dissuadere i rivali. Ma non è l’unica. Altri fattori importanti sono la geografia, il talento dei militari, i sistemi di alleanze, fiducia nelle proprie possibilità, coesione interna e adesione condivisa a determinati valori. Un’attenzione particolare va dedicata alla qualità della classe dirigente. Uno establishment (classe dirigente, detentori del potere economico, sociale e culturale) sclerotizzato, uno Stato iper- burocratico, possono minare le basi di una grande potenza. Accadde nella Cina della dinastia Ming, nel Cinquecento, per colpa di una casta di mandarini (alti burocrati imperiali) tradizionalisti, ostili al mercato e all’impresa, avversi all’investimento militare, capaci di soffocare dall’alto la creatività della società civile. Questi rischi esistono in Occidente così come nelle nazioni autoritarie. L’Occidente – se funzionano gli anticorpi della democrazie e dello stato di diritto – dovrebbe saper eliminare una classe dirigente distruttiva. Nel Cinquecento, la piccola Europa, frammentata in piccoli stati e agitata da conflitti continui, risultò più flessibile e aperta all’innovazione rispetto ai grandi imperi centralistici dell’Oriente (dagli ottomani ai cinesi). Un solo sultano idiota, ricorda Kennedy poteva infliggere all’impero ottomano danni che un papa o un re del Sacro Romano Impero non potevano uguagliare”.
“L’Occidente del XXI secolo, però, sembra aver perso certe capacità d’innovazione politica, e la sclerosi burocratica lo minaccia almeno quando insidia i regimi autoritari. E’ pericolosa anche quella burocrazia che comanda la politica estera americana e controlla il dibattito sulle relazioni internazionali. E’ stata chiamata il Blob, perché è un magma dai contorni indefiniti, bipartisan, capace di penetrare in molti ambienti politici e intellettuali, con appoggi decisivi da parte dell’establishment globalista. Il Blob non si arrende alla ritirata americana e ha imbastito il processo contro il ridimensionamento dell’impero. E’ consolante osservare che le autocrazie sono meno efficaci di quanto appaia. Non hanno i contropoteri come la stampa libera, la magistratura indipendente, l’opposizione parlamentare, da cui arrivano segnali che il governo sbaglia. Per correggere gli errori è più difficile. Questo dovrebbe ispirarci orgoglio per essere occidentali, invece dei sensi di colpa in cui anneghiamo” (Ibidem, pp. 8 – 10).
Un limite del saggio, letto in presa diretta con la guerra in Ucraina, è che è stato scritto (1987) prima del dissolvimento dell’Unione Sovietica (1991). La rivoluzione proposta da Michail Sergeevič Gorbačëv, centrata sulla Glasnost (Trasparenza), Perestrojka (Ricostruzione) e Uskorenie (Accelerazione dello sviluppo economico), per tentare di salvare l’Unione Sovietica e il Comunismo di stato non andò in porto, anzi fu avversata dagli stessi dirigenti comunisti sovietici. Il tentativo durò dal 1985 al 1991. Dopo il dissolvimento dell’URSS è rimasta una sola super potenza mondiale, non solo militare e atomica ma anche economica, gli Stati Uniti d’America. E’ l’inizio dell’unipolarismo, rimesso in crisi, dopo trent’anni circa, dalle scelte di Vladimir Putin che ha scatenato una guerra devastante contro l’Ucraina, rompendo gli equilibri esistenti, violando il diritto internazionale, rivendicando con forza un ruolo che aveva perso con la fine dell’URSS. I risultati al momento possono essere così riassunti: isolamento della Federazione Russa a livello mondiale con tutte le sanzioni economiche messe in campo dall’Unione Europea, allargamento probabile della Nato alla Svezia e Finlandia su richiesta di queste due nazioni che avevano scelto la neutralità per settant’anni. Non mancano le minacce di un conflitto nucleare da parte di Putin e di altri dirigenti della Federazione Russa. Si parla di polverizzare intere città nel giro di pochi secondi. Si fanno discorsi tracotanti, intrisi di nazionalismo rancoroso. Si parla del governo ucraino come di una “banda di drogati”. Si addossa allo stesso le colpe di non aver disciolto sul nascere il Battaglione Azov pieno di nazisti e si sostiene che tutta l’Ucraina sia nazista. L’aggressore, nella narrazione russa, diventa l’aggredito e lo Stato Ucraino, l’aggredito, diventa l’aggressore. E’ il ribaltamento dei fatti storici.
