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Cultura. Forse Domani Poesie di Armando Mastrangelo

Forse Domani

di Raimondo Giustozzi

Il titolo del libro è lo stesso della poesia, Forse domani, che apre la seconda parte del volumetto, dato alle stampe da Armando Mastrangelo nel 2010, dopo altre due raccolte di poesie: Poter volare e Dopo sempre dopo, pubblicate negli anni precedenti. Passato e futuro si richiamano l’un l’altro. Il presente di per sé non esiste, a pensarci bene, perché scivola nel passato e anticipa quel che avverrà dopo: “… Un profumo diverso / mi attrae sono i versi / del richiamo; / Forse è il senso della vita / che si distende all’infinito; Sento il fiorente echeggiare / dell’ara in festa / rigoglio dell’ignoto / di un domani remoto” (Armando Mastrangelo, Forse domani, pag. 59, luglio 2010, Macerata).

Nella prima parte del libro sono raccolte ventuno poesie, che sono come “Affreschi poetici della natura e dell’umanità. La seconda parte (venticinque poesie) pennella il senso dell’umano vivere rivolto al futuro” (primo risvolto di copertina). Il presente ci angoscia oltre misura: emergenza sanitaria non ancora scomparsa dopo due anni di pandemia, difficoltà economiche in tutti i settori produttivi, costo energetico salito alle stelle, venti di guerra che sono ritornati a minacciare i cieli dell’Europa. Non ci resta che vivere alla giornata, affatto fiduciosi verso il domani. Siamo tentati di seguire questa deriva perché incapaci di sperare.

Luoghi deputati allo studio, monumenti cittadini di Civitanova Marche, il fiume Chienti, il lago delle Grazie, la catena dei Sibillini, la pioggia, il sereno e molto altro sono i contenuti delle ventuno poesie raccolte nella prima parte della silloge. Fotografie, stampe, disegni costituiscono il valore aggiunto. L’artista Eufrasia Cordone ha voluto rappresentare in due tavole: Porta Marina di Civitanova Alta e lo stemma di Civitanova Marche. La foto aerea della foce del Chienti è opera di Giorgio Doria. A. Pettinari ha immortalato in una sua fotografia un angolo del lago delle Grazie (Tolentino (MC). L’artista Benito Cicchinè in un dipinto ricorda il lavoro delle lavandaie.

La raccolta si apre con un grand’angolo sulla chiesa di Cristo Re con il faro, la sirena della fabbrica Cecchetti appollaiata sul palazzo Sforza, sede del comune cittadino, sul santuario di San Marone e spazia fino alle dolci colline e alla terra delle armonie che ha dato i natali a personaggi illustri: “Sulla luminosa corona / di Cristo Re / il faro veglia il ritorno, / mentre le orchestrali fabbriche / incappucciano / piedi vicini e lontani. / La sirena appollaiata / su palazzo Sforza / risuona mezzodì / ricordo delle tute blu. / Il letto di perle / della città alta / si distende / e la coperta di mare / con le spumeggianti onde / l’accarezzano. / Dalla finestra a cielo aperto / San Marone / porge il sigillo d’amore. / L’armonia delle colline / con i dolci pendii / e la lussureggiante vallata / regalano vedute amene. / Terra, che ha dato i natali / a illustri uomini / per la profondità della vita, / donde laboriose generazioni / perpetuamente / donano la poesia dell’Alba” (Armando Mastrangelo, Civitanova … una stella, pag. 15- 16, ibidem).

Note al testo. Tra gli uomini illustri di Civitanova Marche, tra tutti sono da ricordare: Annibal Caro, il traduttore dell’Eneide, il letterato rinascimentale a tutto tondo e il ballerino Enrico Cecchetti, conosciuto in tutta Europa, soprattutto in Russia. Il faro che illumina la rotta per l’entrata in porto dei pescherecci è posizionato sulla sommità della chiesa di Cristo Re., tenacemente voluta da don Eliseo Scoroli e dall’ambiente marinaro della cittadina adriatica. Il palazzo Sforza Cesarini, costruito in men di un anno, è la sede del comune di Civitanova Marche. Il santuario di San Marone custodisce le spoglie dell’omonimo martire, primo evangelizzatore del Piceno. L’armonia delle colline richiama il verso: “Ed erra l’armonia per questa valle” (G. Leopardi, il passero solitario).

