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gliannisessanta. Il Vietnam.

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Una macchia che il presidente Kennedy portava con sé nella tomba era quella legata all’impegno militare americano in Vietnam, voluto da lui stesso per contrastare la sfida lanciata dall’Unione Sovietica il cui presidente N. Kruscev aveva affermato che essa avrebbe appoggiato qualsiasi movimento di liberazione in qualsiasi parte del mondo. Gli USA furono impegnati nello scacchiere del Sud Est Asiatico immediatamente dopo la fine del colonialismo francese che terminava con la sconfitta nella battaglia di Diem Pen Phu. Gli accordi di Ginevra (1954) avevano portato alla nascita di tre stati sovrani, dopo il crollo del colonialismo francese: il Laos, la Cambogia e il Vietnam. Quest’ultimo era temporaneamente diviso in due zone, in attesa che libere elezioni, da tenersi nel 1956 avrebbero portato all’unificazione del paese. In violazione dell’accordo di Ginevra, gli USA, temendo che le libere elezioni avrebbero dato la vittoria alle forze popolari di Ho Chi Minh, di ispirazione comunista, insediarono nel Vietnam del Sud un governo a loro favorevole guidato da Ngo Dinh Diem. Questi contrariamente alle attese di molti senatori americani, fra cui Jonh Kennedy, che credettero di aver trovato in lui l’uomo capace di condurre il Vietnam del Sud verso improcrastinabili riforme economiche e sociali, si rivelò subito come dittatore dispotico, sanguinario ed il suo governo come corrotto e corruttore. Il paese rimase in un vortice di lacerazioni profonde. I monaci buddisti si bruciavano vivi nelle piazze per protestare in tal modo contro la corruzione dilagante e la politica di repressione attuata da Diem e dagli americani. Nel Dicembre 1960 veniva creato intanto il Fronte di Liberazione Nazionale in mano ai Vietcong, decisi ad affossare definitivamente il governo Diem attraverso la lotta armata. L’impegno americano, limitato sotto la presidenza Kennedy a 16.000 consiglieri militari americani, divenne col tempo massiccio, fino all’impiego di 500.000 uomini negli anni cruciali del conflitto che si protrasse per tutto il corso degli anni sessanta, con devastazioni e orrori simili a quelli che il mondo aveva conosciuto durante la seconda guerra mondiale. In America si era convinti, all’inizio, che la sola presenza dei soldati americani avrebbe comunicato ai militari del Vietnam del Sud, il dinamismo e l’iniziativa indispensabili per la vittoria finale. La previsione si rivelò del tutto infondata. Il Fronte di Liberazione Nazionale non era per niente vinto, anzi trovava sempre più simpatizzanti in vasti strati della popolazione che era apertamente ostile a Diem, il dittatore del Vietnam del Sud che fu destituito a seguito di un colpo di stato militare, appoggiato dagli USA che gli preferirono il colonnello Van Thieu. Per venire a capo della guerra, gli USA presero una decisione avventata che si rivelò con il tempo gravida di conseguenze: l’inizio dei bombardamenti, nel Febbraio 1965 sotto la presidenza Johnson, sul Vietnam del Nord, credendo che Hanoi, la capitale del Nord inviasse, armasse e guidasse i guerrieri Vietcong. In realtà ad alimentare la guerra contro gli americani e il Vietnam del Sud era per il momento solo il Fronte di Liberazione Nazionale. Fu solo con l’inizio dei bombardamenti su Hanoi e su altre grandi città del Nord che i Vietcong incominciarono ad avere aiuti militari dalla Russia e dalla Cina, in risposta al massiccio intervento americano. La decisione da parte americana di iniziare i pesanti bombardamenti al nord del 17° parallelo nacque anche da un errore di valutazione delle capacità di resistenza di tutto un popolo che lottava per la creazione di un Vietnam libero e indipendente. Allora non c’era da parte americana nemmeno il dubbio che il Comunismo potesse scaturire dalla corruzione portata nella società sud vietnamita dal neocolonialismo militare americano. L’anno cruciale del conflitto fu il ’68. L’offensiva del Tet, il Capodanno lunare vietnamita, scatenata dai Vietcong contro tutto il Vietnam del Sud, portò il 31 gennaio 1968, all’occupazione se pur temporanea dell’ambasciata americana a Saigon, capitale del Sud Vietnam. Mentre sul piano militare, i marines americani erano umiliati con attacchi improvvisi operati da un esercito fantasma, guidato dal generale Ho Chi Minh, che sapeva districarsi brillantemente in mezzo alla giungla, cresceva negli stessi Stati Uniti e nel mondo la protesta contro l’imperialismo americano nel sud- est asiatico e nelle manifestazioni di piazza erano sempre i giovani ad essere i protagonisti indiscussi. Quando la protesta non sfociava in cortei davanti alle ambasciate americane delle maggiori città europee e del mondo trovava nelle canzoni il modo più immediato per manifestarsi: “Mentre fai la tua scalata,/ vecchio Sam che cosa vedi/ cosa vedi, cosa vedi,/ cosa vedi da lassù. / C’è una terra ormai bruciata/ dove sei passato tu. / Ma ti trema sotto i piedi/ scricchiolando ogni piolo/ insorgendo, fischia il vento/ ha la gabbia ancor più solo. / Questo tuo isolamento se non/ sai come si chiama,/ noi lo chiamiamo Vietnam,/ Vietnam, Vietnam, / Dove vai su quella scala,/ dove vai vecchio zio Sam”. La contestazione giovanile contro l’imperialismo americano aveva modo di manifestarsi nel testo di un’altra canzone allora in voga: “La gioventù del mondo/ ha scelto la sua strada/ contro l’imperialismo/ per una nuova società. / Brasile, S. Domingo, Americana Latina, / se giri perle strade/ senti gridar così: / Yankee, Yankee, Yankee,/ tornatevene a casa,/ Yankee, Yankee, Yankee/ levatesi di qui”.

