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Libri- Federico Rampini, le linee rosse. Uomini, confini, imperi: le carte geografiche che raccontano il mondo in cui viviamo.

Federico Rampinidi Raimondo Giustozzi

Scrive Federico Rampini: “Le linee rosse è una mia versione speciale del mappamondo una guida per decifrare il nostro tempo attraverso le mappe… Nelle linee rosse vi porto con me alla scoperta dell’America e della Cina, della Russia e dell’Europa germano centrica, dell’India e del Sud Est asiatico, aggiungendovi il continente dei ghiacci che si sciolgono (l’Artico) e una superpotenza molto speciale, il Vaticano. Quando dico scoperta, è perché giocando con le carte geografiche il mondo ci appare in una dimensione nuova. La sua fisicità è prepotente, ci condiziona più di quanto crediamo. Per esempio: la sindrome di accerchiamento invocata da Vladimir Putin per giustificare l’aggressione all’Ucraina è tutt’altro che nuova, ha radici profonde nella geografia e nella storia della Russia. Non esistono imperi eterni né civiltà immortali. La nostra non sfuggirà alla regola. La storia procede per cicli di ascesa e declino delle potenze. L’Occidente non farà eccezione… I contemporanei non possono individuare con sufficiente visibilità tutte le cause che decideranno il corso degli eventi. Perciò cerchiamo delle chiavi interpretative: la storia e la geografia sono due strumenti preziosi. La storia: ogni nazione è la sedimentazione del suo passato, la risultante di eventi stratificati nella memoria di generazioni. La geografia: il territorio che occupiamo comanda in gran parte il nostro destino, dalle risorse naturali alla latitudine e al clima, fino alla presenza di vicini ingombranti o pericolosi” (Federico Rampini, Le linee rosse, dove sta andando il mondo? pag. 10, 2022, RCS MediaGroup, Milano).

La percezione della Russia di essere accerchiata è una sensazione che esisteva già al tempo degli zar. E’ diventata più acuta e cupa dopo la dissoluzione dell’x Unione Sovietica, giudicata da Putin “Un disastro geopolitico di prima grandezza”. Persa la guerra fredda, è subentrata, dopo circa trent’anni, la convinzione in Vladimir Putin che la Federazione Russa era stata messa all’angolo dall’Occidente e dagli USA. “Nel 2005, Putin teorizzava in casa sua il modello della democrazia controllata all’interno, cosa che a noi suona come un ossimoro. O un’ipocrisia. Gettò la maschera di fronte alle prime contestazioni per brogli elettorali. Tra la censura di stato, gli omicidi di giornalisti scomodi e di avversari politici, la Russia è scivolata  in seguito verso un autoritarismo sempre più prepotente nei controlli e sempre meno democratico” (Federico Rampini, La Russia non è mai troppo grande, Ibidem, pp.92- 112).

Il libro di Federico Rampini è quanto mai d’attualità in questi nostri giorni. Contiene, come scrive lo stesso: “Tanti racconti di viaggio. Ci sono le mie puntate in terre lontane, i diari della mia vita all’estero, reportage, inchieste, trasferte al seguito di leader stranieri, summit internazionali. Contiene anche delle linee rosse invisibili che stanno costruendo il mondo di domani, i confini dell’influenza di un soft power (potere morbido), religioso, il paesaggio rivoluzionario di una tecnologia nuova” (Federico Rampini, Le linee rosse, op. cit. pag. 14). Il viaggio nell’America profonda dei metalmeccanici l’ha portato ad intercettare il loro voto per Donald Trump. La sinistra ha rinunciato a rappresentarli e loro lo sanno. Nord e Sud degli Stati Uniti continuano a combattere la guerra di secessione cento cinquant’anni dopo. Nel Vecchio Continente la mappa delle elezioni recenti rivela società spaccate tra globalisti e sovranisti. Un voto di classe esiste, ed è la destra a conquistare i più deboli, forse un po’ meno ingenui di quanto crediamo.

La terra promessa della libertà e dello stato di diritto, che sembrava un traguardo universale dopo la caduta del Muro di Berlino, ha perso attrattiva; avanzano sotto ogni latitudine gli uomini forti; nella nuova geopolitica mondiale, i confini della tolleranza si restringono anche dove meno che lo aspettiamo. Nel celebre viaggio a Berlino, Rampini fu “testimone di un tentativo estremo di impedire l’unità tedesca, tra il 1871 e il 1990, nessun’altra nazione, come la Germania, ha visto cambiare le sue mappe così spesso e con tali sconvolgimenti; le riunificazioni, però, a loro riescono. Dall’Estremo Oriente ci viene proposta una Nuova Via della seta, artefice la Cina. Moriremo cinesi? Si chiede in una altro Federico Rampini: il secolo cinese. Della Russia, conosciuta a lungo come Unione Sovietica, Rampini esplora la continuità tra gli zar e Putin; un gigante con il complesso d’inferiorità che si ritiene “costretto” a minacciare i vicini.

