di Nicolò Bellanca
L’idea del Green New Deal (d’ora in avanti, GND) risale almeno ad una decina di anni fa, e fu inizialmente sostenuta sia da gruppi di studiosi, sia da organizzazioni internazionali. Essa ha però guadagnato le prime pagine dei media da quando è diventata un pilastro del rilancio dei Democratici americani ed è stata inserita nei programmi elettorali di tutti i candidati di quel partito alla Casa Bianca.[2]
In questa sua ultima versione, il GND mira a sganciare completamente l’economia degli Stati Uniti dall’uso dei combustibili fossili entro il 2050. Mentre oggi le fonti di energia rinnovabile – l’energia solare, eolica, geotermica, l’idroelettrica su piccola scala e la bioenergia a basse emissioni – coprono in quel Paese circa un quinto del totale, e mentre, se perdurano gli attuali trend, tali fonti soddisferebbero alla metà del XXI secolo soltanto il 31% del fabbisogno complessivo, il GND punta all’ambizioso obiettivo di una transizione verso il 100% di energia pulita.
Ciò comporta ingenti investimenti pubblici – da reti per la ricarica dei veicoli elettrici all’adeguamento degli edifici esistenti, da nuovi percorsi ferroviari ad alta velocità ai sussidi all’energia non a base di carbonio – e include la generazione di nuovi posti di lavoro come risultato diretto delle strategie ambientali. Inoltre, per determinare un adeguato consenso intorno a questa transizione, il GND prevede un vero e proprio nuovo contratto sociale per il Paese: assistenza sanitaria universale, salario minimo più elevato, assistenza all’infanzia, istruzione superiore gratuita, lotta ai monopoli e alle loro conseguenze deleterie sul lavoro e sulla società.
Nessuna tra le elaborazioni disponibili del GND fornisce precise stime sulle risorse necessarie; è tuttavia possibile rendersi conto dell’ampiezza dell’iniziativa, considerando ad esempio che Bernie Sanders pianifica investimenti pari a 16 trilioni di dollari (dove un trilione è pari a mille miliardi) in 15 anni. Tra le voci dalle quali reperire i fondi spicca una maggior tassazione dei redditi più elevati, con un’aliquota massima al 70% per i redditi oltre i dieci milioni di dollari.[3]
Il GND è l’unico approccio alla stabilizzazione del clima che progetta interventi sistemici di magnitudine adeguata e che, allo stesso tempo, si propone di espandere opportunità di lavoro di buona qualità, invertire l’andamento delle disuguaglianze e aumentare gli standard di vita di massa. Esso appare quindi l’unica prospettiva in grado di rispondere, oltreché ai problemi ambientali, all’ascesa così del neoliberismo globale come di forme nazionali di populismo di destra e di sovranismo.
Nondimeno, il GND riceve serie critiche, negli Stati Uniti e altrove, nel dibattito tra le forze progressiste. È utile richiamarne alcune, in quanto esse sollevano argomenti di enorme rilevanza per il nostro comune futuro, e per le sorti politiche della sinistra mondiale.
Cominciamo annotando che esiste un largo consenso su due circostanze: per un verso, qualsiasi piano efficace per evitare la crisi climatica deve porre fine alla nostra dipendenza dai combustibili fossili, puntando alla loro graduale eliminazione, a interrompere le nuove estrazioni e a tassare le emissioni nocive; per l’altro verso, la sostituzione dei combustibili fossili con energia rinnovabile ha già un costo competitivo e in rapida ulteriore diminuzione, ed è in grado di soddisfare l’intero fabbisogno energetico.[4]
Tuttavia, afferma la prima critica, fornire energia pulita è soltanto un aspetto di un’economia sostenibile. Occorre infatti considerare le altre risorse naturali: «la tendenza al degrado non può essere annullata per quanto riguarda le altre risorse, bensì solo ritardata. L’economia circolare dispiega modalità più o meno sofisticate per rallentare questo percorso irreversibile, dalla progettazione per garantire una lunga durata ai prodotti alla loro rifabbricazione, dalla sharing economy al riciclo dei rifiuti. Non esiste però un fattore equivalente all’energia solare in grado di invertire il degrado delle risorse salvo il comparto, limitato per quanto importante, della produzione di biomateriali».[5]
Ne segue che la decarbonizzazione dell’economia – sulla quale si concentra il GND – non è sufficiente se lasciamo intatti i modelli di produzione e consumo, di urbanizzazione e trasporti, di agricoltura e allevamento del bestiame, che alimentano il capitalismo globale. Anche un pianeta che azzerasse la produzione di CO2 dovrebbe ancora affrontare enormi crisi ecologiche: dalla perdita della biodiversità alla deforestazione, dall’acidificazione degli oceani alla sovrappopolazione, dalla grave perturbazione del ciclo dell’azoto (e di altri cicli biogeochimici) alla concentrazione di ozono nell’atmosfera.
