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Libro. Anni di rame di Erri De Luca

Anni di ramedi Raimondo Giustozzi

Il volumetto, edito dall’Universale Economica Feltrinelli nel gennaio 2019, cento pagine, comprese quelle dedicate all’indice, è diviso in tre capitoli, suddivisi a loro volta in piccoli paragrafi di diversa lunghezza. Il titolo “Anni di rame” è volutamente messo a confronto con l’altro più conosciuto, “Anni di piombo”. Scrive Erri De Luca: “Un giornalismo scadente ha definito di piombo il settimo e l’ottavo decennio del secolo scorso. Neanche hanno inventato la formula, avendola presa dal titolo di un film, per giunta tedesco. Era vero per gli idraulici che ancora usavano quell’elemento per gli scarichi dei bagni. Era vero per i tipografi che ancora componevano le pagine coi caratteri di piombo. A doversi inventare un minerale, scelgo il rame, elemento adatto a trasportare energia elettrica. Anni di rame perché i suoi filamenti conducevano corrente politica ai più lontani angoli d’Italia” (Erri De Luca, Anni di rame, pag. 13, Universale Economica Feltrinelli, Milano, gennaio 2019).

L’autore, nelle prime pagine del libro, usa una poesia di Nazim Hikmet, nella quale il poeta parla di un albero di noce e del suo proprietario Yunùs, per utilizzarla come una metafora legata alla gioventù di chi negli anni settanta- ottanta del secolo scorso aveva dai venti ai trent’anni. Yunus è costretto a vendere l’albero di noce perché con il suo legname si fanno mensole, tavole e armadi. Eppure quell’albero era diventato il simbolo del villeggio, esisteva da sempre secondo la memoria dell’uomo. Dava ospitalità a migliaia di uccelli che vi nidificavano, faceva ombra nelle ore della canicola estiva, produceva una quantità impressionante di noci. La povertà bussa alla casa di Yunùs che è costretto a vendere l’albero. Al termine della poesia, Nazim Hikmet scrive: “Nelle nostre chiacchiere c’è la tristezza di un noce tagliato e venduto”.

“In ogni gioventù esiste un albero di noce intorno al quale raccogliersi per discussioni accese, per mosse improvvise che intendono fare luce sul futuro. C’è un’età che ha bisogno di un albero piantato molto prima. La mia gioventù ha avuto per albero di noce la parola rivoluzione. Non l’ha piantata lei, non ha nemmeno inaugurata la raccolta. Era messa a dimora dal 1900, il secolo che ha praticato con maggiore insistenza e con enormi risultati la parola rivoluzione… La mia generazione è stata l’ultima rivoluzionaria del 1900, non per uno scatto di impazienza ma per coincidenza con le rivoluzioni in corso. E’ stata la più imprigionata della storia d’Italia per motivi politici. Nel paese degli arresti domiciliari per criminali economici, quella gioventù politica ha scontato in massa l’intero debito penale. Entrò nelle prigioni portando i libri, assenti nei penitenziari di allora. Uscì alla spicciolata con i capelli bianchi. Un resto è ancora chiuso. Negli anni in cui quella generazione fu sbaragliata, in molti rinnegarono l’appartenenza. Cercavano un posto per loro nel tempo seguente. Altri invece non fecero abiura per ottenere sconti di pena. Ho fatto parte dell’ultima generazione rivoluzionaria in Europa. La parola rivoluzione è stata il nostro albero di noce, tagliato e venduto. Un resto di noi ne ricorda l’ombra” (Ibidem, pag. 15).

La lettura del libro mi ha riportato indietro nel tempo. Si può pensare all’associazione Emergency, fondata da Gino Strada, senza il Movimento Studentesco degli ultimi anni sessanta e dei primi anni settanta, non quelli successivi che furono altra cosa? Si può pensare all’origine di tanti movimenti laicali cattolici, come Comunione e Liberazione, senza ritornare al clima del sessantotto che si respirava nelle università, dove il movimento è nato? Se si mettessero a confronto alcuni testi di Claudio Chieffo, il cantautore di Dio, Il Giorgio Gaber cristiano, con i versi di canti ispirati alla sinistra, si troverebbero molte analogie, almeno nelle parole, per quanto riguarda la rabbia e la voglia di cambiamento anche violento.

