bacheca social

FAI UNA DONAZIONE





Sostieni questo progetto


A tutti i nostri lettori

A tutti i nostri lettori . Andremo dritti al punto: vogliamo chiederti di proteggere l’indipendenza dello Specchio Magazine. Se tu e tutti coloro che stanno leggendo questo avviso donaste un caffè, potremmo permetterci di far crescere l’Associazione lo Specchio e le sue attività sul territorio. Tutto quello di cui abbiamo bisogno è il prezzo di una colazione o di una rivista nazionale. Questa è la maniera più democratica di finanziarci. Con il tuo aiuto, non negheremo mai l’accesso a nessuno. Grazie.
marzo 2018
L M M G V S D
« Feb   Apr »
 1234
567891011
12131415161718
19202122232425
262728293031  

Cultura. Il romanzo psicologico di Italo Svevo.

Svevo

Una vita (1893), Senilità (1898), La coscienza di Zeno (1923)

Italo Svevo – Biografia

Italo Svevo, pseudonimo di Aron Hector Schmitz (Trieste 1861 – Motta di Livenza 1928), è stato uno scrittore e drammaturgo italiano, autore di tre romanzi: “Una vita”, “Senilità” e “La coscienza di Zeno”. Aveva posto mano anche a un quarto romanzo rimasto incompiuto: “Il vecchione o le confessioni di un vegliardo”. Non ebbe il tempo per portarlo a termine perché la morte lo colse all’improvviso. Era il 12 settembre 1928. Stava ritornando verso casa da Bormio, dove aveva trascorso un periodo di cure termali. Viaggiava in macchina con la moglie Livia Veneziani, la figlia Letizia e l’autista. All’altezza di Motta di Livenza, in provincia di Treviso, la comitiva ebbe un pauroso incidente stradale. Nell’impatto, Italo Svevo riportò la rottura del femore ma fu colpito da un improvviso arresto cardiaco e da un violento attacco d’asma. L’enfisema polmonare di cui soffriva da qualche tempo e lo stress psicofisico dell’incidente fecero il resto. Ricoverato d’urgenza presso il nosocomio morì il giorno successivo, 13 settembre alle 14,30. Si chiudevano così una vita e l’attività letteraria di uno scrittore che venne fatto conoscere nei salotti letterari europei da James Joyce, grande scrittore irlandese che soggiornò a lungo a Trieste. La fama letteraria di Italo Svevo venne dopo la sua morte. Molti critici lo considerano uno dei più grandi scrittori italiani del Novecento. In vita, i suoi romanzi non ebbero il successo tanto sperato.

Aron Hector Schmitz, in arte Italo Svevo, nasce a Trieste nel 1861, quando la città faceva ancora parte integrante dell’impero austro – ungarico, in una famiglia borghese di religione ebraica. Il padre Franz è tedesco, la mamma, Allegra Moravia è italiana. Il padre è commerciante di vetrami e titolare della propria ditta. Le agiate condizioni economiche gli permettono di mandare il proprio figlio, assieme ai due fratelli Adolfo ed Elio, al collegio di Segnitz, in Baviera. E’ il 1874. Hector Schmitz ha soltanto tredici anni, l’età adatta per apprendere il tedesco e altre materie utili per l’attività commerciale nel caso in cui, da grande avrebbe scelto questa strada. Nel 1878, terminato il soggiorno in Baviera, Hector Schmitz ritorna a Trieste, padrone della lingua tedesca e, su suggerimento del padre, s’iscrive all’Istituto Superiore “P. Revoltella”. Due anni dopo la ditta di famiglia è in preda a gravi difficoltà economiche che finiscono in breve nel fallimento. L’agiatezza conosciuta per diciannove anni scompare e Hector Schmitz è costretto a trovarsi subito un lavoro. Viene assunto come impiegato presso la filiale triestina della banca “Union” di Vienna. L’ambiente della banca, il ceto impiegatizio, che vi lavora, diventeranno i luoghi e i personaggi dei suoi romanzi. Intanto comincia a scrivere i primi drammi, pur continuando a svolgere il proprio lavoro da impiegato. Nel dicembre 1880 propone a Giuseppe Caprin, direttore del giornale “L’Indipendente”, di lingua italiana, un articolo intitolato Shylock, per un’imminente rappresentazione del Mercante di Venezia. Comincia così la sua attività di scrittore. Nel 1890, sempre sullo stesso giornale, pubblica a puntate il racconto L’assassinio di via Belpoggio, sotto lo pseudonimo “Ettore Samigli”. Frequenta la biblioteca civica di Trieste, legge i classici italiani e i naturalisti francesi. Indirizza i propri interessi verso la filosofia di Arthur Schopenhauer e Friedrich Nietzsche e legge le opere di Charles Darwin. Conoscitore profondo della lingua e della cultura tedesca del proprio tempo, Ettore Samigli non rinnega la propria italianità ma si apre alla cultura mitteleuropea di cui la città di Trieste è molto ricca. Negli ambienti colti della città è considerato privo di lettere, armonia e ripulitura. Sono giudizi malevoli che non gli impediscono per niente di continuare la propria attività di scrittore unita al lavoro da impiegato presso la banca, posto che aveva accettato come una necessità inderogabile.