Un ventaglio di quattro critiche riguarda le energie rinnovabili.
1) Per produrre grandi quantità di energia solare ed eolica, occorre costruire infrastrutture per le quali sono decisivi i metalli. Le indagini più autorevoli segnalano che si richiede un aumento massiccio, rispetto ai livelli attuali di prelievo, per rame, piombo, zinco, alluminio, argento, ferro o palladio, ma anche per i metalli più rari come cobalto, cadmio e rutenio.[6] Oltre al rischio di esaurimento di questi metalli, il problema nasce dagli effetti della loro estrazione sulla deforestazione, sull’equilibrio degli ecosistemi e sulla perdita di biodiversità.[7]
2) «Se la storia ci insegna davvero qualcosa, le transizioni energetiche non sono mai esistite. Non siamo passati dal legno al carbone, poi dal carbone al petrolio, quindi dal petrolio al nucleare. La storia dell’energia non è una storia di transizioni, ma di “addizioni” successive di nuove fonti di energia primaria».[8] Il pericolo non è che, nei prossimi decenni, difetti la diffusione dell’energia rinnovabile, bensì che questa, malgrado le misure sanzionatorie previste nel GND per l’uso dei combustibili fossili, si cumuli alle fonti tradizionali.[9]
3) Le attività più pulite dipendono spesso, mediante una rete di beni e servizi intermedi, da molte altre attività più sporche.[10] Ad esempio, non è scontato che il passaggio alle automobili elettriche sia una misura green: è vero che la rete elettrica che fornisce energia a queste auto è relativamente pulita, ma in Cina il 47% dell’elettricità deriva dal carbone, dunque un passaggio alle auto elettriche sarebbe una catastrofe per i cambiamenti climatici.[11]
4) Tante volte si è verificato il cosiddetto effetto-rimbalzo, per cui, all’aumentare della redditività di una fonte energetica, ne aumenta l’utilizzo e alla fine il consumo totale di risorse naturali risulta accresciuto. Ad esempio, in Gran Bretagna tra il 1800 e il 2000 il prezzo della luce (misurata in lumen) è sceso di tremila volte, ma il consumo è aumentato di quarantamila.[12] Ciò potrebbe accadere anche per le energie non a base di carbonio. Nel complesso, le ultime tre critiche aiutano a spiegare il “paradosso dell’energia rinnovabile”, per il quale suoi livelli crescenti sono finora associati a piccole riduzioni di emissioni di CO2, specialmente nei Paesi del Nord del pianeta.[13]
Un’altra critica osserva che l’impatto umano sull’ambiente è direttamente collegato alla crescita economica. Al riguardo, il punto decisivo è il disaccoppiamento tra la crescita e il consumo di risorse naturali. Si ha disaccoppiamento relativo quando la pressione antropica sull’ambiente cresce più lentamente del Pil (il Prodotto interno lordo), ma comunque avanza; esso è invece assoluto quando l’impatto umano sull’ambiente è stabile o in declino, a fronte di un incremento dell’attività economica. L’idea di un disaccoppiamento assoluto implica che, rimpiazzando i combustibili fossili con l’energia pulita, non abbiamo motivo per non continuare a espandere l’economia per sempre, ossia che la “crescita verde” è possibile.[14]
Tuttavia, i dati sono inequivocabili: mentre un disaccoppiamento relativo si è verificato dal 2000, la pressione antropica continua ad aumentare in termini assoluti. La ricerca più recente documenta infatti un enorme aumento nel prelievo di risorse naturali, dai 27 miliardi di tonnellate all’anno nel 1970 ai 92 miliardi di tonnellate nel 2017, con un’accelerazione che appare indipendente dai rallentamenti della crescita demografica e di quella economica e che porterà, ceteris paribus, a 180 miliardi di tonnellate nel 2050.[15] Questo prelievo di risorse è responsabile del 50% delle emissioni di CO2, nonché di oltre il 90% della perdita di biodiversità.