A Civitanova Marche, in viale Vittorio Veneto, l’edificio, opera dell’architetto Adalberto Libera, ospita la biblioteca civica “Silvio Zavatti”. In tempi normali era il luogo di ritrovo per tutti gli studenti della cittadina adriatica. Nel corso degli ultimi due anni, con la pandemia ancora in atto, divieti, chiusure e paure ben comprensibili hanno allontanato l’utenza. Si sta tornando alla normalità in modo graduale. Le grandi sale sono attraversate dal silenzio. Il fruscio leggero delle pagine girate con delicatezza è come una carezza in viso. L’ambiente vive all’unisono con chi lo frequenta. Il poeta ha dedicato alla biblioteca una poesia, che ne richiama tutta l’atmosfera.

“Luci silenziose / voltano pagine / copiose del sapere / la cui storia / non si ferma mai. / Poi intense riflessioni, / uno svolgere di idee, / mentre libri chiusi / al tocco / si aprono come boccioli. / la forza del destino / dell’uomo / impregnò la città / di lustri fecondi / in difesa / della sublime conoscenza. / Un brusio soffocato, / un sereno sguardo di intesa / così le laboriose ore / infondono sazietà di intenti. // dal gigantesco seme / dalle capillari radici / per diffondere il credo civile / di un mondo scelto” (Armando Mastrangelo, la biblioteca, ibidem, pp. 23- 24). Il testo è dedicato a Silvio Zavatti, il fondatore della biblioteca civica.

Accanto a questo testo che è un inno al sapere, vale la pena ricordare le infauste Leggi Razziali del 1938, che allontanarono gli studenti ebrei da tutte le biblioteche del regno: “Dunque, come dicevo, quella mattina mi era venuta la bella idea di passarla in biblioteca. Senonché avevo avuto appena il tempo di sedermi a un tavolo della sala di consultazione e di tirar fuori quanto mi occorreva, che uno degli inservienti, tale Poledrelli, un tipo sui sessant’anni, grosso, gioviale, celebre mangiatore di pastasciutta e incapace di mettere insieme due parole che non fossero in dialetto, mi si era avvicinato per intimarmi d’andarmene, e subito. Tutto impettito, facendo rientrare il pancione e riuscendo persino a esprimersi in lingua, l’ottimo Poledrelli aveva spiegato a voce alta, ufficiale, come il signor direttore avesse dato in proposito ordini tassativi: ragione per cui – aveva ripetuto – facessi senz’altro il piacere di alzarmi e di sgomberare. Quella mattina la sala di consultazione risultava particolarmente affollata di ragazzi delle Medie. La scena era stata seguita, in un silenzio sepolcrale, da non meno di cinquanta paia d’occhi e da altrettante paia d’orecchie” (Giorgio Bassani, Il giardino dei Finzi Contini, pp. 169-170, Einaudi, Torino 1999).

Ho voluto riportare questo passo, per ricordare il giorno della memoria, che si celebra ogni anno al ventisette di gennaio La memoria va coltivata sempre, non solo per un giorno. Ce lo ricorda Liliana Segre in una sua intervista. Allo stesso modo anche il giorno del ricordo, fissato al dieci febbraio di ogni anno, deve essere vissuto intensamente. La Shoa e le foibe sono due tragedie del ventesimo secolo. Il sonno della ragione ha sempre generato dei mostri nella storia. E se non si fa bene i conti con il passato, nostro malgrado siamo destinati e riviverlo, soprattutto quando si parla di nuovi assetti geopolitici, ammantati solo da prepotenza e sete di dominio.