Ritornando al saggio di Paul Kennedy, si può dire che Il libro ha la forza di una trattazione; raccoglie in forma logicamente argomentata conoscenze diffuse, portandole a conclusioni per le quali i tempi sono ormai maturi. Eventi traumatici nella storia dell’imperialismo americano si identificano con la sconfitta in Vietnam, con lo scandalo Watergate. Un’egemonia degli Stati Uniti d’America, fondata sul consenso e sulla capacità di un’autoriforma, risale agli anni di J. F. Kennedy e nella prima fase dell’amministrazione Johnson. L’11 settembre 2001 con l’attacco alle torri gemelle ad opera del terrorismo islamico, la guerra in Iraq e in Afghanistan, la Pax Americana comincia a vacillare, anche con ripercussioni interne agli stessi Stati Uniti. L’instabilità è la regola nelle relazioni internazionali: quello che noi chiamiamo ordine mondiale è sempre stato una situazione tutt’altro che ordinata, ai limiti del caos e dell’anarchia (Ibidem, pag. 9).
Indice del libro
Prefazione
Presentazione
Introduzione
Strategia ed economia nel mondo pre – industriale
- L’ascesa del mondo occidentale
- Gli Asburgo cercano la supremazia (1519 – 1659)
- Finanza e geografia per vincere le guerre (1660 – 1815)
Strategia ed economia nell’era industriale
- Industrializzazione e spostamento degli equilibri mondiali (1815 – 1885)
- L’avvento del mondo bipolare e la crisi delle medie potenze: parte prima (1885 – 1918)
- L’avvento del mondo bipolare e la crisi delle medie potenze: parte seconda (1919- 1942)
Strategia ed economia oggi e domani
- Stabilità e mutamento in un mondo bipolare (1943 – 1980)
- Verso il ventunesimo secolo
Epilogo
Note
Ringraziamenti
Breve riassunto dei singoli capitoli
Il primo capitolo prepara il terreno per quanto segue, esaminando il mondo intorno al 1500 e analizzando i punti forza e quelli deboli di ciascuno dei grandi centri di potenza di quell’epoca: la Cina Ming, l’impero ottomano e la sua propaggine indiana, rappresentata dall’impero Mogol, la Moscovia, il Giappone Tokugawa e l’insieme degli altri stati dell’Europa centro – occidentale. All’inizio del sedicesimo secolo non si poteva assolutamente capire che quest’ultima regione era destinata ad elevarsi al di sopra delle altre. Gli imperi orientali, per quanto sembrassero imponenti e organizzati se confrontati con l’Europa, pativano tutte le conseguenze di un’autorità centralizzata che imponeva uniformità di credo e di costumi, non solo nella religione ufficiale di stato, ma anche in aree come le attività commerciali o la produzione di armi. In Europa non esistevano autorità supreme. Le aspre rivalità tra i suoi vari regni e città – stato stimolarono la costante ricerca di miglioramenti in campo militare. Questi ultimi interagirono in modo vantaggioso con i progressi tecnologici e commerciali che scaturivano anche da questo ambiente competitivo e pieno di iniziative.
Anche se questa combinazione di progresso tecnologico e di rivalità militare manteneva in Europa una situazione di sostanziale e competitivo pluralismo, restava pur sempre la possibilità che uno degli stati in lotta riuscisse ad acquisire le risorse sufficienti per sorpassare gli altri, e quindi dominare il continente. Per circa 150 anni, a partire dal 1500, un blocco dinastico – religioso sotto gli Asburgo di Spagna e di Austria sembrò riuscire in tale intento. Gli altri stati europei tentarono di fermare questa supremazia. L’intero secondo capitolo del saggio dimostra anche una tesi fondamentale. I monarchi d’Asburgo, nonostante le grandi risorse possedute, si impegnarono eccessivamente in continui conflitti e si sbilanciarono militarmente, indebolendo la propria base economica.. Le altre grandi potenze, nonostante avessero subito pesanti perdite in queste guerre prolungate contro gli Asburgo, riuscirono a mantenere l’equilibrio tra risorse materiali e potenza militare meglio dei loro nemici asburgici.
