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Cultura. Questioni di storia medioevale.

ALTO MEDIO EVO – CONDIZIONE UMANA, VITA MATERIALE

Tutto l’alto Medioevo fu un periodo di grandi sconvolgimenti sociali e politici. Le invasioni barbariche avevano distrutto quello che rimaneva dell’antico impero romano. Le guerre continue avevano ridotto in miseria le classi sociali più deboli che non avendo saputo far di meglio, si erano assoggettate a gruppi sociali più forti.

La paura, il terrore, la fame, le malattie endemiche, le carestie ricorrenti sembravano aver mortificato lo spirito umano ed impedito qualsiasi tentativo di riscatto. In mezzo a tutto questo sfascio, la Chiesa soltanto era riuscita, grazie alla sua progressiva potenza economica, a sostituirsi alle antiche istituzioni romane. Papa Leone Magno, davanti all’incalzare delle “orde barbariche” guidate da Attila, era stato acclamato dalla popolazione romana “Defensor Urbis”, difensore della città.

IL PENSIERO RELIGIOSO CRISTIANO SULL’UOMO

Con la Chiesa cresceva automaticamente il peso della religione cristiana nei più svariati settori della vita associata e si andava affermando una visione dell’uomo necessariamente molto diversa da quella che noi oggi abbiamo.

L’uomo, per il pensiero religioso medievale cristiano, era sostanzialmente un angelo decaduto, un re spodestato, un essere diviso tra la sua natura corrotta e impastata di male e l’aspirazione a una pienezza, a una ricomposizione data dalla Grazia di Dio, di cui la Chiesa era depositaria e dispensatrice. L’intera esistenza si poneva, in questa prospettiva, come itinerario. L’uomo era il viandante impegnato a compiere la sua difficile odissea verso la Patria perduta. La vita terrena non aveva alcun valore se non come preparazione, passaggio, transito verso la vera Patria Celeste.

Gli avvenimenti della “Città dell’uomo” non erano compresi se non come manifestazione e specchio della vita trascendente. Le discordie, le guerre, i mali dell’umanità erano da attribuirsi ai ”peccati” degli uomini, a loro volta dovuti alla superbia, origine e maggiore responsabile di tutti i mali.

Il conflitto interno all’uomo tra il bene e il male, tra la Grazia e il peccato, era anche il contrasto tra la Città di Dio e la città degli uomini, configurata quest’ultima come la “Città del diavolo”. In questa visione, dove tutto era subordinato al trascendente, è evidente che il tempo, quella durata attraverso il quale si svolge la fitta trama della nostra esistenza, nel pensiero medievale cristiano, aveva un significato del tutto diverso da quello che noi oggi diamo a esso.

IL TEMPO NELLA MENTALITA’ DELL’UOMO MEDIEVALE

E’ evidente che, per quanto abbiamo detto prima il tempo, nel pensiero medievale cristiano, non apparteneva all’uomo ma solo a Dio. Quando diciamo questo, avvertiamo che oggi siamo lontanissimi dal pensiero medievale cristiano. Nella mentalità dell’uomo d’oggi, il tempo è essenzialmente lo strumento per la conquista del bene materiale. Molti proverbi popolari sul tempo, tutti volti a indicare l’utilità di “un buon uso” di esso, lo stanno a dimostrare: “Chi ha tempo non aspetti tempo”, “Le ore del mattino hanno l’oro in bocca”, “Il tempo è denaro”. Non era così per il pensiero medievale cristiano, dove la vita umana, per le epidemie, carestie, pestilenze, non aveva la stessa considerazione che noi oggi le attribuiamo. Basta pensare a tutte le polizze assicurative che si fanno su di essa. L’esistenza, qui sulla terra, per l’uomo del medioevo era una difficile odissea e la terra stessa, una triste valle di lacrime, come nei libri di spiritualità di secoli così lontani.

