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Stendhal, Il Rosso e il Nero L’amore dentro e fuori il matrimonio

Il rosso e il neroChiavi di lettura del romanzo

 

  • Il precettore e l’educazione dei figli.
  • Innamoramento e amore: i modi di corteggiare, di innamorarsi, di scriversi, l’amore dentro e fuori il matrimonio (l’adulterio).
  • Amore romantico tra la contessina Mathilde e Julien.
  • Valutazione del romanzo dalla critica letteraria.

 

Grande affresco dell’epoca postnapoleonica e appassionato romanzo d’amore, “Il rosso e il nero”, il capolavoro di Stendhal, pubblicato nel 1830, inaugura in modo magistrale la felice stagione del romanzo ottocentesco. “Il rosso e il nero” entusiasmo e ipocrisia, l’eroico e il subdolo, Napoleone e i Gesuiti, potrebbero essere i sottotitoli del romanzo, ma anche Il rosso, simbolo della passione, il nero, immagine della morte, che travolgono il protagonista: Julien Sorel. L’interesse per la storia e la sua vivace curiosità portano Stendhal, pseudonimo di Henry Beyle (Grenoble 1783- Parigi 1842), a visitare le cronache della Gazzetta dei tribunali (Gazette des tribunaux), in una delle quali legge un fatto di cronaca. Antonio Berthet, seminarista, figlio di artigiano, precettore presso i signori Michaud e de Cordon, dopo aver circuito e sedotto la moglie del primo e la figlia del secondo, dopo essere stato cacciato dal seminario, folle di ambizione e gelosia, ferisce la signora Michaud nella chiesa di Brangues. È decapitato nel febbraio del 1828, a seguito della condanna a morte emessa dalla Corte d’assise di Grenoble, la stessa città dove è nato Stendhal. Questa la cronaca, su questa, Stendhal costruisce il romanzo. Julien Sorel, precettore, in casa di Rênal, s’innamora di sua moglie Louise. Allontanato dal signor Rênal per fugare ogni pettegolezzo, entra nel seminario di Besanҫon. Qui incontra l’abate Pirard che, una volta nominato parroco di una parrocchia parigina, favorisce l’assunzione di Julien Sorel, con l’incarico di segretario, presso il marchese di La Mole. E’ l’inizio della seconda parte del romanzo, per molti tratti simile alla prima. In casa del marchese, Julien s’innamora di Mathilde, la figlia di La Mole, che, annoiata dalla consuetudine di corteggiamenti usuali, si concede a Sorel. La relazione è punteggiata da dubbi, paure e gelosie ed evidenzia la chiusura che Julien fa del proprio godimento con l’innata ambizione. Mathilde, al contrario, anche in vista della maternità si confida con il padre chiedendo le nozze. Quest’ultimo in parte acconsente, ma temporeggia anche, in attesa delle informazioni sul futuro genero, richieste alla signora Rênal. Le informazioni giungono e dipingono Julien come un indegno arrivista. Julien, cui ovviamente crolla il mondo addosso, parte alla volta di Verrières e, in chiesa, scarica sulla signora Rênal due colpi di pistola ferendola. Arrestato, incarcerato, processato, con un’arringa sprezzante chiede lui stesso la condanna a morte. La sua testa è recisa e seppellita da Mathilde sul Giura. La signora Rênal muore di dolore.

In Julien Sorel c’è tutto Stendhal, con la sua aperta ribellione contro tutti: l’odio verso il padre, i bigotti, gli avari, i retrogradi. Il Rosso e il Nero è il romanzo della generazione ch’era stata giovane con Napoleone Bonaparte e passava l’età matura sotto la Restaurazione. Il dragone imperiale Stendhal, che aveva combattuto anche nella battaglia di Marengo nel corso della campagna in Italia, sveste le armi di quell’epoca eroica e indossa la talare del prete visto come ingordo, avaro, dedito al raggiungimento delle più alte cariche ecclesiastiche. Di quell’epoca passata, a Sorel rimangono solo tre libri dai quali non si separa mai e che rilegge sempre avidamente quando decide di starsene solo, lontano da tutti: Le Memorie di Sant’Elena, i bollettini della Grande Armata e le Confessioni di Rousseau. Il romanzo è un quadro del tempo: la monarchia e l’aristocrazia, la borghesia e il clero, il popolo e i politicanti, la provincia, la campagna e Parigi, quali Stendhal se li vedeva attorno durante il regno di Carlo decimo, e precisamente verso il 1830. Tutti questi elementi gravitano attorno a Julien Sorel condannato al perpetuo isolamento, destinato a trovarsi inesorabilmente solo, a soffrirne e a gloriarsene insieme, in uno stato di continua antipatia verso la popolazione della campagna dove è nato: figlio di un taglialegna di Verrières, località immaginaria della Franca Contea, poco lontana dal Giura, la borghesia in risalita, i preti e l’aristocrazia di Parigi.

 

L’EDUCAZIONE DEI FIGLI ATTRAVERSO IL PRECETTORE

 