Tra i personaggi illustri di Civitanova Marche, Armando Mastrangelo non poteva non dedicare una poesia al grande Annibal Caro: “Dal colle di Porta Marina / bagnava la piuma / sulla terra delle armonie, / e crebbe come ramoscello / dai futuri frutti succosi. / Imbucò lettere dal sapore / ironico, critico e / dal coro universale. / Tradusse gesta / delle scritture antiche, / manierismo d’epoca / dai richiami perfetti. / Conservò dentro di sé / le libere origini / della Marca prosperosa / dai respiri immensi, / un varcare dei tempi / dagli intrecci saggi, / dalla cultura / delle radici fossili. / Uomo dall’acume innato / abbracciò le passioni / per l’archeologia / e la numismatica, / segnò con diplomazia / il tempo del sapere / per l’altrui essere” (Armando Mastrangelo, Caro A. ibidem, pag. 22).

 

Enrico Cecchetti,  il celebre ballerino è ricordato in una lunga poesia: “Uno due tre / il mimo danzava per ore / sulle onde del mare. / Maestro / dalle celestiali movenze / insegnò / per le grazie degli occhi / tanto da sublimare / lo spirito. / Il suo metodo / con passione / e angelica leggiadria, / varcò confini / dai costumi variegati. / Sfiorò / con la punta dei piedi / teatri storici / di tutto il mondo. / Innalzò / il primo ballerino / al massimo splendore. / Figlio della Cluana / terra ideatore universale / lasciò il segno tangibile / del balli nel cuore. / Nel palcoscenico di un prato / emoziona lo svettare / di un fiore al variare / dell’alito di vento” (Armando Mastrangelo, Cecchetti E. Ibidem, pp. 30- 31).

I borghi sulle colline, le abbazie nella valle sottostante, attraversata dal Chienti, Cluentum per i latini, Flusor per i greci che fondarono la vicina Ancona e Numana. Il fiume Chienti è ricordato più volte nella raccolta di poesie: “Che meraviglia nel vestirti / di fiori e di mature more; / di farfalle variopinte / un rallegrare gli occhi; / s’intrecciano canti / di uccelli migratori / e stanziali che inebriano il core. / Ammiro assorto il tuo silenzio / mentre il guizzo d’un riccio / pare voglia appallottolarsi; / più in là un roditore / si gusta la sua preda… / Orgoglioso ti riversi / tra le montagne e le colline / nel mentre una volpe incuriosita / osserva un cinghiale impaurito / da una lepre inviperita… / Ricchezza del Chienti / per gli odori / e i sapori di una volta” (Armando Mastrangelo, Chienti, ibidem, pp 25- 26).

Non mancano nella raccolta i riferimenti ad alcuni aspetti della vita materiale di tanto tempo fa: il lavoro delle lavandaie sul greto del fiume. “Sinuoso accarezzi / la terra delle armonie / ove i padri / attingevano acqua pura / per dissetare / i frutti sani / che la terra donava / ad ogni stagione. / Le dirimpettaie città / ammiravano te / lussureggiante fiume, / lungo gli argini / percorsi di vita salubre. / Offrivi legna / per le ruvide / e infreddolite mani; / grandezza della natura / per la vallata creata. / Dopo i tre sassi / scorrea limpida acqua / per gole assetate, / poi bagni rinfrescanti, / qua e là le canne pescanti / con ami accattivanti / e le donne in ginocchio / intonando canti lavavano. / Ora difendi / il letto della memoria” (Armando Mastrangelo, Ritorna in mente, ibidem, pp. 32- 33).

Anche il lago delle Grazie è oggetto di una bella poesia: “Al muoversi dell’ora / il lago si veste / di verde bosco. / Farfalle colorate / e spiritose / giocano con i fiori, / specchiandosi nell’acqua cristallina. / Il salice piangente / è accecato dai luccichii / degli avanzi, gettati / qua e là dalle insane gesta / dei viventi della crosta. / … Salice non piangere / non ingrossare il lago / con le tue lacrime di dolore, / ma dà forza / alle anime in pena, / per l’oasi creata / e dopo abbandonata. / Orsù voi dormienti / con il piacevole incanto / sguainate dal fodero / l’orgoglio / combattete l’indifferenza. / Il lago delle Grazie / è un rifugio di spontaneità / per l’eterna giovinezza” (Armando Mastrangelo, Risvegli, ibidem, pp. 34- 35).