“Lo dicevo tutto il giorno, questo mondo non è giusto / E pensavo anche di notte, questa vita non dà gusto / E dicevo, è colpa vostra, o borghesi maledetti / Tutta colpa dei padroni e noialtri poveretti / E noialtri a lavorare sempre lì nell’officina / Senza tempo per pensare dalla sera alla mattina // Forza compagni, rovesciamo tutto / E costruiamo un mondo meno brutto // Per un mondo meno brutto, quanti giorni e quanti mesi / Per cacciare alla malora le carogne dei borghesi / Ma i compagni furon forti e si presero il potere / E i miei amici furon morti e li vidi io cadere..” (Claudio Chieffo, La ballata del potere, Fonte: Musixmatch, Internet).

 

Forse il testo non è conosciuto dai più, diversamente dalla canzone Contessa: “…Compagni, dai campi e dalle officine / Prendete la falce, portate il martello / Scendete giù in piazza, picchiate con quello / Scendete giù in piazza, affossate il sistema // Voi gente per bene che pace cercate / La pace per far quello che voi volete / Ma se questo è il prezzo vogliamo la guerra / Vogliamo vedervi finir sotto terra / Ma se questo è il prezzo lo abbiamo pagato / Nessuno più al mondo dev’essere sfruttato…”(Fonte: Musixmatch, Internet, compositori: Paolo Pietrangeli e Giovanna Marini).

 

Certo, nel primo testo, quello di  Claudio Chieffo, la voglia di cambiamento, comune a tutti i giovani di quegli anni, si sposa con un fatto, quello cristiano. Tutto il resto della canzone si riempie di questo messaggio che diventa incontro con qualcuno e con qualcosa che va oltre. Il Dio di Gesù Cristo irrompe nella storia e disegna per tutti un modo diverso di vivere la vita. Nell’altro testo, la parola rivoluzione rimane ancorata alla storia: “In una tale posizione, l’involuzione è costantemente possibile, facilmente viene a mancare l’equilibrio tra condizione presente e utopia. La lotta non riesce ad essere realista e si spegne”. http://www.specchiomagazine.it/2018/06/cultura-68-in-presa-diretta-il-maggio-francese-cronaca-di-una-rivolta/.

 

Questa divagazione sul tema va approfondita. Le ragioni della rivolta giovanile sono riportate da Erri De Luca nel capitolo: “Senza sapere invece” (E. De Luca, Anni di rame, pp. 17- 26, Universale Economica Feltrinelli, Milano, gennaio 2019). Erri De Luca è della mia stessa generazione. Non posso che condividere quanto scrive: “Siamo stati la generazione che più si è immischiata di politica estera. Conoscevamo la geografia perché era una branca della storia in corso, non per averla viaggiata. Vietnam, Angola, Mozambico, Grecia, Sudamerica, Spagna, Irlanda, Cecoslovacchia, Polonia, ci riguardava il mondo. Il Vietnam portava la notizia strepitosa che gli ultimi vincevano sui primi. La storia, nel ’68 e dopo, si spostava con le rivoluzioni, con le lotte armate. non avevamo bisogno di augurarcele, erano in corso. Niente ha da venì, erano già lì” (Ibidem, pag. 24).

 

L’Italia nel ’68 era legata ad un’Alleanza Atlantica che sosteneva tutti i fascismi del Mediterraneo: Spagna, Grecia, Turchia, continua l’autore. In questo quadro non si poteva non essere contro il potere e la prepotenza. Sarebbe stata una vergogna se non ci si fosse almeno indignati. Erri De Luca ha fatto anche l’operaio in fabbrica: “Ho vissuto dall’interno lo sciopero improvviso che blocca le macchine contro la notizia del licenziamento di un operaio comunista. Ho conosciuto il tempo di sollievo che azzittisce il frastuono delle macchine utensili. Sentivo gridare e gridavo: il potere dev’essere operaio. Ma più di quel salto giù dalle pedane a sgomentare la catena di comando, mi commuoveva il silenzio improvviso delle officine. Dove smetteva il chiasso della fabbrica, iniziava il tempo operaio che è sempre un contrattempo. E’ pausa, sollievo, schiena rimessa a posto” (Ibidem, pag. 26).

 

Da ricordare di quegli anni la rivendicazione degli operai di frequentare i corsi delle “150 ore per il diritto allo studio”. Vennero introdotti il Italia per la prima volta nel 1973, in occasione del rinnovo del contratto nazionale degli operai metalmeccanici. Garantivano ai lavoratori dipendenti un monte ore massimo di permessi lavorativi retribuiti, da impiegare in progetti ed attività riguardanti la propria formazione personale. Molti operai si avvalsero di questa opportunità per proseguire i propri studi, in alcuni casi fino al conseguimento della laurea.