Il signor Rênal è padrone di una fabbrica di chiodi e sindaco di Verrières, paese della Franca Contea, poco lontano da Besançon e dal Giura, la montagna che separa la Francia dalla vicina Svizzera. “E’ cavaliere di molti ordini; ha fronte alta, naso aquilino, nell’insieme il suo aspetto è abbastanza regolare”. Abita in una casa lussuosa circondata da un grande parco. La decisione di prendere in casa un precettore è per fare invidia a tutti, soprattutto il Valenod, il “fortunato direttore del ricovero di mendicità di Verrières”, che tra l’altro aveva fatto la corte ma senza cavarne nulla a Louise, prima che questa sposasse il Rênal: “Voglio prendere in casa Sorel, il figlio del falegname- disse il signor Rênal alla moglie. Sorveglierà i ragazzi, che cominciano a diventare troppo indemoniati. E’ un giovane prete o qualcosa di simile, buon latinista, che farà fare dei progressi ai ragazzi, perché a quanto dice il curato, è di carattere fermo. Gli darò trecento lire e il vitto…Il Valenod è orgoglioso dei due bei normanni che ha comprati per il suo calesse. Ma non ha precettori per i figli. Tutti questi mercanti di tela poi m’invidiano, ne sono certo. Due o tre diventano dei ricconi: ebbene, sono molto contento che vedano passare i figli del signor Rênal quando vanno a passeggio condotti dal loro precettore. Mi costerà cento scudi, ma è una spesa necessaria per sostenere il nostro decoro” (pag. 22, 23). Louise, la moglie, sottomessa ed abituata da sempre ad accettare quanto il marito decideva di fare, approva la decisione: “Era un’anima ingenua, che mai si era permessa di giudicare il marito, né di confessargli ch’egli lo annoiava… Il Rênal le piaceva soprattutto quando le parlava dei suoi disegni sui loro figli, dei quali il primo era da lui destinato alle armi, il secondo alla magistratura, e il terzo alla chiesa. Nell’insieme, ella lo trovava molto meno noioso degli altri uomini che conosceva” (pag. 23). Non stava bene che i bambini vedessero il nuovo precettore Julien Sorel, assunto dal signor Rênal, in giacca. Le etichette contavano, eccome, presso una famiglia borghese dell’ottocento. Nemmeno i domestici avrebbero dovuto vederlo così, pena il declassamento della famiglia stessa. Al signor Rênal bastava solo un centinaio di franchi per acquistare da Durant, il negoziante di tessuti, un completo abito nero da far indossare a Julien, il nuovo precettore dei suoi figli. Questi, vestito con gli abiti nuovi, si sentiva impacciato: “Io, povero contadino, non ho portato che delle giacche, se mi permettete, mi ritirerò in camera mia” (Stendhal, Il rosso e il nero, pag.34, Grandi Tascabili Economici Newton, Roma 2010).  I ragazzi, ai quali era stato annunciato il nuovo precettore, tempestano la madre di domande. Julien, un’ora dopo esce dalla propria stanza, vestito di tutto punto e, con un’aria compassata e solenne, cosa che stupisce anche lo stesso Rênal, si presenta così ai ragazzi: “Io sono qui per insegnarvi il Latino. Voi sapete cosa vuol dire recitare una lezione. Ecco la Santa Bibbia – aggiunse, mostrando un volumetto rilegato in nero. Qui c’è in particolare la storia di Nostro Signore Gesù Cristo; è la parte che si chiama il Nuovo Testamento. Vi farò spesso recitare delle lezioni, fatemi ora recitare la mia. Adolfo, il maggiore dei bambini, aveva preso il libro. – Apritelo a caso– continuò Julien – e ditemi la prima parola di una riga. Reciterò a memoria il libro sacro, regola di condotta per noi tutti, fino a che non mi direte di smettere. Adolfo aprì il libro, lesse una parola, e Julien recitò tutta la pagina con la stessa facilità con cui avrebbe parlato il francese. Rênal guardava la moglie con aria trionfante. I bambini, vedendo lo stupore dei genitori, spalancavano tanto d’occhi. Un domestico comparve sulla soglia del salotto, mentre Julien parlava in latino; restò dapprima immobile, poi sparì. Subito dopo vennero la cameriera della signora e la cuoca; già Adolfo aveva aperto il libro in otto punti diversi, e Julien recitava sempre con la stessa facilità. – Dio mio, che bel pretino! disse ad alta voce la cuoca, una buona ragazza molto religiosa” (pag. 35). Il signor Rênal andò via tutto soddisfatto d’aver trovato il nuovo precettore.

 

Innamoramento e amore: i modi di corteggiare, di innamorarsi, di scriversi, l’amore dentro e fuori il matrimonio (l’adulterio).