Nel frattempo si abbattono su Ettore Samigli molti lutti familiari. Nel 1886 gli era morto il fratello Elio. Il padre, distrutto dal fallimento economico della ditta, entrato in una lunga e profonda depressione, muore nel 1892; tre anni dopo, nel 1895, muore la mamma. Ettore è un uomo solo. Matura intanto l’amicizia con il pittore impressionista Umberto Veruda e nel 1892 inizia a frequentare la cugina Livia Veneziani, figlia di un ricco industriale. Nello stesso anno, Ettore Samigli diventa Italo Svevo e con questo pseudonimo propone all’Editore Treves il romanzo L’inetto che non è tenuto in nessuna considerazione dall’editore. Italo Svevo non si dà per vinto. Pubblica a proprie spese presso l’editore triestino Vram lo stesso romanzo al quale ha dato un nuovo titolo: Una vita, con la data dell’edizione posticipata al 1893. Il 30 luglio del 1896 Italo Svevo sposa Livia Veneziani con la quale si era fidanzato nel 1895. Dal matrimonio, nasce nel 1897 la prima figlia, Letizia Svevo che avrà una vita molto lunga (20 settembre 1897 – 26 maggio 1993) ma caratterizzata da molti lutti e tragedie. I tre figli moriranno in guerra, due dispersi in Russia, uno a Trieste durante l’insurrezione contro i nazisti il primo maggio del 1945.

La produzione letteraria di Italo Svevo, intanto, continua. Nel 1898 pubblica il secondo romanzo, Senilità, anche quest’opera, però passa sotto silenzio. Questo insuccesso letterario lo spinge quasi ad abbandonare del tutto la letteratura. Dimessosi dalla banca, nel 1899 Svevo entra nell’azienda del suocero, fabbrica che produce vernici, accantonando la propria attività letteraria, che diventa quasi marginale. E’ costretto per lavoro a spostarsi frequentemente all’estero; nel tempo che gli rimane, compone qualche pagina teatrale e scrive alcune favole. Nel 1907, frequentando un corso d’inglese alla Berlitz School di Trieste, conosce lo scrittore irlandese James Joyce che aveva fatto della città friulana quasi una sua seconda patria. Nel 1910, grazie al cognato Bruno Veneziani, entra in contatto con la psicanalisi di Sigmund Freud e nell’anno successivo conosce e frequenta Wilhelm Stekel, allievo di Freud, che si sta occupando del rapporto tra poesie e inconscio. Svevo conosce perfettamente il tedesco e traduce in Italiano l’opera fondamentale del padre della Psicanalisi, L’Interpretazione dei sogni. Allo scoppio della prima guerra mondiale, Italo Svevo rimane nella propria città natale, cercando di restare il più possibile neutrale di fronte al conflitto. Dopo la guerra, nel 1919 raggiunge James Joyce, che si era trasferito nel frattempo a Parigi. Rientrato a Trieste, passata al Regno d’Italia, inizia la collaborazione con il giornale La Nazione, fondato dall’amico Giulio Cesari e prende la cittadinanza italiana. Nel 1923 pubblica il romanzo La coscienza di Zeno, ancora senza successo. Il romanzo viene proposto ad alcuni critici francesi dall’amico James Joyce. Lo scrittore viene apprezzato dagli intellettuali transalpini. In Italia, Eugenio Montale afferma la grandezza dello scrittore triestino e scoppia il “caso Svevo”. Tra gli estimatori dello scrittore, oltre Montale, sono da annoverare Sergio Solmi, Giuseppe Prezzolini e Anton Giulio Bragaglia. Finalmente, dopo tanti insuccessi, Italo Svevo viene stimato come grande scrittore anche negli ambienti letterari italiani. La morte gli impedisce di portare a compimento il quarto romanzo.

