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Dialoghi in corso. Reddito di cittadinanza sotto attacco.

Fonte Avvenire

Fonte Avvenire

Di Daniele Nalbone by  MicroMega

In un Paese dove due milioni di giovani sono senza lavoro, l’unica battaglia da fare per Cgil, Cisl e Uil è quella per le pensioni. In questo scenario è arrivato il momento di non parlare più di crisi, ma di inutilità di questo tipo di sindacato.

Da gennaio a luglio 2021 sono 849.200 i nuclei familiari che hanno presentato una domanda di Reddito o Pensione di Cittadinanza all’Inps. Oggi il numero totale dei beneficiari del sussidio è 1.655.343. Di questo, 999.473 sono residenti al Sud, 391.630 nelle regioni del Nord e 264.240 in quelle del Centro.

Una misura, quella del Reddito di Cittadinanza, che sta sfamando – sì, sfamando, perché di questo si tratta – 1.499.228 nuclei familiari, per un totale di 3.550.342 persone, per un importo medio a nucleo di 579,01 euro.

Ecco, quando Matteo Salvini, Matteo Renzi, Giorgia Meloni e via dicendo attaccano questa misura di welfare, stanno attaccando più di 3,5 milioni di italiani. Ora, la domanda che vorremmo porre ai leader politici appena citati è: quanti saranno mai secondo voi, in termini percentuali, i tanto odiati “furbetti” (un numero non c’è, ovviamente)?

Anche oggi, 26 ottobre 2021, basta scrivere “reddito di cittadinanza” su Google, per trovare una serie di attacchi al RdC assolutamente inaccettabile.

Si va da Libero (non linkiamo gli articoli per non regalare al duo Feltri-Sallusti visite al loro sito) che, col più classico dei titoli acchiappa-clic, annuncia: “Il primo passo di Mario Draghi: ecco chi dice addio all’assegno grillino”, per poi mettere in evidenza un servizio di Quarta Repubblica: “Le parole del navigator sotto anonimato seppelliscono il M5s”. Ma è sui toni che è utile mettere il focus. Leggiamo:

In Italia a percepire l’assegno ai fannulloni ci sono 3,5 milioni di persone, 1,3 milioni delle quali “occupabili”, ossia in grado di lavorare o di poter trovare un lavoro. Ma quanti sono gli ex-percettori del reddito che oggi hanno un lavoro? Bene, sono la miseria di 192.851, ossia il 14% degli occupabili. Cifre che offrono una rappresentazione plastica dello scempio grillino, dello spreco, del disastro che è il reddito di cittadinanza.

Si dirà: Libero e Quarta Repubblica sono rispettivamente un giornale e una trasmissione di destra. E allora, per bilanciare gli attacchi, ecco le parole di Irene Tinagli, economista, eurodeputata e vicesegretaria del Partito Democratico, che in un’intervista al Corriere della Sera propone di “recuperare le risorse (i soldi)” per le pensioni “da quanto stanziato per il reddito di cittadinanza”.

Risultato: tra pressioni mediatiche e barricate politiche, si andrà verso una modifica della misura di welfare in termini di inasprimento dei controlli, aumento dei paletti per accedere al reddito di cittadinanza e obbligo di accettare qualsiasi offerta di lavoro. Il tutto per risparmiare circa 700 milioni di euro. Una cifra assolutamente ridicola all’interno di una finanziaria. Ecco perché il problema, in Italia, è culturale, non economico.

Come sempre, si decide dall’alto della vita delle persone. Se questa misura fosse tanto impopolare come sostengono certi giornali, certe trasmissioni televisive, certi politici, perché il referendum lanciato da Renzi per abolire il reddito di cittadinanza ha raggiunto la miseria di 5mila firme a fronte del mezzo milione necessario? “Era una provocazione”, si è difeso il leader di Italia Viva. Capito? Una provocazione. Un esponente politico di primo piano in questo Paese affronta il tema della povertà con delle provocazioni. E provocazione, evidentemente, sarà anche l’aver annunciato la volontà di avviare una vera raccolta firme nel 2022. Peccato che la legge vieti di depositare richieste di referendum nell’anno anteriore alla scadenza elettorale, il 2023.