I Monti Azzurri, di leopardiana memoria, sono paragonati ad esseri viventi: “Il fiato dei Sibillini / si riversa nei canaloni / e negli anfratti / dove i rivoli si uniscono / in un connubio di orizzonti. / Tra la flora e la fauna appenninica / l’aria fresca / giunge a valle / e poi in riva; / noi pronti a lenire / l’insofferenza estiva. / E d’inverno il mare / restituisce la cortesia / soffiando l’aria mite / verso i monti / mentre l’imponente Conero / vigila l’ameno scenario / del Chienti. / Brezza di mare, / aria di terra, / incrocio salubre / per alleviare e dare / agli operosi Cluentini / la gioia di vivere. / Si gonfi l’animo di sì / grande paesaggio, / miniatura di felicità, / Invadono i profumi / della campagna, / verace fioriera collinare / della vallata che si versa / in versi a mare / per il piacere della Marca” (Armando Mastrangelo, Ameno, pp. 48- 49, ibidem).

 

 

Ritorna… forse domani.

La seconda parte della raccolta è introdotta da questo titolo. La poesia si fa più personale e intima, anche se non manca mai il contatto con la natura e con la quotidianità. “Quando si attiva il ponte / non trovi l’aspro mondo / ma il Suo universo; / nell’incontro / si coniuga il firmamento / vedrai quel che sarà / un gioco di luci / un senso di eternità. / Forse l’abisso! / Guardi con tenerezza / la fanciulla che si inebria / nel quadro di Monet; / giravolte nell’immensità / di polvere di stelle / sono anime gemelle / eredità perenne. / Avere dopo / meno di quel che si ha: / vedi senti parli godi / condividere… fiammelle / che si amano all’infinito” (Armando Mastrangelo, Fiammelle, pag. 61, ibidem).

“I lunghi singhiozzi dei violini d’autunno / feriscono il mio cuore d’un languore monotono” di Paul Verlaine diventano per il poeta l’avvio per un dialogo con il proprio passato. Il Big Ben diventa l’orologio dei ricordi: “Non ascolto i violini / non parlano più d’amore / mentre il Big Ben / rintocca una melodia dei ricordi. / L’anima zampilla copiosa / batte forte il cuore / sono pianti di dolore / che il tempo non porta via / batte folle con ardore. / L’abat- jour rintocca… / Non dormo leggo di te / rintocca e vedo te / m’invade il tuo profumo / inebria e penetra in me. / I violini non ascolto più / sono pianti di dolore / non parlano d’amore / come facevi tu / ma il Big Ben rintocca / con l’eco di un sorriso / che parla di te. / Vibrano e si consumano le ore / dentro di me / poi affido i dolci pensieri / al tuo essere melodia. / Il Big Ben non tramonta / rintocca ancora la tua aurora” (Armando Mastrangelo, Melodia per te, Big Ben, ibidem, pp 62- 63).

Le stagioni della vita scorrono davanti agli occhi del poeta con tutti i loro chiaroscuri: “Discariche di silenzio / invadono la mia mente / e bendano gli occhi; / Aspetto la luce / del nuovo giorno  per abbandonare gli abbagli / stipati nell’arco degli anni; / Sul selciato di silicio / risuonano i passi, / mentre in lontananza un falò di spine / senza bagliore / diffonde / un agre dolore; Con alito di ciliegie / che pilucco voglioso / su bilancia pendente, / sussurro candidamente /… guarire di sincerità” (Armando Mastrangelo, l’arco, ibidem, pag. 67).

Anche il primo allunaggio (21.07.1969) diventa oggetto della poesia: “Dolce Luna / con occhi argentati / osservi senza rancore / ma con dolore: / passioni, errori, orrori / che scorrono nei fiumi / colmi di riverberi. / lacrime di polvere / cadono / sul tuo versatile viso. / Il primo passo / verginità perduta / cuore infranto; / solo il perdono / purificherà / il nostro ardire. / Ora non sei più sola / respiri con noi; / sorella prediletta / nelle notti incerte / rischiari le attese / e le disadorne speranze. / Placida Luna / pennelli ali / che solcano cieli / per nidificare / e io sogno il grande volo / per sentire la tua essenza” (Armando Mastrangelo, dalla Luna, ibidem, pp. 72- 75).