Venti anni dopo

 

Nell’autunno del 1988 Erri De Luca lavora da dodici anni come operaio in un cantiere. Due auto di carabinieri si presentano nella sua casa, immersa nella campagna romana. Non lo trovano. Parte presto alla mattina. Alle sette è già fuori. Gli uomini dell’arma chiedono ad una vicina di casa, semi assopita, dove sia Erri De Luca. La signora non sa nulla dove possa essere. Il ricercato, il giorno dopo, aprendo il giornale, legge che il giorno prima era stato interrogato da un giudice. Prende il telefono e chiede quando mai gli aveva detto qualcosa. Scopre che il giudice aveva utilizzato “Le confessioni di un commerciante al dettaglio, allo sbaraglio. Nella purga tardiva ma impetuosa delle sue viscere, dovuta a motivi che ignoro, sono finito anch’io, suo lontano conoscente. Il giudice ha deciso di credergli”. Continua l’autore del libro con malcelato umorismo: “In letteratura la memoria è spesso un espediente narrativo. Lo scrittore invece di descrivere oggettivamente il passato, lo fa  narrare dal ricordo di un suo personaggio… Il giudice istruttore del mio caso allestiva una rappresentazione teatrale più che un caso giudiziario(Ibidem, pag. 29).

 

Accompagnato in macchina dai carabinieri, da Roma a Milano, dopo quattro ore esatte di viaggio, “a velocità proibita”, Erri De Luca giunge alla caserma dei carabinieri in via Moscova. Dopo l’interrogatorio con il giudice, un carabiniere gli chiede, perché è tardi, se non desidera, dal momento che non abita a Milano ed è già sera, di rifocillarsi alla mensa e pernottare alla foresteria. L’accusato accetta la cortesia del militare, anche se la cosa lo fa rabbrividire. “L’interrogatorio è insignificante, anche per il giudice. Nego di aver commesso quegli atti spuri, per il resto mi accorgo di riconoscere le persone che mi nomina e di voler bene a quasi tutte loro. Gente rimasta al posto di prima a far la propria parte, senza carriera, quasi tutti, gente onorata di essere dimenticata dagli anni che corrono” (pag. 30). Un avvocato d’ufficio, scomodato dal giudice gli mostra un album di foto nelle quali Erri De Luca rivede un mucchio di facce di ragazzi, ritratti a vent’anni, tra le quali anche la sua. Poi il giudice gli indica la foto di un altro. “Lo conosce?”. Non la guarda nemmeno. Alza gli occhi al muro dove è appesa la fototessera di un presidente della Repubblica. Non gli viene chiesto di riconoscerla, “Non credo che lo farei” (pag. 31).

 

A processo in corso.

 

E’ il capitolo più lungo del libro. Contiene più paragrafi, alcuni molto brevi, altri leggermente più lunghi. Riguardano il processo che Erri De Luca sta subendo per essersi schierato dalla parte di quanti non vogliono la costruzione della TAV Torino – Lione, perché la ritengono non necessaria e appoggiano i cittadini della Val Susa che hanno più volte dimostrato il loro dissenso verso quest’opera. Sostanzialmente, Erri De Luca viene accusato di istigazione alla violenza. Lo scrittore si appella all’articolo 21 della Costituzione Italiana: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. La vittima non è lui ma l’articolo della Costituzione Italiana. Scrive: “Sono e resterò, anche se condannato, testimone di sabotaggio, cioè di intralcio, di ostacolo, di impedimento della libertà di parola contraria” (pag. 83).

 

The times they are a-changin”, cantava Bob Dylan. I tempi stanno per cambiare, aggiungeva Franco Battiato: “Mr. Tamburino non ho voglia di scherzare / Rimettiamoci la maglia i tempi stanno per cambiare / Siamo figli delle stelle e / Pronipoti di sua maestà il denaro…” (Franco Battiato, album la voce del padrone). Continua Erri De Luca: “I tempi stanno cambiando. Così è, Cambiano sempre e la fisarmonica dei diritti a volte si stringe fino a restare senza fiato. Ma poi le braccia spingono in  fuori e ritorna l’aria nel mantice. Il diritto di pubblica parola in questo processo sta stretto nel punto più chiuso dello strumento a fisarmonica, che è una democrazia. E però i tempi cambiano, che lo si voglia o no. Sta a ognuno la scelta di averne parte, diritto, ricordo, oppure lasciarli andare, i tempi, alla loro deriva e starsene al riparo” (pag. 76). Quello che lo scrittore dice vale per sempre, soprattutto ad ogni snodo epocale della storia nazionale, europea e mondiale. La pandemia in atto ci obbliga a interrogarci sul destino dell’umanità.