Nel quadro della letteratura italiana, l’opera di Italo Svevo si pone come superamento dell’esperienza verista e più in generale delle categorie narrative dell’Ottocento. Nella sua formazione culturale confluiscono da un lato il positivismo di Darwin e il Marxismo, dall’altro il pensiero antipositivista di Schopenhauer, di Nietzsche e Freud. Il romanzo al quale Svevo si ispira è quello psicologico il cui tema dominante è l’esplorazione dell’inconscio, ossia la parte più profonda del pensiero umano caratterizzato soprattutto da una minuziosa analisi interiore dei personaggi delle loro emozioni e stati d’animo. Altro grande autore della narrativa italiana del novecento è Luigi Pirandello. Svevo segue anche la tecnica del monologo interiore e del flusso di coscienza che porta nel testo una continua alternanza di piani temporali (presente e passato). Gli autori europei ai quali Italo Svevo si avvicina sono Marcel Proust e James Joyce, il primo autore del grande romanzo “Gente di Dublino”, il secondo del ciclo narrativo “Alla ricerca del tempo perduto”, con sette romanzi, capolavoro della letteratura mondiale. La narrativa di Italo Svevo tende a presentare un solo protagonista, circondato da un ambiente per lo più borghese e impegnato in un confronto quasi sempre perdente con il mondo circostante. Il teatro dell’azione dei personaggi è la città di Trieste.

“Una Vita” (1893), di Italo Svevo

Trama del romanzo

Alfonso Nitti, giovane intellettuale con aspirazioni letterarie, lascia il paese natale, dove vive con la madre, e si trasferisce a Trieste, trovando un avvilente impiego come bancario. Un giorno viene invitato a casa del banchiere Maller, e qui conosce Macario, un giovane sicuro di sé con cui Alfonso fa amicizia, e Annetta, figlia di Maller, anch’ella interessata alla letteratura, con la quale Alfonso inizia una relazione. Sul punto di sposarla però, Alfonso fugge, così da poter cambiare vita, e torna al paese d’origine, dove la madre, già gravemente malata, muore. Alfonso torna quindi a Trieste, e decide di vivere una vita di contemplazione, lontano dalle passioni. Tuttavia, alla scoperta che Annetta si è fidanzata con Macario, Alfonso si sente ferito e cerca in tutti i modi di ritornare alla situazione precedente, ma non solo fallisce in questo proposito, bensì riesce persino ad aggravare ulteriormente la situazione. Quando, in seguito all’ennesimo equivoco con la famiglia Maller, si trova a dover sfidare a duello il fratello di Annetta, sceglie di suicidarsi e di porre così fine alla sua vita di disadattato.

Incipit del romanzo

«Mamma mia,

«Iersera, appena, ricevetti la tua buona e bella lettera.

«Non dubitarne, per me il tuo grande carattere non ha segreti; anche quando non so decifrare una parola, comprendo o mi pare di comprendere ciò che tu volesti facendo camminare a quel modo la penna. Rileggo molte volte le tue lettere; tanto semplici, tanto buone, somigliano a te; sono tue fotografie.

«Amo la carta persino sulla quale tu scrivi! La riconosco, è quella che spaccia il vecchio Creglingi, e, vedendola, ricordo la strada principale del nostro paesello, tortuosa ma linda. Mi ritrovo là ove s’allarga in una piazza nel cui mezzo sta la casa del Creglingi, bassa e piccola, col tetto in forma di cappello calabrese, tutta un solo buco, la bottega! Lui, dentro, affaccendato a vendere carta, chiodi, zozza, sigari e bolli, lento ma coi gesti agitati della persona che vuole far presto, servendo dieci persone ossia servendone una e invigilando sulle altre nove con l’occhio inquieto.

«Ti prego di salutarlo tanto da parte mia. Chi mi avrebbe detto che avrei avuto desiderio di rivedere quell’orsacchiotto avaro?

«Non credere, mamma, che qui si stia tanto male; son io che ci sto male! Non so rassegnarmi a non vederti, a restare lontano da te per tanto tempo, e aumenta il mio dolore il pensare che ti sentirai sola anche tu in quel grande casamento lontano dal villaggio in cui ti ostini ad abitare perché ancora nostro. Di più ho veramente bisogno di respirare la nostra buona aria pura che a noi giunge direttamente dalla fabbrica. Qui respirano certa aria densa, affumicata, che, al mio arrivo, ho veduto poggiare sulla città, greve, in forma di un enorme cono, come sul nostro stagno il vapore d’inverno, il quale però si sa che cosa sia; è più puro. Gli altri che stanno qui sono tutti o quasi tutti lieti e tranquilli perché non sanno che altrove si possa vivere tanto meglio.

«Credo che da studente io vi sia stato più contento perché c’era con me papà che provvedeva lui a tutto e meglio di quanto io sappia. È ben vero ch’egli disponeva di più denari. Basterebbe a rendermi infelice la piccolezza della mia stanza. A casa la destinerei alle oche!

«Non ti pare, mamma, che sarebbe meglio che io ritorni? Finora non vedo che ci sia grande utile per me a rimanere qui. Denari non ti posso inviare perché non ne ho. Mi hanno dato cento franchi al primo del mese, e a te sembra una forte somma, ma qui è nulla. Io m’ingegno come posso ma i denari non bastano, o appena appena.

