di Lino Palanca
Come a suo tempo promesso cambiamo territorio e veniamo a quello di casa nostra. Dialetto e usanze e storielle che accompagnano il nostro crescere civile.
PAROLE e regolette
* ‘mbadurlà’
Perdere tempo, trattenersi più del necessario con una persona o in un luogo, magari per chiacchierare o guardare. Il verbo è usato alla forma riflessiva ‘mbadurlàsse. Esiste una piccola parentela con l’italiano battolàre (chiacchierare), ma a me sembra più fondata la tesi di Alfredo Panzini che nel suo “Dizionario Moderno” (Milano, Hoepli 1905) designa come all’origine la voce romagnola badarellàrsi con significato di trastullarsi, giocare. Entrambe le voci potrebbero derivare dal latino volgare batàre, stare a bocca aperta, indugiare, trattenersi, con lenizione da T a D, fenomeno tipico dei dialetti settentrionali: dunque batàre più il probabile incrocio con il volgare italiano badaluccàre, prendersi tempo.
Rilevo che lo stesso fenomeno è avvenuto nel provenzale dove batàre è diventato badàr da cui il francese badeau, colui che resta a bocca aperta. Nel francese moderno badaud ha assunto il significato di passante che si attarda a guardare con curiosità qualunque cosa, anche banale, accada sulla sua strada.
Sono sostanzialmente d’accordo con me Giovanni Marinelli e Fabio Serpilli, autori di dizionari dei dialetti di Numana e Agugliano, che riportano rispettivamente badullàsse nel numanese e badurlàsse nell’aguglianese in entrambiui casi con il significato di trastullarsi.
* metatesi
La metatesi è la trasposizione di fonemi all’interno di una parola. Un esempio è dato dalla lettera R dopo consonante in seconda sillaba: dréntu è forse il caso più ricorrente, ma si possono citare come esempi anche: latino de rètro>drètu – fèbris>frè(v)e – incastràre >’ncrastà’ – theàtrum>triàtu .
Si danno situazioni di metatesi reciproca di due consonanti: battécca per l’italiano bacchetta, cèrqua per l’italiano quercia, gamazzì’ per l’italiano magazzino.
I casi di dréntu e battécca si registrano pure a Loreto, Castelfidardo, Numana (anche drénta) e altrove.
* suoni parassiti
Si creano soprattutto perché il dialetto, come l’italiano del resto, non conserva le consonanti finali. Il nome proprio Davìd è diventato Dàvide in italiano e Da(v)ìdde nel dialetto. Il suono parassita è la “e” finale. Ancora: latino làpis>àbise, àmen>ammènne o àmmene. Il suono parassita è pure rappresentato dall’aggiunta di una “v” iniziale: dialettale vòttu per otto, vurlà’ per urlà, vógne per ungere, con riscontri in Istria: vòto per otto, vurlà’ per urlare (e, ovviamente, nel Veneto: vòvo per uovo, vingiòstro per inchiostro).
Un altro caso è dato dalla concrezione dell’articolo quando questi finisce per fare corpo con la parola preceduta a causa della reciproca e lunga frequentazione: sulla scorta del francese l’ierre (l’edera)<latino hèdera, che è diventato lierre, il dialetto presenta casi come làle (le ali), lónne (le onde), lùtru (ùterus).
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