Le lotte tra le grandi potenze, che scoppiarono tra il 1600 e il 1815, vengono trattate nel terzo capitolo. Non possono essere riassunte altrettanto facilmente come una lotta tra un grosso blocco e molti avversari. Fu in questo periodo che, mentre alcune grandi potenze del recente passato, come la Spagna e i Paesi Bassi arretravano in posizione secondaria, emergevano cinque stati principali (Francia, Gran Bretagna, Russia, Austria e Prussia) che giunsero a dominare la diplomazia e le guerre nel diciottesimo secolo in Europa. Questi nuovi stati emergenti scatenarono una serie di lunghissimi conflitti di coalizione, caratterizzati da repentini cambiamenti di alleanze. Già all’inizio del diciottesimo secolo, i costi per mantenere un esercito e una flotta nazionali erano divenuti terribilmente elevati. Il Paese che fosse riuscito a creare un sistema bancario e creditizio avanzato, come fece la Gran Bretagna, avrebbe goduto di molti vantaggi rispetto ad avversari finanziariamente arretrati. Anche il fattore geografico fu di grande importanza per determinare il destino delle grandi potenze. Due nazioni periferiche dell’Europa, la Gran Bretagna e la Russia erano diventate le due potenza più importanti. Entrambe avevano la capacità di intervenire nelle lotte dell’Europa occidentale, pur restandone geograficamente escluse. Iniziarono ad espandersi nel mondo extra europeo. Infine, negli ultimi decenni del diciottesimo secolo, la rivoluzione industriale, ormai avviata in Gran Bretagna, avrebbe permesso a questo Paese di colonizzare territori d’oltre mare e di sventare il tentativo di Napoleone di conquistare l’Europa.
Nel quarto capitolo si descrive il periodo che va dal 1815 al 1885. L’assetto europeo fu caratterizzato da un certo equilibrio strategico, in modo che nessuna singola nazione fosse in grado o avesse intenzione di ricercare la supremazia. Nei primi decenni dopo il 1815, i governi si preoccuparono principalmente dei rispettivi problemi di stabilità interna e, (nel caso della Russia e degli Stati Uniti) dell’ulteriore espansione a livello continentale. Questa scena internazionale, relativamente stabile, permise all’impero britannico di giungere all’apice della sua potenza a livello mondiale, in termini navali e commerciali, mentre raggiungeva il virtuale monopolio nel campo della produzione industriale attraverso l’uso della forza vapore. Nella seconda metà del secolo l’industrializzazione toccò anche altri paesi europei e questo modificò gli equilibri tra le grandi potenze. La guerra di Crimea, la guerra civile americana, la guerra franco prussiana disegnarono la sconfitta di quelle società che non avevano ammodernato i loro apparati militari e che mancavano di una consistente infrastruttura industriale per sostenere gli eserciti enormi e le armi sempre più costose che stavano trasformando la natura della guerra.