Si aggiunga che le emissioni di gas a effetto serra sono aumentate dell’1,5% all’anno nel corso dell’ultimo decennio, stabilizzandosi solo brevemente tra il 2014 e il 2016, e che le emissioni totali di gas a effetto serra, includendo anche quelli derivanti dal cambiamento di destinazione del suolo, hanno raggiunto il record di 55,3 GtCO2 nel 2018.[16] Pertanto gli studi suggeriscono che il disaccoppiamento assoluto tra la crescita economica e l’uso delle risorse rimane sfuggente e che i nostri problemi ambientali continuano a peggiorare.[17]
L’ultima critica che evochiamo è ormai ammessa perfino da noti autori tecnottimisti come Jeremy Rifkin: «Chiunque vi dica che il Green New Deal preserverà il modo di vivere che conosciamo, edulcorando la transizione verso una società verde, vi sta ingannando. I nostri domani saranno pieni di eventi climatici sempre più intensi che chiederanno un immenso tributo alle nostre comunità, ai nostri ecosistemi e alla nostra comune biosfera».[18] Ne segue che, anche adottando in tempi rapidi e senza esitazioni una versione radicale del GND, dovrà saltare il postulato enunciato da Bush senior al Vertice sulla Terra nel 1992: «The American way of life is not up for negotiation».[19]
Se le sette critiche precedenti tengono, allora nemmeno il GND rappresenta una risposta all’altezza del problema. Non basta decarbonizzare un’economia per renderla sostenibile. Piuttosto, l’unica strategia realistica che l’umanità ha, per evitare il collasso ecologico, consiste nell’a-crescita verde: per migliorare il benessere delle collettività umane, oggi così come domani, è necessario alleggerire adeguatamente la pressione antropica sull’ambiente e, allo stesso tempo, diventare agnostici intorno alla desiderabilità di una crescita economica misurata tramite aumenti del Pil. Gli interventi politici vanno vagliati pragmaticamente.
Da una circostanza all’altra, occorre valutare se la crescita (nella più ampia accezione di Benessere equo e sostenibile) possa ancora servire (come accade nei Paesi poveri), se debba cambiare composizione interna (a favore di beni dematerializzati e a più elevata efficienza energetica), se debba rallentare la propria corsa, se debba fermarsi o se debba diventare negativa (imponendo limiti rigidi all’uso delle risorse: le strategie volte ad aumentare l’efficienza vanno integrate perseguendo il ridimensionamento della produzione economica in molti settori e la riduzione parallela dei consumi, per consentire una buona vita all’interno dei confini ecologici del pianeta).[20]
L’a-crescita verde, «non preoccupandosi più dei cambiamenti del PIL, non costituisce essa stessa la soluzione, ma contribuisce a migliorare la fattibilità sociale e politica delle soluzioni. Elimina i falsi compromessi tra la crescita del PIL e altri obiettivi, rimuovendo il vincolo della crescita prioritaria del PIL».[21] A-crescita non equivale quindi a Non-crescita, come suggerirebbe l’etimologia, bensì indica un atteggiamento laicamente disincantato che cambia di caso in caso.
Riassumendo, il GND è un approccio politico serio e giustificatamente ambizioso. Esso però muove dal presupposto della “crescita verde”: un fenomeno mai verificatosi e la cui possibilità rimane da dimostrare. Soltanto assumendo quel presupposto il GND si presenta come una soluzione win-win in grado di cancellare i conflitti tra gli obiettivi sociali, economici ed ambientali e tra i gruppi umani.
Eppure, malgrado questa sua debolezza, nell’orizzonte politico attuale il GND costituisce l’unica proposta di sinistra che, negli Stati Uniti, potrebbe battere Trump, e che, dalle nostre parti, potrebbe rilanciare una visione centrata su interventi coerenti per migliorare l’uso delle risorse, limitare la disuguaglianza, correggere il sistema finanziario, creare posti di lavoro non precari e cambiare il modo in cui misuriamo i progressi collettivi.
La buona notizia è che il GND, pur con i suoi limiti, non conduce in un vicolo cieco. Esso è parziale ma non sbagliato: può quindi contribuire, come programma elettorale, a creare una vasta alleanza politica tra gruppi sociali, sulla cui base (provare ad) affrontare i nodi più delicati e meno pacifici per evitare la nostra estinzione di massa.
NOTE
[1] Ringrazio Luca Pardi e Jacopo Simonetta per i commenti, senza coinvolgerli nelle tesi che sostengo.
[2] Per i precedenti storici, le elaborazioni in altri Paesi e l’attuale dibattito negli USA, vedi https://en.wikipedia.org/wiki/Green_New_Deal
[3] Per una comparazione tra il progetto di GND formulato da Sanders e quelli degli altri candidati democratici alla Presidenza, vedi https://www.dataforprogress.org/gnd-candidates Qui non ci riferiamo al GND di uno specifico candidato, bensì ad alcuni tratti che accomunano quasi tutte le proposte.
