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Dialoghi in corso. Anche in Francia l’emancipazione delle donne non è in mano a chi governa

Fonte. Yilenia Gironella

Fonte. Yilenia Gironella

Ylenia Gironella

Perché scendere in piazza per difendere i diritti delle donne quando così numerosi politici giurano di mettere in atto l’ uguaglianza uomo-donna a colpi di leggi e di riforme “progressiste”? Cosa rimane da conquistare per le donne e le minoranze di genere scendendo in piazza? “La nostra parola d’ ordine è che lo Stato è dalla parte delle donne” ha affermato Marlène Schiappa, segretario di Stato per l’ uguaglianza ed esponente femminista del governo Macron, in chiusura del suo “tour de France dell’ uguaglianza”. Queste parole da sole bastano a convincerci a restare in casa l’ 8 marzo? In questo giorno di mobilitazione e di sciopero su scala internazionale per i diritti delle donne e delle minoranze GLBTI manifesteremo in piazza per ricordare che l’emancipazione femminile non è in mano a Edouard Philippe e a Marlène Schiappa o a Muriel Pénicaud ma che oggi come ieri è nelle mani degli sfruttati, uomini e donne, che alzano la testa per la loro emancipazione.

Quest’ anno la giornata internazionale dei diritti delle donne si tiene in un contesto internazionale segnato dall’ offensiva politica e sociale neoliberale, razzista e sessista. Allo stesso tempo assistiamo al ritorno sulla scena del movimento delle donne (Ni Una Menos e MeToo). Con MeToo la questione della violenza di genere è tornata in primo piano in tutta la sua portata. Politici e governo non sono stati in silenzio. Macron e altri hanno optato per un discorso moralizzatore e colpevolista che invita le donne a “uscire dal silenzio” e per tirare l’ acqua al proprio mulino hanno annunciato che l’ uguaglianza di genere sarebbe stata la cifra distintiva del quinquennato presidenziale anche grazie ad un progetto di legge sulla violenza di genere e sessista. Ma quale fiducia possiamo riporre in queste promesse di liberazione fatte seguendo strategie di comunicazione ben collaudate?

Schappa a testa bassa contro le violenze sessite e l’ uguaglianza di genere.

Il progetto di legge contro le violenze sessiste e sessuali è stato discusso la sera del 7 marzo e sarà presentato a fine mese. Esso prevede com’ è noto l’ allungamento del limite di prescrizione a 30 anni dopo la maggiore età per i minori vittime di violenza, fissa il limite del libero consenso a 15 anni e prevede un’ ammenda da 90 a 750 euro per il reato di offesa sessista, ma solo “in caso di flagranza di reato”. Quest’ ultima misura, tanto cara a Marlène Schiappa, non affronta il problema delle violenze che vedono imputati persone di alto profilo come i politici, come dimostrano i casi Darmanin e Hulot che non avranno neppure una sanzione di 750€.

La volontà del governo è di apparire attivo e vigile, difensore di un nuovo femminismo, e capace di risposte per così dire innovative alle questioni della violenza di genere quando perfino due ministri sono implicati in episodi di violenza ed aggressione sessuale. Si tratta di canalizzare e tenere a bada quello che potrebbe diventare un nuovo movimento femminista quando un po’ dappertutto in giro per il mondo i governi sono accusati di essere complici o agenti attivi del perpetrarsi delle violenze contro le donne.

Eguaglianza uomo-donna: parole, solo parole, nient’ altro che parole…

François de Rugy ha aggiunto che l’ aumento del numero di donne presenti in seno all’ Assemblea Nazionale è “un progresso che non si è ottenuto in un giorno solo”. Evidentemente stava pensando al principio di uguale salario per uguale lavoro, enunciato nella Dichiarazione universale dei diritti dell’ uomo del 1948 e riconosciuto nel 1972 o alla legge Veil del 1975. Nel frattempo però, a fronte di questa sbandierata volontà celebrativa delle istituzioni, l’accesso al lavoro, il diritto di lavorare, divorziare, avere un conto in banca o abortire è il risultato delle lotte delle donne (e degli uomini) condotte in momenti cruciali della vita sociale e politica del paese, spesso contro le istituzioni come è avvenuto per il maggio ’68.

Oggi tuttavia l’uguaglianza davanti alla legge non si traduce nell’ uguaglianza reale delle condizioni di vita e lavoro. In barba alle leggi infatti, le donne guadagnano mediamente il 9% in meno degli uomini a parità di lavoro e mediamente il 25% in meno e sono esposte ad ogni sorta di violenza di genere fino al femminicidio (centinaia di episodi in Francia ogni anno).

