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Dal 6 marzo è possibile presentare presso un Centro di Assistenza Fiscale (CAF) la domanda per ottenere il reddito di cittadinanza. Il reddito di cittadinanza sostituisce il Reddito di inclusione (ReI), che, unito al Sostegno per l’Inclusione Attiva (Sia), nel 2018 è andato a più di un milione di persone, pari a oltre un terzo del totale delle persone in povertà assoluta.
Il ReI era nato per dare risposte ai poveri assoluti, mentre il Reddito di cittadinanza è finalizzato anche ai poveri relativi. L’obiettivo di aiutare, oltre che i poveri assoluti, anche i poveri relativi è certamente lodevole. Per raggiungerlo, però, l’ostacolo maggiore non è solo di tipo finanziario: è evidente che i soldi stanziati non bastano per garantire 780 euro mensili a sei milioni di poveri. Occorre quindi (come sta accadendo) concedere il reddito solo a chi si trova in determinate condizioni. Ma soprattutto occorre non limitarsi al sussidio economico. La povertà è un fenomeno molto complesso. L’esperienza del ReI dimostra quanto variegati possano essere i bisogni dei poveri e quanto sia necessario un intervento integrato fra tutti i servizi e i soggetti (pubblici e privati) che si occupano di povertà.
Emerge così la questione del Centri per l’impiego. I Centri per l’impiego dovrebbere fare tre proposte di lavoro. Oggi questa capacità è ben lungi dall’essere raggiunta e, nonostante i fondi previsti per il loro (giusto) rafforzamento, occorreranno vari anni prima che ci riescano; perciò il rischio che il reddito di cittadinanza si riduca a un sussidio assistenziale è forte.
C’è poi un’altra questione. L’esperienza del Rei ha dimostrato che quello della povertà è un fenomeno molto complesso: bisogna intervenire, oltre che sui centri per l’impiego, anche sulla sanità, sulla scuola e, più in generale, sui servizi sociali per l’intera famiglia. È assurdo affidare l’intera gestione del nuovo reddito di cittadinanza ai Centri per l’impiego; non sono in grado neppure di gestire il rapporto domanda-offerta di lavoro, come potrebbero elaborare e gestire i progetti personalizzati di attivazione e di inclusione sociale e lavorativa previsti dalla legge?
Resta infine, ancora una volta, il nodo giovani. I dati dell’Istat attestano che quasi la metà di coloro che si trovano in povertà assoluta è costituita da giovani fino ai 34 anni. Bisogna affrontare il problema dei bassi salari: i lavori precari sono anche lavori sottopagati; ecco perché fra l’enorme numero di persone in povertà assoluta vi sono non solo i disoccupati, ma anche molti giovani lavoratori. Se con il reddito di cittadinanza non si affronta espressamente questo nodo, la povertà giovanile non diminuirà.
Se si vuole davvero ridurre la povertà e rilanciare i consumi occorre innanzitutto ridurre il cuneo fiscale per chi lavora, garantire la copertura assicurativa e previdenziale fra un lavoro temporaneo e l’altro e aumentare i salari, avvicinandoli alla media europea. Infine occorre reare nuovi posti di lavoro: la crescita dell’occupazione (e di una buona occupazione) deve essere l’obiettivo prioritario di ogni Governo che voglia dare un futuro al nostro Paese.
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