 

“Compito di uno scrittore”, prosegue Erri De Luca, “è quello di proteggere il diritto di tutti ad esprimere la propria parola. Tra tutti comprendo in prima fila i muti, gli ammutoliti, i detenuti, i diffamati da organi di informazione, gli analfabeti e chi, da nuovo residente, conosce poco e male la lingua”. Il richiamo a don Milani è d’obbligo.

 

Erri De Luca è accusato di istigazione alla violenza: “Perché ci sia istigazione alla violenza bisogna dimostrare la connessione diretta tra parole e azioni connesse… Negli anni passati degli autorevoli esponenti di partiti, con largo seguito di iscritti e militanti, hanno di volta in volta pubblicamente minacciato il ricorso alle armi per raggiungere dei loro obiettivi. In altre circostanze hanno annunciato il ricorso all’evasione fiscale di massa. Non sono stati inquisiti dalla magistratura per il reato di istigazione… Non sono stati inquisiti perché hanno esercitato il loro diritto di parola. Nel mio caso la pubblica accusa afferma che le mie parole hanno avuto un seguito di azioni. Mi attribuiscono un ruolo che nemmeno gli alti esponenti di partito hanno avuto” (Pag. 67).

 

Il dissenso di Erri De Luca verso la TAV (Treni Alta Velocità) non ha condizionato le scelte di nessuno: “I pubblici ministeri hanno esibito un elenco di episodi compiuti da militanti No Tav, compilato dalla Digos di Torino, accaduti a partire da settembre 2013. Tutti questi episodi sono stati rivendicati da anonimi militanti No Tav che dichiaravano di aver agito per sostenere la causa dei loro compagni. Almeno uno, uno solo, poteva aggiungere, magari anche in margine come possibile: e poi perché l’ha detto De Luca sull’Huffington Post” (pag. 68). Nell’intervista al quotidiano in rete, De Luca aveva detto che la linea TAV Torino – Lione andava sabotata come sostenevano i valligiani della Val Susa, perché dannosa per la salute degli abitanti, non voluta nemmeno tanto dalla vicina Francia. Aveva insomma preso le loro difese e condiviso le loro ragioni. “Con un pretesto hanno incriminato il filosofo Vattimo che ha disobbedito alla consegna di farsi i fatti suoi” (pag. 75). Continua Erri De Luca nel suo ragionamento: “ Ministri di questo e di altri governi hanno dichiarato la linea Tav in Val di Susa opera strategica. Strategico è aggettivo di origine militare, stratega era il comandante dell’esercito greco. L’effetto è anche militare: il cantiere della perforazione e la vallata sono sotto presidio di forze armate oltre che di corpi di polizia e carabinieri”( pag.69).

 

Erri De Luca fa notare che a costituirsi parte civile contro di lui nel processo in corso non è lo Stato con la sua avvocatura, ma una ditta privata, la LTS (Lyon Turin Ferroviaire), la ditta francese che ha la sede a Chambery. Per la Francia la linea Lyon- Torino non è strategica né prioritaria. L’entusiasmo della ditta LTF non è condiviso in patria. Nel caso che venga condannato, scrive Erri De Luca, dovrebbe rimborsare un’azienda francese anziché lo Stato Italiano che sostiene l’importanza strategica dell’opera in questione: “Chiedo alla pubblica e distratta autorità di provvedere alla costituzione di parte civile contro di me. Sarò condannato per essermi opposto a un’opera di Stato e non a una qualunque ditta estera venuta a far danno da noi” (pag. 71). Indubbiamente tutto il capitolo è una superba autodifesa. Le analogie con la lettera ai giudici di don Milani, accusato di apologia di reato, per aver difeso l’obiezione di coscienza, è forte.

Tutto il piccolo volume è uno scrigno di argomentazioni ferree, che non fanno una piega e condotte con un linguaggio schietto e accattivante. E’ da leggere, come il volumetto La parola contraria dello stesso autore, dove si dibatte il diritto- dovere di ognuno ad avere una propria opinione su problemi cruciali che riguardano tutti: l’inquinamento dell’aria, dell’acqua, del suolo e altro ancora.

 

Raimondo Giustozzi

 

 

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