Il primo incontro tra Louise e Julien avviene all’ingresso della casa. “la signora Rênal stava uscendo dalla porta a vetri del salotto, che dava sul giardino, quando scorse presso la porta d’ingresso la figura di un giovane contadino quasi ancora fanciullo, pallidissimo, e che mostrava d’aver pianto allor allora” (pag. 31). Julien è un giovane ambizioso, scaltro, intelligente; trova nella moglie del Rênal, il suo benefattore, una persona da insidiare. Escogita piani diversi per il corteggiamento, ma è troppo superbo né ha alcuna esperienza con le donne. In casa di Rênal trova subito una sua ammiratrice in Elisa, la cameriera della signora Louise. Quest’ultima teme di avere nella cameriera una sua rivale, ma non è così. Julien è troppo ambizioso per posare gli occhi su una domestica. “Louise nella sua qualità di signorina (prima di sposarsi con il Rênal) di grande famiglia era stata allevata in un convento di suore, appassionate adoratrici del Sacro Cuore di Gesù, e animate da un odio violento per i francesi nemici dei Gesuiti” (pag. 37), “Ricca erede di una zia devota, sposata a sedici anni a un gentiluomo, non aveva mai provato né visto nulla che somigliasse anche menomamente all’amore” (pag. 41). Una volta sposata pensa subito che “tutti gli uomini fossero come suo marito… La grossolanità, la più bestiale insensibilità per tutto ciò che non fosse interesse per il denaro, di preminenza o d’onorificenza, l’odio cieco per qualunque ragionamento si opponesse loro, le parvero caratteri naturali al sesso, come portare gli stivali e il cappello di feltro” (pag. 37). La moglie, la signora di Rênal, aveva l’aspetto di una donna di trent’anni, ma era ancora piuttosto bella. Era una donna alta, ben fatta, che era stata la bellezza del paese, come dicono in quelle montagne. Dotata di “una cert’aria e di una andatura giovanile, di una grazia ingenua, piena di innocenza e vivacità, avrebbe persino potuto suggerire idee dolcemente voluttuose. Ma se la signora di Rênal avesse potuto sospettare questo genere di successo ne avrebbe provato molta vergogna. Né la civetteria né l’affettazione avevano mai sfiorato quel suo cuore”( pag.23). Ha come amica la signora Derville, una sua cugina, alla quale tuttavia non confida mai nulla, anche perché teme che anche lei ami in segreto Julien. Vede nel giovane quello che non aveva mai trovato in un uomo: bellezza, giovinezza, il giovane ha solo diciannove anni, grandi occhi neri, capelli ricciuti, ma soprattutto una cultura sconfinata ai suoi occhi. Julien nei rapporti con Rênal gioca sempre al rialzo. Conscio che i tre ragazzi lo adorano, che la mamma lo stima, che Rênal potrebbe perderlo in favore di Valenod, almeno questo paventa il suo padrone, chiede sempre un aumento di stipendio, fino ad avere ben cinquanta lire al mese. Un giorno, mentre Rênal discorreva irosamente di politica, prendendosela con due o tre industriali del posto che stavano facendo affari, “Julien accostò la propria sedia a quella della Rênal. L’oscurità nascondeva tutti i suoi movimenti. Osò posare la mano molto vicino al bel braccio che l’abito lasciava scoperto… La signora fremette. Il marito era a quattro passi; ella s’affrettò a dare la mano a Julien, e insieme a respingerlo alquanto. Mentre il Rênal continuava i suoi improperi contro gli uomini da nulla e i Giacobini che arricchiscono, Julien copriva la mano che gli si era concessa di baci appassionati, o che almeno sembravano tali alla signora… Come? Io dunque amerei? – si diceva – proverei amore? Io, una donna maritata, sarei innamorata? Ma non ho mai provato per mio marito questa cupa follia, che non mi lascia staccare il pensiero da Julien. Alla fine, non è che un ragazzo, rispettosissimo per me! Sarà una follia passeggera. Che importa a mio marito i sentimenti ch’io posso avere per questo giovane? Egli si annoierebbe delle conversazioni che ho con Julien, su argomenti elevati: lui pensa agli affari. Io non gli tolgo nulla per darne a Julien” (pag. 54). Si fa notte ed i due vanno a dormire, ognuno nelle proprie stanze. “Louise non poté chiudere occhio. Le sembrava di non aver mai vissuto prima di quell’ora. Non poteva distrarre il pensiero dalla felicità di sentire Julien coprirle la mano di baci ardenti. Tutt’a un tratto la spaventosa parola: adulterio, le apparve. Tutto ciò che il più basso libertinaggio può imprimere di disgustoso all’idea dell’amore dei sensi, si presentò alla sua immaginazione. Siffatte idee cercavano di offuscare l’immagine tenera e divina ch’ella si faceva di Julien e della felicità d’amarlo. L’avvenire si dipingeva con colori terribili. Si sentiva spregevole. Questo momento fu spaventoso; la sua anima giungeva in paesi sconosciuti. La sera innanzi ella aveva gustato una felicità mai provata: ora si trovava d’un tratto in preda a un atroce dolore. Non aveva idea di sofferenze di questo genere; esse turbarono la sua ragione. Ebbe per un momento il pensiero di confessare al marito che temeva d’amare Julien. Sarebbe pur stato un parlare di lui. Per fortuna ritrovò nella memoria un precetto datole da una zia, la vigilia del matrimonio; riguardava il pericolo delle confidenze fatte a un marito, che dopo tutto è un padrone. Nell’eccesso del dolore, si torceva le mani” (Pag. 55). Giunge la bella stagione. Si spostano a villeggiare in un loro castello a Vergy. Viene, ospite, una parente-amica della signora di Rênal, la signora di Derville.
Giuliano è sempre più teneramente innamorato dell’inconsapevole e fragile signora di Rênal. La vuole, la vorrebbe. Ma l’impresa è difficilissima e rischiosa. Giuliano è un sottile calcolatore: progetta le mosse pesandole a milligrammi. Ora si propone di ottenere che la mano della signora di Rênal, quand’egli per un motivo qualunque dovesse sfiorarla, non si ritragga. Un giorno, in giardino, decise che quello era il momento, che “quella sera ella dovesse assolutamente permettergli di tenerle la mano”. E a se stesso promette e minaccia: “Nel momento preciso in cui suoneranno le dieci, eseguirò quello che per tutto il giorno mi sono proposto di fare questa sera, oppure salirò in camera mia e mi brucerò le cervella!. E quella sera raggiunge il suo scopo: “… un ultimo sforzo venne fatto per strappargliela, ma alla fine la mano restò nella sua.”