In questo scenario, emergono due riflessioni. La prima: il Movimento 5 stelle ha fallito anche qui, sulla misura centrale della campagna elettorale che fu. La seconda: il sindacato, in Italia, è oggi totalmente disallineato rispetto ai bisogni della società.

Perché è “colpa” del Movimento 5 stelle

Lo ha spiegato chiaramente Roberto Ciccarelli in questo articolo sul Manifesto, di cui riproponiamo uno stralcio:

Il sussidio di ultima istanza contro la povertà assoluta è vittima di un duplice equivoco creato dai Cinque Stelle nel 2018. Questa misura non è un “reddito di cittadinanza”, cioè un reddito universale che soddisfa i bisogni basilari di tutti, sia i lavoratori che i non lavoratori. In più esclude milioni di persone in povertà assoluta, penalizza le famiglie numerose, esclude gli extracomunitari residenti da meno di dieci anni e non contempla il milione di poveri in più prodotti solo nel 2020 dalla crisi innescata dal Covid. Non è un reddito minimo garantito che potrebbe coinvolgere i lavoratori poveri. La truffa semantica del “reddito di cittadinanza” non è una “politica attiva del lavoro”. In Italia non esiste, né esisterà (per fortuna) per la prossima generazione un sistema organico di Workfare, ma si prospetta il taglio del sussidio con il passare dei mesi. Ci sarebbe bisogno di una riforma del titolo V della Costituzione che lascia alle regioni la competenza decisiva sulle politiche occupazionali e impedisce di centralizzarle nel governo. La riforma fu inserita da Renzi nel “suo” referendum giustamente bocciato. L’obiettivo è lo stesso: stigmatizzare i poveri e imporre lavori precari o gratuiti. Nessuno nel Palazzo parla di una riforma universale del Welfare e di estendere il “reddito di cittadinanza” in un reddito di base decisivo per affrontare la riconversione ecologica.

Un sindacato sempre più disallineato

Parigi, 7 luglio 2021. “In Italia il tasso di disoccupazione giovanile è salito ulteriormente da un livello già molto alto di 28,7%, raggiungendo il 33,8% nel gennaio 2021”. Questo l’allarme lanciato dall’Ocse durante la presentazione dell’ultimo rapporto sulle Prospettive occupazionali. Secondo gli ultimi dati disponibili (Ufficio studi Confartigianato) il totale dei giovani (24-35 anni) senza lavoro è di quasi due milioni (1.944.000). Chi si occupa di lavoro – i sindacati – con simili numeri dovrebbe mettere il welfare al centro delle proprie battaglie, perché puntare alla “piena occupazione”, come ribadito da Maurizio Landini sul palco di San Giovanni lo scorso 16 ottobre, è pura utopia. E, chi si occupa di lavoro – sempre i sindacati – dovrebbe battagliare strenuamente per un vero reddito minimo. E invece cosa fa? Pensioni! Pensioni! Pensioni! Questo l’unico tema caldo, questo l’unico motivo che potrebbe portare allo sciopero generale. Non il 33,8% di disoccupati, non il 25,9% di giovani senza lavoro a fronte del 15,7% della media dei Paesi Ue. Le pensioni! Da qui, da un simile disallineamento rispetto ai reali bisogni della società, si capisce la crisi del sindacato come strumento di lotta, con il boom in termini di iscritti dall’inizio della pandemia dovuto ai servizi offerti. Ma un sindacato che non si occupa di due milioni di under 35, un sindacato che leggendo simili numeri parla di apprendistato, stage e tirocini da riformare e non di formazione e reddito minimo, è un sindacato destinare a sparire. O, al massimo, a diventare un semplice Caf. Un Centro di Assistenza Fiscale. Dove andare per fare magari richiesta proprio di quel reddito di cittadinanza tanto criticato.

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