Il quinto e il sesto capitolo descrivono l’avvento di un mondo bipolare e la crisi delle “Potenze Medie”. Nonostante i loro intensi sforzi, le medie potenze europee come l’Austria– Ungheria, nonché l’Italia, che era arrivata da poco all’unificazione, restano escluse dalla frenetica corsa delle grandi potenze, dopo il 1880, verso acquisizioni territoriali in Africa, in Asia e nel Pacifico. Solo la Germania, da poco unificata per l’apporto decisivo della Prussia, poteva entrare nel ristretto gruppo della potenze mondiali del futuro. Il Giappone, d’altro canto, intendeva giungere al dominio dell’Asia orientale, ma non oltre. Stati Uniti e Russia stavano conquistando posizioni di spicco, nonostante le inefficienze dello stato zarista. Le dispute coloniali, le crisi internazionali degli anni che precedettero il 1914, gli indici della potenza economica preludevano a mutamenti ancora più radicali degli equilibri globali: la fine di quello che, per più di tre secoli, era stato un sistema eurocentrico. Al termine della prima guerra mondiale l’Austria – Ungheria non esisteva più, la Russia era sconvolta dalla Rivoluzione Bolscevica, la Germania usciva sconfitta. Anche la Francia, l’Italia e la Gran Bretagna avevano sofferto la loro vittoria nella guerra. Le sole eccezioni, tra i vincitori, erano il Giappone e Gli Stati Uniti, il primo rafforzava la propria posizione nel Pacifico, gli USA diventavano, dopo il 1918, la maggiore potenza del mondo. Dopo il 1919 gli USA si chiudevano nel loro isolazionismo, mentre la situazione in Europa diventava sempre più complicata. Gran Bretagna e Francia, per quanto indebolite, erano pur sempre al centro della scena diplomatica, ma già dagli anni trenta del novecento la loro posizione era minacciata dagli stati revisionisti di Italia e Germania ai quali si univa il Giappone, legati tra loro dal Patto Tripartito. La Russia di Stalin si stava rapidamente trasformando in una super potenza industriale. Gli USA rimanevano di gran lunga la maggiore nazione industriale del mondo. La seconda guerra mondiale (1939 – 1945) si concluse con la sconfitta della Germania, Italia e Giappone e si affermò il bipolarismo USA e URSS, due super potenze atomiche.
Gli ultimi due capitoli del libro, il settimo e ottavo, esaminano gli anni in cui effettivamente sembrava esistesse un mondo bipolare economicamente, militarmente e ideologicamente. Questo stato di fatto era rispecchiato a livello politico dalle numerose crisi della guerra fredda. Il fatto che gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica si trovassero in una categoria a parte, parve comprovato anche dall’avvento delle armi nucleari e dei missili a largo raggio. Per tutto il periodo della guerra fredda, il processo di ascesa e caduta delle grandi potenze non è mai finito. Militarmente, gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica hanno conservato il primato finché gli anni Sessanta non hanno lasciato il posto ai Settanta e agli Ottanta. Infatti, poiché entrambi hanno interpretato i problemi internazionali in termini bipolari e spesso manichei, la loro rivalità li ha portati a una continua escalation degli armamenti con cui nessuna altra potenza era in grado di competere. L’Europa si è ripresa dalle devastazioni della guerra e, in veste di Comunità Economica Europea, è diventata il maggior centro commerciale del mondo. La Repubblica Popolare Cinese si sta facendo avanti a velocità impressionante. La crescita del Giappone nel dopoguerra è stata fenomenale (Introduzione, ibidem, pp. 22- 26)
Il saggio, pubblicato nel 1987, non tocca il periodo che va dagli anni novanta del secolo scorso al 2022, trent’anni caratterizzati dall’unipolarismo americano. Scomparsa l’Unione Sovietica nel 1991, Georghi Arbatov (politologo sovietico e russo) osservava che Gorbaciov, l’ultimo Presidente dell’Unione Sovietica, con la fine dell’URSS aveva compiuto l’atto più ostile nei confronti dell’Occidente: “Gli aveva sottratto il nemico”. Un nuovo ordine mondiale, basato sul multipolarismo (Federazione Russa, Stati Uniti d’America, Cina, Unità Europea e altre aeree geopolitiche, l’Indo Pacifico) dovrà essere trovato al termine della guerra, scatenata dalla Russia contro l’Ucraina per delle ragioni che toccano, anche ma non solo, questioni di geopolitica. Buona lettura del testo. Non spaventi il numero delle pagine. Va letto anche a pezzi. I piani di lettura sono diversi. Chi ama confrontare tabelle, mappe, grafici trova di tutto: confronto tra le nazioni in termini di spesa militare, PIL di ogni nazione coinvolta nei giochi delle alleanze e molto di più.
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