. Quella sera “la signora di Rênal, rapita nella sua felicità d’amore, era talmente inesperta che non si faceva nessun rimprovero. La felicità le tolse il sonno. Un sonno di piombo colse invece Julien, terribilmente stanco della lotta”. Julien è imprudente e grossolano: una sera decide che quella notte dovrà entrare nella sua camera. E così fa ma in modo maldestro e rumoroso ma lo fa. “Vedendolo entrare, la signora di Rênal si slanciò con impeto fuori dal letto. Disgraziato! Esclamò. Julien rispose ai suoi rimproveri gettandosi ai suoi piedi, abbracciandole le ginocchia. Lei continuò a parlargli con estrema durezza, allora Julien si sciolse in lacrime… Qualche ora dopo, quando Julien uscì dalla camera della signora di Rênal si sarebbe potuto dire, in stile romanzesco, che non aveva più niente da desiderare. . Prende l’avvio così, in poche righe garbate e discrete, l’adulterio più gentile e più incolpevole della letteratura dell’Ottocento. “In pochi giorni Julien cedette all’ardore della sua età e fu perdutamente innamorato…” . Questo è lui. E vediamo lei: “C’erano dei giorni in cui aveva l’illusione di amarlo come un figlio… La sua intelligenza giungeva a spaventarla: ogni giorno le pareva di scorgere più chiaramente nel giovane abate il futuro grand’uomo. Ella lo vedeva papa, lo vedeva primo ministro, come Richelieu. I due amanti, anche se vivono sotto lo stesso tetto, non possono avere momenti d’intimità perché controllati dal signor Rênal il quale sta ricevendo delle lettere anonime che lo informano sulla relazione tra sua moglie e il giovane precettore. Allora si scrivono: “Non hai voluto ricevermi questa notte? Ci sono dei momenti in cui credo di non aver mai letto fino nel fondo della tua anima. I tuoi sguardi mi spaventano. Ho paura di te. Gran Dio! Che tu non m’abbia mai amata? In questo caso, che mio marito scopra i nostri amori, e mi chiuda in una prigione per sempre, in campagna, lontana dai miei bambini. Forse Dio vuole così. Morrò subito, ma tu sarai un mostro. Non mi ami? Va a far vedere questa lettera a tutta Verrières, o piuttosto soltanto al signor Valenod. Digli che ti amo, ma no, non pronunciare una tale bestemmia, digli che ti adoro, che la vita è cominciata per me il giorno che ti ho visto; che nei momenti più folli della mia giovinezza non avevo nemmeno sognato la felicità che ti devo; che ti ho scarificato la vita, che ti sacrifico la mia anima. Tu sai che ti sacrifico molto di più…” (pag. 85). La relazione amorosa tra i due amanti continua anche quando Julien entra nel seminario di Besançon, invitovi dal signor Rênal, anche se le lettere di Louise vengono preventivamente lette dall’abate Pirard, superiore del seminario: “Un giorno l’abate Pirard aperse una lettera, che sembrava mezzo cancellata dalle lacrime: era un addio eterno. Finalmente – diceva a Julien- il cielo mi ha fatto la grazia di farmi odiare, non l’autore del mio fallo, egli sarà sempre ciò che ho di più caro al mondo, ma il mio fallo per se stesso. Il sacrificio è fatto, amico mio. Non senza lacrime, come vedete. La salvezza delle creature cui mi devo, e che voi avete tanto amato, ha la vittoria. Un Dio giusto, ma terribile, non potrà più vendicarsi su essi dei delitti della loro madre. Addio, Julien, siate giusto verso gli uomini” (pag. 122). Louise Rênal aveva attribuito alla collera divina, per le proprie colpe, una grave malattia che aveva colpito il più piccolo dei suoi figli, poi miracolosamente guarito. Non ricevendo lettere di risposta, la signora infine si rassegna ad aver perso Giuliano e “si dà totalmente alla più alta devozione… alla devozione più esaltata…si dice che faccia dei pellegrinaggi”, si affida a un confessore, a un consigliere spirituale, annega in sostanza nella religione il proprio dolore da un lato, il proprio senso di colpa dall’altro. I due s’incontreranno ancora una volta, casualmente, in una chiesa di Besançon, l’istante di uno sguardo, e lei ne avrà uno svenimento. Giuliano rimane oltre un anno in seminario. Il racconto, svariati capitoli, è tutto una lunga storia politica di giochi di potere e di gerarchie, di rivalità, conflitti, trame che coinvolgono l’interno e l’esterno del seminario, autorità religiose e civili. Per una serie di situazioni fortunate, e anche per una sua indubbia capacità di volgere le circostanze a proprio favore, ne trae vantaggio il nostro Giuliano Sorel il quale, raccomandato da un importante abate finisce con l’essere assunto quale segretario personale da quel marchese de La Mole, personaggio potentissimo, che avevamo già incontrato occasionalmente alla visita del sovrano a Verrières. Il marchese aspira al titolo di duca e non può farsi distrarre dai maneggi per questo suo intento, e perciò gli occorre un bravo segretario che gli segua con scrupolo un’intricata questione di processi giudiziari per delle proprietà immobiliari, un’annosa e complicata questione che gli interessa risolvere molto più per ripicca nei confronti di un suo rivale, che non per sostanza. Vuole un giovane molto abile, leale e discreto e Giuliano è l’uomo giusto. Il giovane accetta: dovrà pertanto trasferirsi a Parigi presso l’abitazione del marchese passando prima per Verrières a recuperare le proprie cose. “Lascerete Verrières senza vedervi nessuno” gli intima il suo protettore, severamente, ma Giuliano è fuori di sé al pensiero di aver l’opportunità di rivedere la signora di Rênal. Al punto da commettere, quella notte, una pazzia: s’introduce nel giardino della casa e aiutato da una scala, si arrampica di terrazza in terrazza sino alla sua finestra, entrando nella sua camera! Sono quattordici mesi che i due sono separati e da allora non hanno più comunicato fra loro. E’ un tempo che la signora di Rênal spende interamente per alleviare l’oppressione della propria colpa, per ritrovare se stessa e un proprio modus vivendi anche senza di lui. Ma Giuliano è deciso “a morire o a vederla” ed è pronto a correre qualunque rischio. Quando la signora, sorpresa, sbalordita, terrorizzata, lo riconosce, cerca, indignata, di respingerlo, non accetta il tu, gli dà freddamente del voi, minaccia di chiamare il marito. Ma la passione di Giuliano si fa delirio, pianto, disperazione: le proprie sofferenze, le lettere mai ricevute, il vuoto della sua vita… La donna infine cede, sopraffatta dal turbamento, dalla scoperta dolorosa che Giuliano sta per partire, per sempre, per la lontanissima Parigi. Cede dapprima col cuore e cede infine all’amore: “la signora di Rênal si slanciò verso di lui e si abbandonò fra le sue braccia. Così, dopo tre ore di dialogo, Giuliano ottenne ciò che aveva desiderato con tanta passione durante le prime due… Ma l’alba incominciava a disegnare vivamente i contorni dei pini sulle montagne, a oriente di Verrières. Invece di andarsene, Giuliano, ebbro di voluttà, chiese alla signora di Rênal di passare tutta la giornata nascosto nella sua camera e di non partire che la notte seguente. Sono entrambi folli d’amore. Corrono quest’avventura da brivido, con tutti i rischi connessi. Sono due adolescenti innamorati, pronti a correre per incoscienza qualunque rischio. Julien passa così l’intera giornata in camera di lei, nascondendosi sotto un divano ad ogni sopraggiungere di qualcuno. Lei gli porta “delle arance, dei biscotti, una bottiglia di vino di Malaga, non aveva potuto rubare del pane” e durante la giornata porta i suoi figli, i tre ragazzi già allievi di Julien, sotto la finestra della camera e li fa parlare ad alta voce, proprio di Julien, in modo che lui si rallegri sentendo nelle loro parole “l’amicizia e il rimpianto per l’antico precettore…”. Rimane fino a notte inoltrata quando, all’improvviso, il rumore e le voci dei due amanti, l’incidente della scala trovata in giardino, una diffusa sensazione di una presenza estranea, inducono alla convinzione che vi sia un ladro in casa e marito e servitù si mettono a dargli la caccia. Julien si salva saltando dalla finestra e fugge, non riconosciuto, tra le fucilate e i guaiti dei cani.