 

TUTTE LE GUERRE SONO ATROCI, MA NON TUTTE SONO UGUALI: LA STRAGE DI SONG MY, VILLAGGIO DI MY LAI

Negli USA, una parte consistente della popolazione avvertiva con precisione il disagio morale e qualunque era la sua appartenenza sociale o la sua età, manifestava pubblicamente il suo rifiuto per questa guerra. Furono anche alcune interviste rilasciate dai “reduci” del Vietnam alla BBC, che svelarono alcuni degli episodi più crudeli del conflitto. Il 16 marzo 1968, la compagnia del tenente William Calley investì e rase al suolo l’intero villaggio di My Lai nei pressi di Song My. L’operazione si concluse con lo sterminio in massa di vecchi, donne e bambini. Centinaia i morti del tutto innocenti. Il massacro dimostrò al mondo che se tutte le guerre sono atroci, esse sono anche uguali e ravvivò la volontà di lottare contro ogni guerra che una volta esplosa arreca con sé i suoi eccidi di vittime innocenti. Pesanti furono i bombardamenti di Hue, città d’immenso valore storico per i vietnamiti, quasi interamente distrutta durante il corso di furiosi combattimenti tra i marines americani e i vietcong, analogo fu il destino di Quan Tree sepolta sotto un cumulo di macerie dopo i bombardamenti dell’artiglieria americana rovesciati sulla città nel 1968. La guerra condotta dagli americani con grande dispiegamento di mezzi, dalle armi convenzionali a quelle chimiche e batteriologiche: i terribili defolianti che distrussero intere foreste per snidare i Vietcong che battevano le zone attorno e lungo il fiume Me Cong, i bombardamenti aerei operati dai famosi B52, rappresentò lo scontro tra la tecnologia più avanzata dell’Occidente contro un piccolo e povero paese dell’Oriente. Il mondo rimase attonito nell’assistere alla sconfitta di uno dei più potenti eserciti del mondo. Lo scontro fu anche quello tra una concezione della vita chiusa nella breve e frenetica esistenza individuale qual è quella occidentale e quella concepita invece per generazioni, in un ciclo indefinito, in armonia e in simbiosi con la natura, qual è la concezione della vita nella cultura del popolo vietnamita. L’affidare alle generazioni successive quello che non si è potuto compiere nella propria vita individuale è una costante della società vietnamita. Si tratta in definitiva di una diversa interpretazione della natura e del posto che l’uomo vi occupa. L’occidentale, nel Vietnam, è considerato l’uomo che ha fretta, che non rispetta i ritmi scanditi dalla natura. Il Vietnamita sa che il tempo gli appartiene, che il tempo gli porterà trionfo. Il tempo occidentale è frazionato, diversificato, quello vietnamita è unitario, uniforme. Molti trovarono anche in queste ragioni profonde i motivi della disfatta militare degli USA.

C’era un ragazzo
che come me amava i Beatles
e i Rolling Stones
girava il mondo, veniva da
gli Stati Uniti d’America.
Non era bello
ma accanto a sé aveva mille donne se
cantava «Help» e «Ticket to ride»
o «Lady Jane» o «Yesterday».
Cantava «Viva la libertà» ma
ricevette una lettera,
la sua chitarra mi regalò
fu richiamato in America.
Stop! coi Rolling Stones!
Stop! coi Beatles. Stop!
Gli han detto vai nel Vietnam
e spara ai Vietcong…
Ta ta ta ta ta…
C’era un ragazzo
che come me amava i Beatles
e i Rolling Stones
girava il mondo, ma poi finì
a far la guerra nel Vietnam.
Capelli lunghi non porta più,
non suona la chitarra ma
uno strumento che sempre dà
la stessa nota ratatata.
Non ha più amici, non ha più fans,
vede la gente cadere giù:
nel suo paese non tornerà
adesso è morto nel Vietnam.
Stop! coi Rolling Stones!
Stop! coi Beatles. Stop!
Nel petto un cuore più non ha
ma due medaglie o tre…
Ta ta ta ta ta…

Gianni Morandi (Migliacci – Lusini 1966)

Si tratta di una canzone scritta da Franco Migliacci e Mauro Lusini per il testo e dal solo Lusini per la musica, e presentata da Morandi al Festival delle Rose 1966 in abbinamento con la versione dell’autore. L’accoglienza del pubblico fu tiepida, ma c’è da dire anche che il brano non venne promosso in televisione per la rigida censura dell’epoca che vietava qualsiasi accenno di polemica sulle scelte in politica estera di uno stato “amico”. Tutto il testo, infatti, è una dura condanna della guerra in Vietnam. I due versi “Gli han detto vai nel Vietnam/ e spara ai Vietcong” dovevano essere sostituite da parole senza senso. Il  brano è stato interpretato in seguito in Italia da Lucio Dalla e Fiorello, che nel 1992 la inserisce nell’album Nuovamente falso, imitando la voce di Morandi. Il brano è stato inciso da vari artisti stranieri.

Raimondo Giustozzi

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