Putin, l’ha detto più volte. L’Ucraina esiste solo sulla carta geografica ma non la considera nazione. Won Metternich lo diceva anche dell’Italia, definita “mera espressione geografica”, circa due secoli fa. L’Ucraina costituisce per Putin solo il cortile di casa, troppo vicino a Mosca per essere lasciato indipendente e sovrano. Il suo governo è stato definito dal nuovo zar “Una banda di drogati”. L’invasione è solo una operazione militare, intanto il suo esercito, composto anche da mercenari Siriani, Ceceni, sta distruggendo una nazione con missili ipersonici, bombe. Il suo è un esercito il più variegato. Opera alle sue dipendenze una non meglio formazione Wagner, composta da mercenari eterogenei quanto a provenienza geografica. Siamo ritornati alle Compagnie di Ventura, altro che la Grande Madre Russia, Mosca la terza Roma, scontro di civiltà con l’Occidente. Tutti i più grandi oligarchi russi hanno ville, Yacht, ricchezze immense nell’Occidente. Nell’antica Grecia c’erano gli oligarchi, i Trenta Tiranni, Vennero spazzati via dal popolo (Nota di chi scrive).

Il giornalista Federico Rampini, nel corso del suo viaggio, ci porta poi in India di cui “la prima guida fu Alessandro Magno, che vide tra i fiumi Indo e Gange, il prolungamento naturale del Medio Oriente, molto prima che là si spingessero le propaggini dell’Islam”. Il viaggio nel Medioevo Birmano sembra remoto ma è di soli dieci anni fa. Altri diari delle esplorazioni in Indonesia, Vietnam e Laos rivelano che la mappa dei progressi dell’economia è esaltante, quella dei diritti umani molto meno. La ricetta del duro benessere senza la libertà sta vincendo.

Nella giungla di Mindanao, roccaforte mussulmana delle cattoliche Filippine, la storia di un missionario italiano, padre Giancarlo Bossi, ripropone al giornalista la domanda di Stalin su quante divisioni ha il papa; diedero una loro risposta Wojtyla – Reagan e Bergoglio – Obama; l’influenza della Chiesa Cattolica disegna una geopolitica parallela da Cuba al Centrafrica; Il peso della Chiesa Cattolica in Italia, la sua presenza territoriale, va inserita nelle nostre carte se vogliamo capire il peculiare dibattito italiano sull’accoglienza dei profughi e sullo ius soli.

“All’incrocio tra scienza, tecnologia e vita quotidiana, il potere delle mappe decide la sorte degli imperi: da Cristoforo Colombo a GoogleMap. Il paesaggio urbano e quello sociale vengono sconvolti e ridisegnati a ogni rivoluzione tecnologica. Internet conosce una sua deriva dei continenti. I Padroni della Rete dispensano false utopie a loro beneficio. Un altro pezzo del viaggio riguarda l’Italia vista da tutti gli altri. Aiuta a capire che siamo a nostro modo una potenza mondiale senza saperlo. Un’altra linea rossa invisibile racchiude la globalizzazione dei gusti e dei consumi su cui noi abbiamo impresso un’influenza inaudita. Dietro il successo della gastronomia, della moda e del turismo, affiora un modello olistico che esercita un fascino planetario. L’immagine degli italiani è migliore di quanto crediate; spesso, però, il made in Italy non arricchisce noi, è sequestrato da multinazionale straniere” (Ibidem, pp. 16- 17). Peccato che la pandemia abbia quasi azzerato tanti settori, soprattutto quello dei viaggi.

L’esperienza del viaggiare oggi non è più quella di una volta. Al tempo dei nostri bisnonni, il viaggio era faticoso, ma era anche un lento susseguirsi di impercettibili mutamenti nei paesaggi, geografici e umani. Era l’occasione di un lungo apprendimento della fisionomia di valli e pianure, colli e monti, coste e mari, dell’antropologia di volti e costumi delle tante tribù umane. Oggi è tutto rapido, jet e treni ad alta velocità percorrono distanze sbalorditive mentre noi stiamo incollati con gli occhi al display del nostro smartphone. Sbarchiamo in nuovo continente e non abbiamo la più pallida idea dei territori attraversati, dei popoli e delle storie che abbiamo ignorato sfrecciando a trecento chilometri orari terrestri oppure sorvolandoli a ottocento chilometri orari a diecimila metri di altitudine (Ibidem, pag. 17). E’ importante, aggiunge Federico Rampini, incrociare la mappatura dei luoghi con quella delle narrazioni che li descrivono, le ideologie che razionalizzano il perché siamo arrivati fin qui, chi siamo, cosa sono i nostri destini nazionali.

La lettura del libro è piacevole. Il linguaggio è semplice, proprio di un giornalismo alto e completo. La voglia di conoscere e di approfondire accompagna ogni pagina. Si può ritornare alla lettura dei singoli capitoli anche più volte per confrontare dati e riannodare informazioni. Nella lettura di ogni libro c’è una prima e una seconda lettura, l’una di scoperta l’altra di approfondimento. La sintesi viene fatta al termine di quest’ultima. Il volume consta di 358 pagine, diviso in tredici capitoli, introdotti da un breve sommario. E’ inutile dire quanto la lettura dei libro sia preziosa in questo momento storico che stiamo vivendo. Questi i capitoli del libro:

  1. Sta finendo l’Impero americano?
  2. Moriremo cinesi?
  3. Germania – Europa e la rivoluzione perpetua nelle mappe
  4. La Russia non è mai troppo grande
  5. Dov’è finita la speranza indiana?
  6. Più soldi meno libertà? Il duro benessere del Sud Est asiatico
  7. Vaticano, l’ultimo soft power
  8. Migrazioni e identità. L’Italia risucchiata dal mediterraneo
  9. Separati in casa, la politica ci divide per tribù
  10. I confini mobili delle democrazie
  11. La tecnologia crea la nuova geografia
  12. Il clima cambia, il paesaggio di più
  13. La globalizzazione raccontata dal Prosecco

 

 

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