«Comincio anche a credere che in commercio sia molto ma molto difficile di fare fortuna, altrettanto, quanto, a quello che ne disse il notaro Mascotti, negli studi. È molto difficile! La mia paga è invidiata e io debbo riconoscere di non meritarla. Il mio compagno di stanza ha centoventi franchi al mese, è da quattr’anni dal sig. Maller e fa dei lavori quali io potrò fare soltanto fra qualche anno. Prima non posso né sperare né desiderare aumenti di paga.

«Non farei meglio di ritornare a casa? Ti aiuterei nei tuoi lavori, lavorerei magari anche il campo, ma poi leggerei tranquillo i miei poeti, all’ombra delle querce, respirando quella nostra buona aria incorrotta.

«Voglio dirti tutto! Non poco aumenta i miei dolori la superbia dei miei colleghi e dei miei capi. Forse mi trattano dall’alto in basso perché vado vestito peggio di loro. Son tutti zerbinotti che passano metà della giornata allo specchio. Gente sciocca! Se mi dessero in mano un classico latino lo commenterei tutto, mentre essi non ne sanno il nome.

«Questi i miei affanni, e con una sola parola tu puoi annullarli. Dilla e in poche ore sono da te.

«Dopo scritta questa lettera sono più tranquillo; mi pare quasi di avere già ottenuto il permesso di partire e vado a prepararmi.

«Un bacio dal tuo affezionato figlio.

Alfonso

Conclusione del romanzo

Signor Luigi Mascotti,

In risposta alla pregiata vostra del 21 corr. vi annunciamo che ci sono del tutto ignote le cause che spinsero al suicidio il nostro impiegato signor Alfonso Nitti. Fu trovato morto nel suo letto il 16 corrente, alle quattro della mattina, dal signor Gustavo Lanucci, il quale, rincasato a quell’ora, s’insospettì per l’intenso odore di carbone che trovò diffuso in tutta l’abitazione. Il signor Nitti lasciò una lettera diretta alla signora Lanucci in cui la dichiarava sua erede. La vostra domanda sulla somma trovata presso il signor Nitti deve quindi essere diretta a quella signora.

I funerali si fecero addì 18 corr. con l’intervento dei colleghi e della direzione.

Con distinta stima vi riveriamo

Maller & Co.

Recensione del romanzo

Tra l’incipit e la conclusione del romanzo c’è tutta la vita del protagonista. Alfonso Nitti, impiegato presso la banca Maller & C., parte dal proprio paese e va ad abitare in casa Lanucci, poco lontano dalla città (Trieste) dove lavora. E’ un intellettuale, sognatore, sincero e altruista. E’ colto. Ama leggere e scrivere. In banca è addetto all’ufficio corrispondenza per la sua conoscenza delle lingue, soprattutto il Tedesco. Il lavoro in banca non gli piace, ma vi si applica con ostinazione e cerca di imparare dagli altri. S’innamora di Annette, la figlia del direttore della banca. E’ diversa da lui in tutto. Appartiene a una classe sociale lontana dalla sua. È una ragazza frivola e civettuola. Manifesta velleità letterarie che non portano a nulla. Sono solo un paravento per nascondere la propria povertà spirituale ed umana. Il papà di Alfonso è un semplice medico condotto che esercita la propria professione in un piccolo villaggio di campagna. Alfonso, perso il padre da ragazzo, si affeziona alla mamma Carolina che viene assistita dal figlio nei suoi ultimi giorni di vita. Alfonso chiede un periodo di riposo dal lavoro in banca per sfuggire alle ripercussioni che potrà avere sul lavoro quando il padre di Annette, il signor Maller scoprirà l’amore nascosto tra la propria figlia ed Alfonso. Francesca, un’altra donna del romanzo, lavora a casa Maller. E’ l’amante del padrone di casa e cerca in tutti i modi di spingere Alfonso verso Annetta, consigliandolo nelle varie situazioni, tutto però con un doppio fine personale. Tiene una corrispondenza con la madre di Alfonso (si conoscono perché Francesca ha passato un anno intero al paese d’origine del protagonista per curarsi dopo una malattia). Lei ricorda più cose del paese e dei suoi abitanti dello stesso Alfonso ed è l’unica presenza amica che il protagonista incontra al primo appuntamento in casa Maller. I compagni di Alfonso in banca sono presi dal proprio lavoro e manifestano nei suoi confronti solo un malcelato fastidio. Macario, un dipendente della Banca e suo amico è il promesso sposo di Annetta nei cui confronti può vantare una posizione sociale più ragguardevole rispetto a quella di Alfonso. Alfonso rimasto solo, decide il suicidio perché è solo così che potrà dare un senso alla propria vita.