Muriel Pénicaud si è recentemente indignata per il fatto che il principio di parità di salario a parità di lavoro non venga rispettato da 35 anni. Per ridurre lo scarto e far rispettare l’uguaglianza uomo-donna, Schiappa e il governo promettono una cinquantina di misure. Si tratta di annunci che suonano crudeli dal momento che sappiamo bene che la nuova legge sul lavoro del 2017 porterà alla soppressione dei CHSCT che si facevano carico dei licenziamenti illegittimi e delle questioni di violenza di genere sui luoghi di lavoro. In tempo di crisi, quando bisogna stringere la cinghia, la donne, i precari e gli oppressi sono sempre in prima linea: licenziamenti, disoccupazione…

Donne e minoranze di genere in prima linea sul fronte della lotta di classe

Il governo Macron ha il gusto per la libera iniziativa e la libertà d’ impresa qualunque siano i costi. Per ciò che concerne i lavoratori il governo allenta i controlli sul lavoro e sui contratti lasciando libertà di differenziare i salari. E come sappiamo bene la maggior parte dei settori lavorativi a predominanza femminile sono quelli che presentano le peggiori condizioni di lavoro, i salari più bassi e la maggiore libertà contrattuale.

Per capire questo è sufficiente guardare la situazione dei lavoratori e delle lavoratrici di Onet, grossa impresa di pulizie e di servizi della regione Parsi-Nord che lavora soprattutto in subappalto. Qui i lavoratori sono entrati in sciopero lo scorso novembre e se sono usciti vincitori. Quando si tratta di massimizzare i costi, le imprese che lavorano in subappalto non esitano a fare economie sui diritti dei lavoratori. Su chi possono fare affidamento le lavoratrici di Onet quando l’azienda attacca i loro diritti? Forse su questo governo che incoraggia la privatizzazione, i subappalti, promulga leggi a vantaggio dei soli datori di lavoro? Forse su questo Stato e su queste istituzioni che affidano alle donne tutte le situazioni di bisogno sociale, dall’ educazione alla cura dei figli, e che le obbliga a lavorare part-time o a restare disoccupate? Questo governo che vuole distruggere l’accesso ad una copertura sociale e ad una pensione per tutti e per tutte e che espone le donne lavoratrici ad una condizione di progressiva maggiore debolezza di fronte ai datori di lavoro? Le lavoratrici di Onet hanno sperimentato nel corso dello lungo sciopero di 45 giorni che potevano fare affidamento solo su loro stesse, sulle colleghe e su coloro che le hanno sostenute, contro i datori di lavoro, contro la polizia, la SNCF e contro lo Stato.

La lotta per i diritti delle donne si fa per le strade e con lo sciopero!

Si capisce bene che lo Stato retto e governato secondo i principi del capitalismo non ha alcun interesse a difendere la causa delle donne se non per guadagnare un’ approvazione pubblica di facciata, mentre si muove invece per radicalizzare lo sfruttamento delle fasce sociali più deboli (donne e minoranze di genere anzitutto). Questi miglioramenti in senso progressista, del tutto illusori, dipendono in ultima analisi dai margini di manovra dei governi borghesi che non esitano, in caso di crisi oppure addirittura in concomitanza rispetto a questi pomposi annunci, ad attaccare i lavoratori e le lavoratrici che dicono di voler tutelare. Le donne e le minoranze di genere sono per questo motivo in prima linea nella lotta di classe. Vogliamo ricordare che la storia del movimento femminista è legata alla lotta per condizioni di vita e di lavoro dignitose, lotta che va portata avanti contro i datori di lavoro ma anche contro lo Stato repressore. La lotta di classe è quella condotta dai lavoratori e dalle lavoratrici di Onet che coi loro colleghi di altri settori si sono messi in sciopero, hanno bloccato l’economia, hanno rivendicato i propri diritti, hanno affermato che le situazioni di bisogno non possono ricadere solo sulle spalle delle donne, ma che è lo Stato che deve farsene carico.

Per ottenere più di qualche briciola, per ottenere diritti per tutti, per raggiungere l’ eguaglianza in tutti i settori della vita e le basi materiali per accedervi, per rendere omaggio a tutti e tutte coloro che si sono battuti oggi e andare più lontano nelle conquiste, questa giornata dell’ 8 marzo, giornata di sciopero e mobilitazione, deve essere una giornata in cui i luoghi di lavoro, di studio e anche le strade si riempiono delle voci delle donne, degli studenti, dei lavoratori, dei disoccupati e dei precari.

Non aspettiamo Macron, non aspettiamo Schiappa, non aspettiamo che sia lo Stato capitalista a liberare le donne, gli oppressi e i lavoratori: la liberazione delle donne, degli oppressi e degli sfruttati è tutta nelle nostre mani.

Cécile Manchette

Nicolas-Marie Santonja

traduzione di: Ylenia Gironella

8 MARZOGIORNATA INTERNAZIO

 

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