AMORE ROMANTICO TRA LA CONTESSINA MATHILDE E JULIEN

Finisce qui il “Primo Libro” e siamo esattamente a metà romanzo. Termina cioè la storia dell’amore fra Julien Sorel e la signora di Rênal, grande storia di passione, sentimenti, sensualità, un legame proibito e peccaminoso ma vissuto, inizialmente almeno, senza alcun senso di colpa o di peccato, in una sfrenata, intensa, bellissima spontaneità. Con la successiva parte del romanzo inizia la seconda vita di Julien Sorel, con l’arrivo a Parigi e l’ingresso a palazzo de La Mole, accompagnato dal prelato amico (Pirard) che l’ha raccomandato. Il marchese ha due figli, Norbert, “un ragazzino di diciannove anni, elegantissimo, una specie di pazzo che non sa mai a mezzogiorno che cosa farà alle due… e la marchesina Mathilde, “una  giovane, biondissima e molto ben fatta… Non gli piacque affatto, tuttavia, guardandola attentamente pensò che non aveva mai visto degli occhi così belli” (pag. 159). Il livello socioeconomico della famiglia de La Mole è non alto, è altissimo. Decine di camerieri in livrea, scuderie, ospiti a tutte le ore, domestici che servono senza interruzione gelati, tè, champagne. E negli atteggiamenti, per quanto formalmente molta accondiscendenza e liberalità, molta alterigia invece, distacco, superbia e un “sincero disprezzo per tutti coloro che non discendono da gente che poteva salire sulle carrozze dei re…”. In quest’ambiente Julien, segretario del marchese, non è nessuno, anzi, è meno di niente. Tuttavia per accordi presi con il prelato che l’ha raccomandato, gli è assegnato un cameriere personale e gli è concesso l’onore di sedere permanentemente a tavola con la famiglia de La Mole e con i loro ospiti. La marchesina Mathilde a Julien non piace affatto: ne percepisce l’estrema superbia che gliela terrà lontana e il malcelato disprezzo che lei prova per lui e per la classe che egli rappresenta. E subito decide, Julien, “che la signorina de La Mole non sarebbe mai stata una donna ai suoi occhi ed anzi, Julien si impegna di non rivolgere mai la parola alla signorina Matilde”. Il ragazzo è abilissimo in tutto, astuto, prudente, osservatore attento delle abitudini, dei riti, dei ruoli, dei cerimoniali gerarchici e nella sua opera di segretario è d’una efficienza straordinaria: per cui nel giro di pochi mesi si ritaglia in casa de La Mole un ruolo di grande importanza e il marchese “gli affidò le fila di tutti gli affari più difficili da districare…”.  Pagine e pagine, e interi capitoli, dedica Stendhal a raccontare con la lente di ingrandimento, sino al più minuto particolare, la lenta ma inarrestabile crescita di Giuliano nell’ambiente che lo circonda, un ambiente di smisurata altezza rispetto alla bassezza delle sue origini e, gradualmente e con grande reticenza, il parallelo e inesorabile avvicinamento fra i due giovani, così lontani l’uno dall’altra, e così freddi e disinteressati fra loro, Julien cioè e la marchesina de La Mole. C’è un duello (Julien è ferito), ci sono feste da ballo, serate all’Opera, un viaggio a Londra, un’onorificenza, e ci sono incontri sempre più frequenti con personaggi dell’aristocrazia più elevata e inarrivabile, tra la quale più d’un rampollo d’estrema nobiltà e di stratosferica ricchezza aspirerebbe con gioia alla mano della distaccata, sferzante, fredda marchesina Mathilde. L’attrazione, provata per la marchesina, risveglia in Julien l’interesse per lei. È ingombrante e ben poco dignitoso che un giovane di così bassa origine, il figlio di un carpentiere, entri in salotti ed ambienti tanto aristocratici: ecco allora che viene ogni tanto buttato là un pettegolezzo, messa in giro una voce, un sospetto, che Julien sia in realtà il figlio naturale di un amico intimo del marchese de La Mole, un certo duca di Chaulnes. Chi ha interesse a crederlo e a farlo credere? Tutti quelli che lo frequentano, per rendere meno imbarazzante la frequentazione, più presentabile il personaggio. Il marchese stesso, pur sapendo che si tratta d’una falsa notizia, la lascia circolare, la incoraggia. Finché avrà bisogno dei suoi servigi come ottimo segretario, il ragazzo vivrà nella sua casa, siederà alla sua tavola. Quando giungerà il momento di disfarsene, gli farà assegnare una parrocchia con una dignitosa rendita e se lo toglierà di torno. Il rapporto fra Julien e la marchesina è stato fino a questo momento di disinteresse e in certi momenti anche di reciproca avversione, sino al disprezzo. Le cose cambiano una sera ad un ballo. Matilde, la più ambita fra le presenze femminili, costantemente corteggiata dal fior fiore della nobiltà presente, assiste alla conversazione di Julien con altri giovani, tutti d’alto lignaggio. E rimane stupita e ammirata dalla sensatezza, dall’intelligenza, dalle posizioni coraggiose e non conformiste dei discorsi del giovane. Ora Stendhal si abbandona per pagine e pagine a un sottile gioco a rimpiattino fra i due ragazzi, dal disprezzo all’attrazione e poi di nuovo il disprezzo e di nuovo l’attrazione. Mathilde scopre di amare: “Ho la fortuna d’amare, – disse un giorno a se stessa, con incredibile gioia. – Amo, amo è chiaro! Alla mia età, una ragazza giovane, bella, intelligente, ove può trovare sensazioni, se non nell’amore? Ho un bel fare, non proverò mai amore per Croisenois, Caylus, e tutti quanti. Sono perfetti, troppo perfetti forse; insomma, mi annoiano. Passò mentalmente in rivista tutte le descrizioni di passioni che aveva lette in Manon Lescaut, nella Nuova Eloise, nelle lettere d’una monaca portoghese… Sì, l’amore con tutti i suoi miracoli sta per regnare nel mio cuore; lo sento dal fuoco che mi anima. Il cielo mi doveva questa grazia. Non invano avrà raccolto su di una persona sola tutti i privilegi. La mia felicità sarà degna di me. Non sarà ognuna delle mie giornate freddamente simile alla precedente. V’è della audacia e della grandezza a osare d’amare un uomo così lontano da me per la condizione sociale…” (pag. 198- 199). I due s’incontrano in biblioteca, magari pochi attimi, ma per Stendhal un istante è lo spazio di uno sguardo e su un’occhiata si possono introspettivamente costruire e distruggere emozioni e sentimenti quanti se ne vuole. In un attimo, appunto. Troviamo, anzi, è Julien che lo scopre, che Mathilde ha un mito tutto suo personale nel passato della propria famiglia, fra gli antenati c’è un suo lontano avo di alcuni secoli prima che fu l’amante della regina Margherita di Navarra, e che fu decapitato in piazza di Grève per un gesto libertario fallito. “E Margherita di Navarra, nascosta in una casa della piazza di Grève, osò far chiedere al carnefice la testa del suo amante e la notte seguente, a mezzanotte, andò a seppellirla con le sue mani in una cappella situata ai piedi della collina di Montmartre. Julien vede ora sotto nuova luce l’altera marchesina: si rende conto che è dotata di sentimenti, interessi, intelligenza, valori, ben lontana dalla fatua frivolezza delle sue coetanee dell’alta società parigina. Il passato disinteresse ora si trasforma in curiosità, poi in attrattiva, poi in passione, nell’uno e nell’altra. “O sono pazzo o mi fa la corte – si dice Julien – e più mi mostro freddo e rispettoso verso di lei, più mi cerca… Mio Dio quant’è bella! Quanto mi piacciono i suoi grandi occhi azzurri visti da vicino, quando mi guardano, come fanno spesso…”. “Ebbene, è bella – continua Julien con sguardi da tigre-: l’avrò e dopo me ne andrò e guai a chi mi intralcerà la fuga! Questa divenne l’idea fissa di Julien: non poteva più pensare ad altro e le sue giornate passavano come ore. Ad ogni momento, col cuore palpitante, la testa confusa, continuava a chiedersi: – Mi ama?- Nel frattempo Mathilde, corteggiata da un paio di giovani del suo  rango, nobili e ricchi, aspiranti alla sua mano, diventa sprezzante e beffarda verso la loro corte: “-Cercano di ottenere la mia mano: bella prodezza! Sono ricca e mio padre cercherà si spianare la strada a suo genero... “Che cosa poteva Mathilde di più desiderare per se stessa? La ricchezza, la nobiltà della nascita, l’intelligenza, la bellezza, tutto le era stato dato a piene mani dalla fortuna. Ecco quali erano i pensieri dell’ereditiera più invidiata del quartiere San Germano quando incominciò a trovare piacevoli le sue passeggiate con Julien…”. E all’improvviso un giorno Mathilde si accorge di essere innamorata: “Improvvisamente un’idea la illumina: Ho la fortuna di amare, disse un giorno a se stessa con un trasporto di incredibile gioia, sono innamorata, è chiaro!…”. “Che cosa manca a Julien? “Un nome e la ricchezza. Ma il nome può farselo e la ricchezza può conquistarla”.  