Una gita in mare. Macario, Alfonso, Ferdinando

“Macario possedeva un piccolo cutter e frequentemente invitò Alfonso a gite mattutine nel golfo. Nella sua vita triste, quelle gite furono per Alfonso vere feste. In barca gli era anche più facile di dare il suo assenso alle asserzioni di Macario e in gran parte non le udiva. Si trovava ancora sempre alla conquista della solida salute che gli occorreva, riteneva, per sopportare la dura vita di lavoro a cui faceva proponimento di sottoporsi, e gli effluvi marini dovevano aiutarlo a trovarla. Una mattina soffiava un vento impetuoso e alla punta del molo, ove si trovavano per attendere la barca che doveva venirli a prendere, Alfonso propose a Macario di tralasciare per quella mattina la gita che gli sembrava pericolosa. Macario si mise a deriderlo e non ne volle sapere.

Il cutter si avvicinava. Piegato dalle vele bianche gonfiate dal vento, sembrava ad ogni istante di dover capovolgersi e di raddrizzarsi all’ultimo estremo sfuggendo al pericolo imminente. Alfonso da terra era colto da quei tremiti nervosi che si hanno al vedere delle persone in pericolo di cadere e fu solo per la paura delle ironie di Macario che non seppe lasciarlo partir solo… Ferdinando scese a terra e trascinò il cutter per l’albero di prora da un angolo del molo all’altro; poi, un piede puntellato a terra, l’altro sul cutter, lo spinse al largo. Alfonso lo guardò tremando; temeva di vederlo piombare in acqua e, per quanto piccolo, l’imminenza di un pericolo lo faceva sussultare.

– Che agile! – disse a Ferdinando. Gli pareva d’essere in mano sua e aveva il desiderio quasi inconscio d’amicarselo. Ferdinando alzò il capo, giovanile ad onta del grigio nella barba e della calvizie abbastanza inoltrata, e ringraziò. Non essendo suo il mestiere, ci teneva molto ad apparire abile. Comprese però male lo scopo della raccomandazione. Trasse con forza a sé la vela e la fissò, aiutando poscia a tenderla con tutto il peso del suo corpo. Immediatamente il vento che pareva sorgesse allora la gonfiò e la barca si piegò con veemenza proprio dalla parte ove sedeva Alfonso….E passarono accanto al verde Sant’Andrea senza che Alfonso potesse padroneggiarsi. Guardava, ma non godeva. La città, quando al ritorno la rivide, gli parve triste. Sentiva un grande malessere, una stanchezza come se molto tempo prima avesse fatto tanta via e che poi non lo si fosse lasciato riposare mai più. Doveva essere mal di mare e provocò l’ilarità di Macario dicendoglielo. – Con questo mare! Infatti il mare sferzato dal vento di terra non aveva onde. Vi erano larghe strisce increspate, altre incavate, lisce precisamente perché battute dal vento che sembrava averci tolto via la superficie. Nella diga c’era un rumoreggiare allegro come quello prodotto da innumerevoli lavandaie che avessero mosso i loro panni in acqua corrente. Alfonso era tanto pallido che Macario se ne impietosì e ordinò a Ferdinando di accorciare le vele. Si era in porto, ma per giungere al punto di partenza si dovette passarci dinanzi due volte. Si udivano i piccoli gridi dei gabbiani. Macario per distrarlo volle che Alfonso osservasse il volo di quegli uccelli, così calmo e regolare come la salita su una via costruita, e quelle cadute rapide come di oggetti di piombo. Si vedevano solitarii, ognuno volando per proprio conto, le grandi ali bianche tese, il corpicciuolo sproporzionatamente piccolo coperto da piume leggiere”( Una Vita, 111-112)

Annetta e Alfonso: un amore difficile

“Per la prima volta sognò (Alfonso Nitti, protagonista del romanzo Una Vita) di divenire l’amante di Annetta. La cosa gli pareva meno impossibile ora che la vedeva in mezzo a quelle tresche che non si curavano neppure di rimanere celate a lei; il sogno ne era reso più facile. Non seppe però sognare di venirne amato, perché su quel volto calmo, marmoreo non sapeva immaginare l’espressione dell’affetto o del desiderio. Fece un sogno da ragazzo vizioso. Ella si abbandonava a lui fredda, per compiacenza o per vendicarsi di un terzo oppure per ambizione. I suoi sogni sempre cominciavano col ricamare sul reale per poi allontanarsene completamente, e con facilità si figurava di valere tanto agli occhi di Annetta da venirne amato anche per ambizione.