Con lo sbarco dell’uomo sul satellite della terra, la Luna dei poeti: Giacomo Leopardi, Salvatore Quasimodo, Sandro Penna, Saffo, diventava quella di ogni uomo. Nell’ininterrotta diretta televisiva, Ruggero Orlando dall’America, Tito Stagno dagli studi televisivi di Roma commentavano il primo allunaggio di Neil Armstrong Buzz Aldrin, Michael Collins. Giuseppe Ungaretti con lo stupore di un bambino rimaneva estasiato davanti alle prime immagini che provenivano dal suolo lunare. Tito Stagno ci ha lasciati il primo febbraio dell’anno in corso all’età di novantadue anni.

Ho voluto proporre soltanto queste poche poesie per non annoiare troppo il lettore, ma invito tutti a leggere la silloge Forse Domani di Armando Mastrangelo, come a consultare i link sotto riportati riguardanti la Shoa e la tragedia delle Foibe. Leggere, riflettere sul passato è il lievito per farci capire meglio da dove veniamo, cosa siamo e a cosa dobbiamo tendere.

 

Esodo e esilio giuliano dalmata (Giorno del ricordo)

http://www.specchiomagazine.it/2020/07/letteratura-dellesodo-e-dellesilio-la-foiba-grande-carlo-sgorlon/

http://www.specchiomagazine.it/2020/06/esilio-di-enzo-bettiza-letteratura-dellesodo-e-dellesilio/

http://www.specchiomagazine.it/2020/06/letteratura-sullistria-e-lesodo/

http://www.specchiomagazine.it/2020/06/lesodo-da-rovigno-storie-testimonianze-racconti/

http://www.specchiomagazine.it/2020/06/lesodo-la-tragedia-negata-degli-italiani-distria-dalmazia-e-venezia-giulia-di-arrigo-petacco/

http://www.specchiomagazine.it/2020/06/letteratura-dellesodo-e-dellesilio-la-tragedia-delle-foibe-di-pallante-pierluigi/

 

Shoa (giornata della memoria)

http://www.specchiomagazine.it/2018/01/per-non-dimenticare-quando-hitler-rubo-il-coniglio-rosa/

http://www.specchiomagazine.it/2018/01/dialoghi-in-corso-giornata-della-memoria-per-non-dimenticare-la-shoah-libri-di-narrativa-per-ragazzi-e-adulti/

http://www.specchiomagazine.it/2018/04/il-giardino-dei-finzi-contini/

http://www.specchiomagazine.it/2018/01/per-non-dimenticare-testimonianza-di-nedo-fiano-sopravvissuto-al-campo-di-sterminio-di-auschwitz/

 

Note:

Nedo Fiano, nato a Firenze il 22 aprile 1925, è morto a Milano il 19 dicembre 2020, è stato per anni testimone vivente degli orrori di Aushwitz, incontrando migliaia di ragazzi e ragazze delle scuole.

Nella bibliografia sulla Shoa manca il romanzo, Questa sera è già domani, di Lia Levi: “Quando spolveri il sacro ripostiglio / che chiamiamo memoria / scegli una scopa molto rispettosa / e fallo in gran silenzio. / Sarà un lavoro pieno di sorprese – / oltre all’identità / potrebbe darsi / che altri interlocutori si presentino – / Di quel regno la polvere è solenne – / tu non puoi sopraffarla – invece lei / può ammutolire te” (Emily Dickinson, Tutte le poesie, pagg. 1277 – 1279, Mondadori, Milano, 1997). Lia Levi non poteva fare scelta migliore di proporre la poesia di Emily Dickinson, all’inizio del suo nuovo romanzo Questa sera è già domani, vincitore al Premio Strega Giovani 2018, tanto il racconto è legato al tema della memoria.

Raimondo Giustozzi

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