Ora più che mai riprende il gioco a rimpiattino. Inseguirsi e fuggire, fuggire e inseguirsi. In entrambi i ragazzi si fa largo, da un lato l’attrazione, fortissima ma dall’altra si manifesta l’orgoglio ancor più forte. Lei è orgoglioso per la propria posizione e la propria superiorità, lui per la consapevolezza del proprio predominio culturale e intellettuale e per non aver mai accettato un sia pur minimo cedimento sociale. La freddezza del fratello di Mathilde, Norbert, e dei corteggiatori di lei, verso Julien, fanno passare per la sua testa le idee più folli e deliranti. Arriva a credere possa esservi un complotto contro di lui, una trappola, una presa in giro. Ne è così spaventato che ottiene dal marchese di poter partire. Vuole allontanarsi da Mathilde, fuggire il pericolo. Ma è proprio lei, proprio Mathilde, che cede per prima: disperata all’idea della partenza di Julien, fa lei il primo vero passo, ed è esplicita: “Questa sera riceverete da me una lettera” –dice Mathilde a Julien- “con voce talmente alterata da essere irriconoscibile…Un’ora dopo un domestico consegnò una lettera a Julien: era né più né meno che una dichiarazione d’amore…. Ed ora succede di tutto e di più, per usare un’espressione molto di moda oggi, non bella, ma espressiva. In che senso? Nel senso che la lettera, e le altre che seguiranno, scatenano una schermaglia senza fine tra i due, l’orgoglio dei quali è pari solo alla diffidenza e insieme all’amore. Amore che li lega teneramente e diffidenza e orgoglio che invece li divide, li separa, li insospettisce. Mathilde ha mandato la lettera per tagliarsi i ponti dietro di sé, deliberatamente: “scriveva lei per prima a un uomo che si trovava negli ultimi ranghi della società. Questa circostanza le assicurava, se fosse stata scoperta, un eterno disonore. La sua è una strada senza ritorno, ed è ciò che lei vuole. Julien, invece, percorre la strada opposta, della diffidenza più totale, del sospetto paranoico. E proprio in quel momento riceve da Mathilde un’altra lettera ancor più compromettente della prima: “Ho bisogno di parlarvi; è necessario che vi parli questa sera. Quando suonerà il tocco dopo la mezzanotte, trovatevi nel giardino. Prendete la scala grande del giardiniere, che è presso il pozzo; collocatela contro la mia finestra e salite da me. C’è il chiaro di luna, non importa.”. Tutto: la scala, la notte, la finestra della camera da letto, avveniva in casa della signora di Rênal. Ma qui l’iniziativa non è di Julien: temeraria, folle, inaudita, è della marchesina. Julien teme il peggio: arriva a convincersi che si tratti di un’atroce trappola. Che una volta salito in camera vi siano ad attenderlo gli amici della marchesina e anche dei servitori, che lo catturino, lo bastonino per la sua impudenza e addirittura lo uccidano. Per questo, dopo molta indecisione, decide comunque d’andare ma armato di rivoltella. E invece, una volta salito, ecco la marchesina che davvero lo accoglie, dapprima si rende conto della follia, poi cede. Quella notte, “dopo lunghe incertezze, Mathilde finì con l’essere per lui un’amabile amante…”. Ma la ragazza è una testa dura, orgogliosa e individualista come pochi. Ora che ha ceduto, ora che è follemente innamorata, ha paura: non vuole avere un padrone, dipendere da qualcuno, dover obbedire. Per questo, subito dopo, riprende tra i due la schermaglia, fatta di freddezza, gelo, ostentato distacco. Lei lo fa ingelosire, sfruttando l’ascendente che ha con i suoi corteggiatori: “i dolori di lui costituivano per lei un vero godimento…”. Lui pensa persino al suicidio. Lei si sente superiore: pur essendo innamorata allo stremo, non si è fatta sopraffare, ha mantenuto ogni controllo sulla situazione. Infine un’azione pazza compiuta da lui. Una notte, non atteso da lei, pericolosissimamente, sempre con la scala, ritorna a quella finestra, a quella camera, a quel letto. Mathilde, che fino a quel momento aveva avuto la forza di non lasciarsi totalmente coinvolgere dall’amante, di non cedere definitivamente, di non esserne emotivamente posseduta, si rende conto, al suo sopraggiungere nella pericolosa situazione, che invece, ora, è proprio Julien che ha definitivamente ceduto, si è dato per vinto, si è piegato all’inarrestabile potere dell’amore. In questo duro gioco di scontro tra le due personalità, lei è la vincitrice, lui il perdente. A questo punto, e solo a questo punto, scopertasi vincitrice, anzi, trionfatrice, Mathilde può cedere. E cede totalmente. Gli si dà per schiava: quando finalmente Julien, all’approssimarsi del mattino, fugge con la scala, Mathilde si taglia una gran ciocca di capelli e gliela butta dalla finestra: “ Ecco che cosa ti manda la tua schiava: è il segno di eterna obbedienza, rinuncio all’esercizio della mia ragione, sii tu il mio padrone….. Ma non finisce qui. E’ così forte, inestirpabile, l’atavico e caratteriale orgoglio della marchesina Mathilde su tutto, che, ben presto, torna a sentire il peso del suo cedimento e riprende a ferire Julien, a trascurarlo, a umiliarlo, a fingere di dimenticarlo. Julien si allontana, per molte settimane. Viene spedito via da Parigi dal marchese de La Mole, padre di Mathilde, per una pericolosa e misteriosa azione diplomatica, forse una cospirazione politica. Al suo rientro scopre che corre voce che Mathilde stia per sposare Croisenois, uno tra i suoi corteggiatori, il più ricco, il più titolato. Allora, disperato, si rivolge a un amico, un nobile russo fuoriuscito: su suo consiglio mette in atto con freddezza anch’egli l’arma del far ingelosire. Si mette a corteggiare una ricca vedova d’alto lignaggio, la marescialla di Fervaque. Le invia decine di lettere appassionate, che copia per intero da un epistolario già pronto, alle quali infine la marescialla risponde. Le lettere di risposta, indirizzate a Julien, arrivano ovviamente ove Julien risiede, cioè in casa de La Mole. E così Mathilde viene a saperlo, le vede, le conta. L’espediente funziona: Mathilde, credendo lui stia per sfuggirle, di nuovo si infiamma morbosamente per Giuliano e di nuovo cede e si dà per vinta: “Ah, scusami amico mio -aggiunse gettandosi ai suoi ginocchi- disprezzami se vuoi, ma amami, non posso più vivere senza il tuo amore! E cadde svenuta. Eccola finalmente ai miei piedi quest’orgogliosa! – pensò Julien… ”. I due riprendono ad amarsi e a frequentarsi e smettono di giocare alle ripicche personali e al conflitto del loro amor proprio. E Mathilde rimane incinta: “ s’accorse d’essere incinta e lo comunicò con gioia a Giuliano. – Adesso dubiterete ancora di me?  Non è una garanzia? Sono la vostra sposa per sempre…”. Come prenderà la drammatica, disastrosa, catastrofica notizia il papà, il marchese di La Mole? Julien: “Mi scaccerà ignominiosamente!”. Mathilde: “E’ nel suo diritto, bisogna rispettarlo. Vi darò il braccio e uscirò dal portone grande in pieno giorno.”. Mathilde scrive una lettera al padre. Si assume la responsabilità di tutto: “Sono io che l’ho amato per prima, sono  io che l’ho sedotto… Il mio fallo è irreparabile… E’ il padre di mio figlio… Se la vostra bontà vorrà accordarci seimila franchi per vivere, li riceverò con riconoscenza; diversamente Julien conta stabilirsi a Besançon dove insegnerà latino e letteratura…”. Il marchese dapprima risponde con un’ira furibonda, insulti, anatemi, minacce. Julien teme per la propria vita. Poi col passare delle settimane comincia a concepire soluzioni di compromesso: una forte rendita ai due giovani, un titolo di tenente degli ussari a Julien e soprattutto la definizione  ufficiale di quella falsa posizione di nascita già in parte ventilata: far passare Julien per il figlio naturale del cavaliere de La Vernaye. Ma ecco che all’improvviso sopraggiunge un colpo di scena tanto inaspettato quanto fatale. Il marchese voleva per se stesso una certezza: che Julien non fosse un cacciatore di dote, che il suo legame con la figlia fosse frutto d’amore, non di calcolo. E perciò aveva scritto a Verrières, ai signori di Rênal, per raccogliere informazioni, referenze, su ciò che era stato il loro vecchio precettore di casa. Arriva la risposta: è scritta dalla signora di Rênal ed è tremenda. In pratica dice che Julien è un farabutto e “uno dei suoi mezzi per riuscire in una casa è quello di sedurre la donna che vi gode la posizione preminente. Mascherato da un’apparenza di disinteresse il suo unico scopo è quello di riuscire a disporre della sua fortuna. Lascia dietro di sé l’infelicità ed eterni rimorsi. Scopriremo poi il perché di questa lettera: no, non l’ha assolutamente scritta la signora di Rênal. Gliel’ha dettata, imponendogliela con la violenza autoritaria del religioso, il suo prete confessore, o guida spirituale. Ma de La Mole ovviamente la prende per vera e a questo punto è inflessibile. Che Julien scompaia, all’estero, per sempre. Gli darà un vitalizio purché non ritorni mai più. Julien, vistosi rovinato, ora che aveva raggiunto tutto il desiderabile, tutto il raggiungibile, salta su un cavallo, raggiunge Verrières, compra due pistole, si reca in chiesa, trova la signora di Rênal devotamente inginocchiata in preghiera e “tirò su di lei un colpo di pistola e la mancò; tirò un secondo colpo. Ella cadde.”