Da solo non trovava la via per recarsi da Annetta. L’invito che gli era stato fatto non gli sembrava abbastanza concreto e il primo mercoledì non vi andò dopo di aver cercato per tutta la settimana inutilmente Macario acciocché lo accompagnasse. Quei suoi sogni su Annetta dovevano renderlo anche più timido pel timore di lasciarne trapelare qualche cosa.

Desiderava però di rivedere Annetta e più intensamente che non la prima volta allorché per lui si era trattato soltanto di farsi ben volere dalla figliuola del suo principale. Ora l’amava! Quello doveva essere l’amore, il desiderio di una persona e di nessun’altra. Egli sottilizzava sui suoi sensi agitati non potendolo su un sentimento qualunque che gli mancava. Nei pochi giorni in cui aveva inutilmente cercato di soffocare i suoi desideri dando loro altra direzione s’era sentito diventare uomo, adulto. Egli desiderava una donna, quella, e tutte le altre, per lui, per i suoi sensi, non esistevano. Si rammentava degli appunti ch’egli aveva fatti alla figura di Annetta e ora si meravigliava di non aver subito compreso che l’originalità di quella figura e la sua bellezza erano precisamente formate da ciò ch’egli aveva qualificato per difetti. Gli occhi poco neri! I capelli non abbastanza ricciuti! Annetta aveva una figura da Venere e quella testa con gli occhi azzurri, tranquilli, i capelli lisci quasi modestamente, era la testa dell’intelligenza. Un bacio su quelle labbra che non sembravano capaci di corrispondervi doveva essere tanto più delizioso!” (Italo Svevo, Una Vita, pag. 126- 127, Roma, 2010, tascabili Newton).

Senilità (1898) di Italo Svevo

Senilità è il secondo romanzo di Italo Svevo. Il tema del romanzo è l’incapacità del protagonista di gestire la propria vita interiore e sentimentale. L’indecisione e l’inerzia con cui Emilio affronta le vicende dalla propria vita lo portano a rinchiudersi nei suoi ricordi, in uno stato di vecchiaia spirituale, da qui il titolo dato al romanzo “Senilità”. Nel 1962 Mauro Bolognini trasse dal romanzo l’omonimo film.

Trama del romanzo

Emilio Brentani, 35 anni, è conosciuto a livello cittadino per aver scritto un romanzo, e lavora come impiegato in una compagnia di assicurazioni. Vive un’esistenza grigia e monotona in un appartamento con la sorella Amalia, che lo accudisce. Emilio conosce Angiolina, di cui s’innamora, e ciò lo porta a trascurare la sorella e l’amico Stefano Balli, scultore, che compensa i pochi riconoscimenti artistici con i successi con le donne. Stefano non crede nell’amore, e cerca di convincere Emilio a “divertirsi” con Angiolina, che è conosciuta in città con una pessima fama. Emilio dimostra invece tutto il suo amore nei confronti di questa donna, arrivando anche a trascurare gli indizi degli amici che cercano di avvertirlo dei suoi numerosi tradimenti. Stefano comincia a frequentare casa Brentani con maggiore assiduità, e Amalia finisce per innamorarsene. Emilio, geloso della sorella, allontana Stefano, e Amalia, tornata triste e malinconica, comincia a stordirsi con l’etere, finché non si ammala di polmonite. Emilio segue la sorella malata, ma col pensiero sempre rivolto ad Angiolina, arrivando anche ad abbandonare la sorella più volte per andare ad un appuntamento con l’amata. Dopo la morte della sorella Amalia, Emilio smette di frequentare Angiolina, pur amandola, e si allontana da Stefano Balli. Viene poi a sapere che Angiolina è fuggita con il cassiere di una Banca. Anni dopo, nel ricordo, Emilio vede le due donne fuse in una singola persona, con l’aspetto dell’amata e il carattere della sorella.

Personaggi

Emilio Brentani, 35 anni, è un intellettuale triestino fallito, perso nel ricordo della piccola gloria di aver scritto un romanzo. Lavora come impiegato in una compagnia di assicurazioni. Si tratta di una persona spesso poco conscia dei propri limiti, costretta dal destino ad accettare un ruolo inferiore a quello desiderato. La sua indolenza, da definire come inettitudine, lo colloca continuamente dalla parte dei perdenti.

Amalia, sorella di Emilio, ne rispecchia in tutto e per tutto mali e debolezze; del resto, il suo nome si trova in rapporto di consonanza con quello di Emilio.

Stefano Balli, scultore, a detta di Emilio, di cui è il migliore amico, si tratta di un suo alter ego di un altro io. È vero che i due passano molto tempo insieme, ma in realtà Balli è una persona assai diversa da Emilio: di personalità forte, Stefano si distingue chiaramente dal suo amico per la sua efficienza ed energia.

