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gliannisessanta. La rivoluzione culturale in cina.

mao

Sotto la guida di Mao Tse- Tung, la Cina tentava nel 1958 “il grande balzo in avanti” in tutti i settori dell’economia e della società. Tutta la popolazione era organizzata nelle “Comuni Popolari” alle quali era affidata la produzione agricola, industriale, il commercio, i trasporti, l’amministrazione locale e l’istruzione pubblica. Il modello di sviluppo scelto si poneva in contrasto con quello sovietico da sempre considerato l’unico possibile nell’edificazione della società socialista. In questo modo iniziavano tra l’URSS e la Cina di Mao profondi contrasti aggravati per tutto il corso degli anni sessanta da scontri a fuoco lungo le rive del fiume Ussuri che segnava il confine tra i due stati. L’URSS accusava la Cina di deviazionismo dal modello marxista – leninista, la Cina considerava i Sovietici “Revisionisti” perché avevano cessato di combattere il Capitalismo e ne erano anzi rimasti influenzati.

Il contrasto si approfondiva all’epoca della “Rivoluzione Culturale” che scuoteva la Cina negli anni 1967- 1970. Le “Guardie Rosse”, i giovani seguaci di Mao attaccavano gli stessi dirigenti del Partito Comunista Cinese, gli intellettuali, i sindacalisti, accusandoli di aver abbandonato la causa del Socialismo e di essersi trasformati in burocrati. Mao, con la “Rivoluzione Culturale”, voleva dimostrare che la lotta per una società libera e socialista non terminava con la presa del potere ma doveva andare oltre e che per distruggere le deviazioni burocratiche e parassitarie del potere, l’unico strumento era l’appello alle masse.

Il pensiero di Mao, conosciuto attraverso “Il libretto rosso”, stampato in Occidente, agì come un potente detonatore sulla contestazione studentesca che ebbe il suo culmine nel ’68.  Ai giovani che leggevano le sue massime, non importava sapere che Mao si riferiva a una realtà sociale del tutto diversa da quella occidentale. Il suo pensiero s’innestava su tanti bisogni che essi sentivano come propri: consapevolezza nelle scelte, rifiuto di ogni delega nella soluzione dei propri problemi, l’appello all’assemblea come l’unica sede per prendere decisioni comuni e poi tanta voglia di ribellarsi al conformismo dominante, alla morale corrente, alle regole codificate, alla banalità soffocante della politica ufficiale.

 

Uno degli strumenti usati da Mao al tempo della “Rivoluzione Culturale” fu il Ta- tze- bao”, il manifesto murale, attraverso il quale gli operai cinesi conoscevano il pensiero del loro condottiero. Il manifesto murale trovò largo impiego anche nelle università europee nei giorni della contestazione studentesca. Era un modo come un altro per far sentire la propria voce che non trovava spazio sulla stampa “padronale”.

 

Raimondo Giustozzi

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