. Julien viene arrestato e incarcerato a Besançon in attesa del processo. La signora di Rênal non è morta: la pallottola l’ha colpita ad una scapola e lì si è fermata, senza raggiungere organi vitali. Sperava da tempo di morire e “morire per mano di Julien” sarebbe stato“ per lei il colmo della felicità”. Ma è una felicità che la sorte non le concede. Quando Julien, dopo i primi giorni di carcere, scopre che la signora di Rênal è viva e non corre più pericolo, piange di commozione e di gioia.  Non avendo ucciso, ma solo ferito la sua designata vittima, potrebbe ora legalmente battersi per tentare di avere salva la vita. Ma non lo vuole. Julien non muove un dito per strappare se stesso alla ghigliottina, anzi, desidera farla finita: “Ho voluto uccidere: devo essere ucciso.”. Scrive a Mathilde e dà istruzioni per quando sarà morto: “Non parlate mai di me neppure a mio figlio, il silenzio è il solo modo di rendermi onore… Eravate nata per vivere con gli eroi del medio-evo: dimostrate ora di avere la stessa forza di carattere… Un anno dopo la mia morte sposate il signor di Croisenois: ve ne prego, ve lo ordino come vostro sposo…”. Vengono a trovarlo in carcere i suoi amici. Uno d’essi è pronto a vendere ogni proprio avere per ricavarne il denaro sufficiente a corrompere il carceriere e farlo fuggire. Mathilde, travestita da contadina, sotto falso nome, si trattiene per settimane a Verrières e si accredita presso il potente abate di Frilair, l’uomo che è padrone di Besançon e che tutto può, fiero nemico del suo papà ma insieme astuto politico capace di qualunque cosa pur di raggiungere i propri scopi. E, infatti, Frilair sì, può far assolvere Julien, in cambio di favori che Mathilde può fargli avere da suo padre.  Ma il problema è un altro: è Julien. La certezza del morire e l’approssimarsi del momento lo rendono indifferente a tutto. “L’ambizione era morta nel suo cuore e un’altra passione era uscita dalle sue ceneri: egli la chiamava rimorso d’aver cercato di assassinare la signora di Rênal” . “In realtà ne era perdutamente innamorato”. E Mathilde, giorno dopo giorno si accorge che il cuore di Julien è tutto per l’altra. Ne è gelosa, ma non si ferma in ciò che ha intrapreso per cercare di salvargli la vita. Sa che Julien è comunque suo. “Se muore, morirò accanto a lui -pensava”. Ma Julien è irremovibile nella sua scelta di cuore. Arriva a chiedere a Mathilde “una grazia: mettete il vostro bambino a balia a Verrières. La signora di Rênal sorveglierà la nutrice. E spero che obbedirete alle mie ultime raccomandazioni: sposerete il marchese di Croisenois. Julien sostiene di essere folle e che l’onore di Mathilde, non può essere compromesso da un uomo in stato di follia, anzi, un giorno Julien sarà riabilitato, perché un giorno, per i delitti compiuti in stato di follia non vi sarà più la pena di morte. Intanto l’operazione politica intrapresa da Mathilde con l’abate Frilair è andata avanti e tutto è pronto per celebrare il processo e assolvere Julien ma questi non vuole essere assolto. Quando durante il dibattito  tocca a lui parlare, si autoaccusa oltre ogni ragionevolezza: “La signora di Rênal era stata come una madre per me. Il mio delitto è atroce e fu premeditato. Dunque merito la morte, signori giurati…”. E in più fra i quaranta giurati c’è il signor di Valenod, oggi barone di Valenod, ancor più che in passato fiero rivale di Rênal, antico innamorato della signora, disprezzato dal marito di lei, oggetto di trame politiche ostili da parte dei protettori di Julien. Conclusione: Julien è condannato alla ghigliottina. Passano due mesi, in attesa dell’esecuzione. Ogni giorno, Mathilde si reca continuamente in carcere e lo supplica di ricorrere in appello. Ed ecco che giunge inaspettata, ma lungamente desiderata, sognata, agognata, ecco un giorno la visita della signora di Rênal. Momenti di reciproca, intensa, immensa commozione. Anche lei lo supplica di appellarsi. Julien rifiuta. È amore oltre ogni limite quello di lei per lui, di lui per lei. E’ una forma di amore, quello della signora di Rênal, che si identifica con la devozione, con la religiosità, fortissima in lei: “Appena ti vedo, tutti i doveri spariscono, non sono più che amore per te. No, la parola amore è troppo debole. Sento per te ciò che dovrei sentire soltanto per Dio: un insieme di rispetto, di amore, di obbedienza”. Rênal manda una carrozza a portar via, di forza, la moglie. Julien incontra in cella il padre. Un essere miserabile, abbietto, nella circostanza della morte del figlio l’unica cosa che gli interessa è ricevere una parte della sua eredità. Viene anche un prete, contro la sua volontà, a cercare di confessarlo: si parla di Dio. “Ma quale Dio? Non quello della Bibbia, piccolo despota crudele, pieno di sete di vendetta. La signora di Rênal è lontana, forse suo marito non la lascerà più venire a Besançon, perché non continui a disonorarsi. Ecco quanto mi fa sentire solo, e non l’assenza di un Dio, giusto, buono, onnipotente, per nulla cattivo, per nulla avido dì vendetta. La signora di Rênal torna: è fuggita dal marito e ottiene, a Besançon di incontrare il prigioniero due volte ogni giorno, sollevando la furibonda gelosia di Mathilde che invece ha ottenuto di incontrarlo non due, ma solo una volta al giorno. Nel frattempo, a Parigi, il marchese di Croisenois, “uno degli uomini di Parigi più degni di essere amati, trovò la morte a ventiquattro anni” ucciso in un duello in cui si difendeva il buon nome di Mathilde. Era colui che Julien voleva Matilde sposasse, dopo la propria morte. “La morte di Croisenois cambiò tutte le idee di Julien sull’avvenire di Mathilde: impiegò allora diversi giorni a provarle che doveva accettare di sposare il de Luz…. La data fissata per l’esecuzione si avvicina. Julien può ancora salvarsi: Mathilde può ottenerlo dai gesuiti, la signora di Rênal dal re. Ma rifiuta l’uno e l’altro aiuto. Arriva il giorno dell’esecuzione: “un bel sole rallegrava la natura e Julien era in vena di coraggio. Camminare all’aria aperta fu per lui una sensazione deliziosa, come la passeggiata sulla terraferma per il navigatore che è stato a lungo in mare… – Andiamo, tutto va bene – pensò – non mi manca affatto il coraggio. Quella testa non era mai stata così piena di poesia come nell’istante in cui stava per cadere. Tutto avvenne semplicemente, dignitosamente e senza nessuna affettazione da parte sua. Aveva dato precedenti disposizioni perché il mattino dell’ultimo giorno Fouqué portasse Via Mathilde e la signora di Rênal: – Conducile via nella stessa carrozza, gli aveva detto. Fa in modo che i cavalli vadano sempre al galoppo. Cadranno l’una nelle braccia dell’altra o si dimostreranno un odio mortale. In tutt’e due i casi le povere donne saranno un poco distratte dal loro tremendo dolore. Julien aveva preteso dalla signora di Rênal il giuramento che avrebbe vissuto per occuparsi del figlio di Mathilde”. Fouqué, l’amico, riuscì a comprare dai gesuiti il corpo di Julien e rimase tutta la notte successiva all’esecuzione accanto alla “spoglia mortale”. All’improvviso vide apparire Mathilde che poche ore prima aveva lasciato lui stesso a dieci leghe da Besançon. “Voglio vederlo – gli disse. Le indicò col dito un gran mantello azzurro sul pavimento: vi era avvolto ciò che rimaneva di Giuliano. Quando Fouqué ebbe la forza di guardarla, ella aveva collocato su un tavolino di marmo, davanti a sé, la testa di Julien e la baciava in fronte. Mathilde seguì l’amante sino alla tomba che si era scelto, all’insaputa di tutti, sola nella sua carrozza, parata a lutto, lei portava sulle sue ginocchia la testa dell’uomo che aveva tanto amato“.  La cerimonia funebre avvenne nel cuore della notte, in una grotta, nel punto più elevato di una delle alte montagne del Giura, con decine di preti e con “tutti gli abitanti dei piccoli villaggi di montagna attraversati dal corteo, attirati dalla originalità della strana cerimonia”. “Mathilde comparve in mezzo a loro in lunghi abiti da lutto e alla fine dell’ufficio fece loro gettare parecchie migliaia di pezzi da cinque franchi. Rimasta sola con Fouqué, volle seppellire con le proprie mani la testa dell’amante. Mancò poco che Fouqué ne impazzisse di dolore”. E la signora di Rênal, che ne è di questa donna meravigliosa, la più innocente delle “grandi adultere” della letteratura europea dell’Ottocento? “La signora di Rênal fu fedele alla sua promessa. Non cercò in alcun modo di attentare alla sua vita, ma tre giorni dopo Julien, morì abbracciata ai suoi figli”.