Angiolina Zarri. Angiolina, l’amante di Emilio, è una persona esuberante, con una vita sentimentale movimentata. Tra tutti i personaggi, è l’unico capace di realizzare un vero e proprio sviluppo personale, senza porsi troppi scrupoli. Nel romanzo, comunque, i progetti di Angiolina sono descritti soprattutto dalla prospettiva del Brentani e della sua inettitudine. Insieme al Balli, costituisce il polo “sano” del quartetto di protagonisti.

La coscienza di Zeno (1923)

“Rimasto incompreso per lungo tempo, La coscienza di Zeno è il più importante romanzo di Svevo e uno dei capolavori della letteratura italiana contemporanea. È il resoconto di un viaggio nell’oscurità della psiche, nella quale si riflettono complessi e vizi della società borghese dei primi del Novecento e insieme la sua nascosta, tortuosa, ambigua voglia di vivere. L’inettitudine ad aderire alla vita, l’eros come evasione e trasgressione, il confine incerto tra salute e malattia divengono i temi centrali su cui s’interroga Zeno Cosini in queste pagine bellissime che segnarono l’inizio di un modo nuovo di intendere la narrativa. Primo romanzo “psicoanalitico” della nostra letteratura, seppe interpretare magistralmente le ansie, i timori e gli interrogativi più profondi di una società in cambiamento” (Mario Lunetta).

Trama del romanzo

Il protagonista de La coscienza di Zeno è Zeno Cosini, un ricco triestino che per liberarsi dal vizio del fumo si sottopone a una cura psicanalitica che consiste nel mettere per iscritto la propria vita. Il testo si compone di otto capitoli. Nella prefazione, il dottore che ha in cura il protagonista, spiega perché si è deciso di pubblicare la vita del proprio paziente. Nel successivo Preambolo la parola passa a Zeno, che ci dice di non poter recuperare la sua infanzia, ormai troppo lontana nella memoria. Il capitolo Il fumo è dedicato al famoso proposito dell’ultima sigaretta, che Zeno non riesce mai a mettere in pratica, perché ogni volta che si impone di smettere di fumare fallisce per i sotterfugi che egli stesso mette in pratica. Nel capitolo La morte di mio padre invece Zeno torna indietro alla sua giovinezza e al difficile rapporto col padre che, in punto di morte, gli dà uno schiaffo (che poteva anche essere una carezza), che Zeno interpreta come ultima punizione e sberleffo del padre nei suoi confronti.  Nel capitolo La storia del mio matrimonio si parla della frequentazione di Zeno con la famiglia Malfenti e le quattro sorelle Ada, Augusta, Alberta e Anna. Zeno è innamorato della bellissima Ada, ma l’impossibilità di quest’amore lo induce a ripiegare verso Alberta e infine, quasi senza rendersene conto, verso la meno bella Augusta, che però si rivela una moglie modella, dotata di quella concretezza e quella salute di cui Zeno si sente privo. Questo tormento continuo porta Zeno, marito felice, a instaurare un rapporto clandestino con Carla, di cui si racconta nel capitolo La moglie e l’amante. In Storia di un’associazione commerciale Zeno ci conduce all’interno del suo mondo lavorativo e ci racconta il suo rapporto con Guido Speier, marito di Ada, la cui abilità nel lavoro e la cui fortuna in tutte le cose della vita fanno da contraltare ai continui fallimenti di Zeno. Tuttavia Guido si rivelerà alla fine più fragile di quello che sembrava e le improvvise difficoltà lo porteranno al suicidio. Nell’ultimo capitolo, Psico-analisi, la narrazione torna al presente e Zeno annuncia la sua decisione di abbandonare la cura, criticando il metodo psicanalitico del medico e dichiarando di essere guarito dalla sua malattia grazie a una serie di successi commerciali favoriti dallo scoppio della prima guerra mondiale.

Impianto narrativo del romanzo.

A differenza dei precedenti romanzi di Italo Svevo, La coscienza di Zeno è narrato in prima persona, con un narratore interno, quello cioè che ci pone all’interno della storia, di cui è anche uno dei personaggi e che mostra il suo personale punto di vista.  Si può definire questo romanzo come un’autobiografia aperta, in cui il protagonista Zeno Cosini ci racconta la sua vita per episodi sparsi, saltando da un momento all’altro, come se in ogni capitolo aprisse una finestra su un diverso momento della sua vita, fino alla brusca interruzione finale.

Un altro elemento originale del romanzo è la cornice. Si dice, infatti, che il romanzo sia stato scritto su incitamento del medico e interrotto per l’insofferenza di Zeno nei confronti del dottore, il quale decide, un po’ per vendetta, di pubblicare queste memorie. Svevo inventa un finto pretesto, che avrebbe spinto il suo personaggio a raccontare la propria vita. Per questo romanzo si è parlato di un tempo misto: il continuo intrecciarsi dei piani temporali della narrazione (presente, passato prossimo e passato remoto) allontana dall’impianto narrativo del romanzo tradizionale, in cui gli eventi si disponevano in ordine cronologico. L’io narrante usa il monologo interiore per confrontare presente e passato ed esprimere sentimenti e giudizi, riflessioni e ricordi. Il risultato è un libro simile a un’autobiografia, senza esserlo in modo classico.    