[4] Il “costo livellato” dell’energia di impianti solari su scala industriale e degli impianti eolici è ormai estremamente competitivo. In pochi anni, il solare e l’eolico saranno più convenienti delle energie da combustibili fossili. Vedi https://www.lazard.com/perspective/lcoe2019/ Sulla possibilità tecnica e commerciale di fornire energia rinnovabile al 100% per l’economia globale, vedi http://energywatchgroup.org/new-study-global-energy-system-based-100-renewable-energy
[5] https://www.arpae.it/cms3/documenti/_cerca_doc/ecoscienza/ecoscienza2017_2/Silvestrini_es2017_2.pdf Le “risorse naturali” sono parti del mondo naturale che possono essere utilizzate in attività economiche per produrre beni e servizi. Esse si classificano in idriche, energetiche, minerarie e biologiche. Le risorse energetiche costituiscono quindi un sottoinsieme del problema.
[6] http://espresso.repubblica.it/affari/2018/03/21/news/questi-17-metalli-rari-decideranno-chi-sara-il-padrone-del-mondo-1.319822
[7] World Bank, The Growing Role of Minerals and Metals for a Low Carbon Future, 2017. Vedi anche https://www.nhm.ac.uk/press-office/press-releases/leading-scientists-set-out-resource-challenge-of-meeting-net-zer.html; https://foreignpolicy.com/2019/09/06/the-path-to-clean-energy-will-be-very-dirty-climate-change-renewables/
[8] Christophe Bonneuil & Jean-Baptiste Fressoz, La Terra, la storia e noi, Treccani, Roma, 2019, pp.123-124. Così prosegue il brano: «Questo errore di prospettiva dipende dalla confusione tra relativo e assoluto, tra locale e globale: è vero che nel XX secolo l’uso del carbone è diminuito rispetto a quello del petrolio, ma in termini assoluti il consumo non ha fatto altro che aumentare e a livello globale non se ne è mai bruciato tanto come nel 2014 [l’anno in cui gli autori scrivono]».
[9] Vedi Victor Court & Florian Fizaine, “Long-Term Estimates of the Energy-Return-on-Investment (EROI) of Coal, Oil, and Gas Global Productions”, Ecological Economics, 138, 2017, pp.145-159; Richard York & Shannon Elizabeth Bell, “Energy transitions or additions? Why a transition from fossil fuels requires more than the growth of renewable energy”, Energy Research & Social Science, 51 (2019) 40–43.
[10] Jeroen C. J. M. van den Bergh, “A third option for climate policy within potential limits to growth”, Nature Climate Change, 7, 2017.
[11] Jonathan Safran Foer, Possiamo salvare il mondo, prima di cena, Guanda, Milano, 2019, p.189. Vedi anche https://www.aspoitalia.it/index.php/articoli/articoli-dei-soci/375-l-auto-elettrica-e-gli-effetti-collaterali
[12] Bonneuil & Fressoz, op.cit., p.123.
[13] Richard York & Julius Alexander McGee, “Does Renewable Energy Development Decouple Economic Growth from CO2 Emissions?”, Socius: Sociological Research for a Dynamic World, 3, 2017, pp.1-6; Ryan Thombs, “Has the relationship between non-fossil fuel energy sources and CO2 emissions changed over time? A cross-national study, 2000–2013”, Climatic Change, 148 (4), 2018, pp.481-90.
[14] Un’esauriente e rigorosa critica all’idea del disaccoppiamento assoluto è disponibile all’indirizzo: https://eeb.org/library/decoupling-debunked/ Essa esibisce ulteriori argomenti critici, che qui non esaminiamo.
[15] UNEP (Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente), Global Resources Outlook 2019: Natural Resources for the Future We Want, 2019; Heinz Schandl et al., “Global Material Flows and Resource Productivity: Forty Years of Evidence: Global Material Flows and Resource Productivity”, Journal of Industrial Ecology, 22(1), 2017. Vedi anche https://www.resourcepanel.org/sites/default/files/documents/document/media/global_material_flows_full_report_english.pdf
[16] UNEP (Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente), Emissions Gap Report 2019, november 2019. Gt sta per gigatonnellata.
[17] https://foreignpolicy.com/2018/09/12/why-growth-cant-be-green/
[18] Jeremy Rifkin, Un green new deal globale, Mondadori, Milano, 2019, p.215.
[19] https://en.wikiquote.org/wiki/George_H._W._Bush
[20] In alcuni casi, la crescita zero non è risolutiva. Ad esempio, nonostante il fatto che il Giappone sia stato un’economia vicina alla crescita zero per vent’anni, le sue emissioni di CO2 rimangono tra le più alte al mondo. Robert Pollin, “De-growth vs a Green New Deal”, New Left Review, 112, 2018, p.22.
[21] Jeroen C. J. M. van den Bergh, “Green Agrowth as a Third O
ption: Removing the GDP-Growth Constraint on Human Progress”, WWWforEurope, Policy paper n.19, 2015, p.10.
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