 

CRITICA LETTERARIA: VALUTAZIONE DE “IL ROSSO E IL NERO”

«Amo soprattutto Stendhal perché solo in lui tensione morale individuale, tensione storica, slancio della vita sono una cosa sola, lineare tensione romanzesca». Scritto tra la fine del 1829 e la prima metà del 1830, Il rosso e il nero è il secondo romanzo di Stendhal. L’autore ne corregge le bozze proprio durante le giornate della Rivoluzione di luglio, che liquida la Restaurazione e inaugura la monarchia borghese di Luigi Filippo. Di questo passaggio cruciale della storia francese Stendhal restituisce con crudele fedeltà non la cronaca (malgrado il sottotitolo del romanzo), ma lo spirito, muovendo dalla realtà della provincia per approdare a Parigi, dove da sempre si annodano e si sciolgono i destini politici della Francia. L’impietosa analisi storica non esaurisce tuttavia la complessità della vicenda e del suo protagonista. L’ostinata rivolta di Julien Sorel non è riducibile semplicemente all’acuto senso della propria inadeguatezza economica e sociale. La sua non è coscienza di classe, e Il rosso e il nero non è il romanzo dell’ambizione e della scalata ai vertici della società. Stendhal non è Balzac. Julien Sorel affronta il mondo brandendo la propria inferiorità sociale come un’arma, ma il mondo creato dalla potenza del denaro lo disgusta, anche se tanto spesso deplora l’umile condizione in cui la sorte lo ha fatto nascere. Perciò rimpiange l’epoca napoleonica (di cui questo romanzo rafforza il mito, nato già all’indomani di Waterloo), convinto com’è che allora fosse possibile affermarsi soltanto grazie ai propri meriti. Il rosso e il nero è il romanzo dell’esasperata consapevolezza di sé e della propria dignità, ma anche della vanità, dell’amor proprio, del risentimento. Racconta la guerra, persa in partenza, di un individuo contro tutti. Julien Sorel è un corpo estraneo in qualunque ambiente si venga a trovare, non si lascia integrare, e non sa cedere alla spontaneità nemmeno nell’amore. Maniaco della strategia, ha l’ossessione del controllo, su di sé e sugli altri, ma anche tutta l’ingenuità di chi vorrebbe imporsi in un mondo ostile senza conoscerne né accettarne fino in fondo le regole. Solo in rarissimi momenti si concede di essere sincero con se stesso, nella solitudine della natura o, alla fine, nel felice isolamento del carcere, in attesa della ghigliottina” (Italo Calvino: Fonte: Archivio Einaudi).

Raimondo Giustozzi

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