La coscienza di Zeno è il romanzo più rappresentativo di Italo Svevo. Attorno al protagonista Zeno Cosini Svevo raggruppa tutti i motivi della sua produzione letteraria. Zeno è un personaggio inventato, che riproduce qualche caratteristica dell’autore, ma non coincide perfettamente con lui. È un ricco triestino appartenente alla classe borghese, all’interno della quale non riesce però a integrarsi perfettamente. Zeno oscilla, infatti, continuamente tra malattia e salute, coscienza e inganno, socialità e asocialità. Zeno ha la caratteristica importante di essere un narratore non attendibile, vale a dire che non possiamo essere sicuri che quello che ci racconta e le interpretazioni che dà dei fatti corrispondano alla realtà. Questo dubbio è espresso in modo chiaro dal dottore nella Prefazione quando si riferisce alle «tante verità e bugie ch’egli [Zeno] ha qui accumulato». Zeno è il rappresentante perfetto dell’inetto, personaggio proprio di tutti i romanzi di Italo Svevo. L’inetto Zeno è un uomo eternamente indeciso, incapace di prendere in mano le situazioni. Zeno è inadeguato a vivere nel mondo borghese di cui fa parte, si sente a disagio e prova un continuo senso d’inferiorità. Egli insegue sempre una felicità che si dimostra illusoria e irrealizzabile ed è tormentato da un eccesso di coscienza, cioè dal voler sempre analizzare le cose della vita e svelarne le falsità e gli inganni, su cui si basa la vita borghese. Tuttavia Zeno non riesce a sottrarsi a quei valori borghesi che capisce essere falsi e continua a vivere in questa contraddizione. La peculiarità di Zeno rispetto ai personaggi dei precedenti romanzi di Svevo è il distacco umoristico. Mentre si auto – analizza, Zeno tende a sfuggire dalla serietà di questa analisi, a non prendersi troppo sul serio. Capisce che ogni serietà non è altro che un’illusione e preferisce presentarsi come un personaggio comico, mantenendo il sorriso anche nelle situazioni più drammatiche. Il romanzo La coscienza di Zeno è percorso dal tema della malattia di Zeno, che si può identificare con la sua inettitudine, con il suo non saper stare al mondo. Questo porta Zeno a sottoporsi alla psicanalisi, che è il motivo della scrittura stessa del romanzo. Ripercorrendo le vicende della propria vita, il medico spera che Zeno riporti a galla il trauma che ha determinato la sua malattia, ma la cura sembra non aver effetto e Zeno l’abbandona. Interessante però il fatto che non appena abbandoni la cura Zeno si dica guarito, grazie e un inaspettato successo commerciale. Il mondo che fa ammalare Zeno è anche la cura, ma questo lieto fine è in qualche modo annullato dalle ultime pagine del libro, in cui Zeno profetizza un’apocalisse, un’enorme esplosione che distruggerà il mondo. La malattia di Svevo allora può essere paragonata alla malattia del mondo, una civiltà malata la cui unica via d’uscita è l’annientamento totale

(da  https://www.studenti.it/la-coscienza-di-zeno-riassunto-analisi-trama.html).

La fine del mondo nelle ultime parole de La coscienza di Zeno: “Ordigni. Ecco è l’ordigno che crea lo squilibrio, la malattia, con l’annullamento delle leggi di Natura. Forse attraverso una catastrofe prodotta dagli ordigni, ritorneremo alla salute. Quando i gas velenosi non basteranno più, un uomo inventerà un esplosivo incomparabile e un altro uomo più malato ruberà tale esplosivo e si arrampicherà al centro della Terra, dove il suo effetto potrà essere il massimo. Ci sarà un’esplosione enorme che nessuno udirà e la Terra, ritornata alla sua forma nebulosa, errerà nei cieli, priva di parassiti e di malattie”. Magistrale è stata l’interpretazione di Jonny Dorelli nell’adattamento televisivo del 1988, tratto dal romanzo di Italo Svevo.

Raimondo Giustozzi

 

 

 

 

1 commento a Cultura. Il romanzo psicologico di Italo Svevo.

  • Cotta Mario

    Solo la segnalazione di un errore piuttosto comune, purtroppo. Trieste non è una città friulana. Si trova in quello che resta della Venezia Giulia. E’ una città GIULIANA.

Invia un commento

Puoi utilizzare questi tag HTML

<a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>