 

MESTIERI LECITI E ILLECITI NEL PENSIERO MEDIEVALE: IL MERCANTE

Dopo le cose dette, è chiaro che, parlando delle professioni svolte in epoca medievale, alcune di esse godevano della stima della Chiesa, mentre altre erano invece apertamente condannate dalla stessa. Tra le professioni condannate, quella del mercante era la più bersagliata. Chi altri infatti, come il mercante, fondava la propria attività e costruiva le proprie fortune se non su un impiego razionale del tempo? La creazione di riserve in caso di carestie, l’acquisto e la rivendita in momenti favorevoli in base ad un’esatta conoscenza dei momenti economici favorevoli, delle costanti del mercato delle derrate alimentari e del denaro, il profitto derivante dalla attesa del rimborso di capitali prestati ad interessi anche alti, erano le costanti su cui si fondava l’attività del mercante che faceva del tempo l’unità di misura per le proprie operazioni finanziarie. Il padre di Francesco d’Assisi, Bernardone, dopo la guerra contro Perugia, sognava affari d’oro, tanto che aveva riempito i propri magazzini, di stoffe pregiate, facendole venire dalle lontane Fiandre.

Anche il contadino era soggetto, nella sua attività professionale, al tempo, quello meteorologico, al ciclo delle stagioni, all’imprevedibilità delle intemperie e dei cataclismi naturali. Ma in questo campo non si era mai pensato a nulla di particolare. Anzi, di tutti i lavori, quello del contadino era, per tutto l’Alto Medio Evo, benedetto dalla Chiesa. Il lavoro di Dio era stata la creazione. Ogni professione che non fosse creativa era considerata infame o inferiore. Bisognava fare come il contadino che creava la messe o almeno come l’artigiano che trasformava la materia prima in oggetto. Non potendo creare, bisognava trasformare, mutare, modificare, migliorare. Tutto era bello del lavoro del contadino, salvo poi non dire nulla circa una grandinata che poteva distruggere un intero raccolto. In tal caso rimaneva soltanto la sottomissione all’ordine della natura e di Dio e pregare: “A fame, a pestilentia, a tempestate, libera nos, Domine”.

Esaltazione del lavoro dei campi e condanna della professione del mercante, rimproverato perché il suo guadagno presupponeva un’ipoteca sul tempo che apparteneva soltanto a Dio. Ecco come veniva dibattuto il problema da un lettore generale dell’ordine francescano, all’inizio del XIV secolo: “Ci si domanda se ai mercanti sia lecito ricavare di più da colui che non può pagare subito che da quello che può pagare subito. Si arguisce che non è lecito perché in questo modo venderebbe il tempo e commetterebbe il peccato di usura vendendo ciò che non è suo”.

TEMPO DELLA CHIESA – TEMPO DEL MERCANTE

Il conflitto si affermava dunque, nel cuore del Medio Evo dopo l’XI secolo e fino al XIV secolo, come una delle questioni più importanti, perché proprio su di essa si andava fondando essenzialmente l’etica mercantilistica del mondo moderno.

Ad una suddivisione dei vari momenti della giornata, regolati dalle ore canoniche dettate dalla Chiesa (lodi, prima, terza, sesta, nona, vespero, compieta, notturno, mattutino, che erano i vari momenti del giorno in cui i monaci venivano chiamati alla preghiera), valide per tutti, anche per chi non era religioso, subentrava una diversa misurazione delle ore della giornata ad opera dei rintocchi della torre campanaria issata in un’area prospiciente alla piazza del comune. Si avvertiva la necessità di una misurazione rigorosa del tempo perché era “opportuno che la maggior parte degli operai ritornassero dal lavoro ad ore fisse, ed egualmente si raccomandava che andassero al lavoro ad ore fisse”. Entrava nel vocabolario un termine prima del tutto assente: l’operaio. Si era agli inizi di una organizzazione del lavoro molto diversa da quella che si aveva nei fondachi del signor Bernardone, il papà di Francesco d’Assisi. Questo semplice documento ci annuncia quello che sarà in futuro il lavoro alla catena o comunque il lavoro industriale su larga scala, scandito dal suono delle sirene delle fabbriche; ma dicendo questo abbiamo precorso i tempi, collocandoci già verso la seconda metà del 1700. Per ora, rimaniamo in quel lungo periodo che segna il passaggio tra l’alto e il Basso Medioevo (1100- 1400).

Giustamente osservava Dante Alighieri, questo cantore del bel tempo andato “ Laudator temporis acti”, che la Firenze del proprio tempo non era più quella di una volta quando Terza e Nona segnavano l’inizio e la fine della giornata lavorativa:

“Fiorenza, dentro della cerchia antica,

ond’ ella toglie ancora e terza e nona,

si stava in pace, sobria e pudica”.

La vecchia cinta muraria non bastava più a contenere l’esplosione urbanistica – demografica e la vecchia campana della Badia Fiesolana, voce lontana di un mondo che moriva, cedeva la voce ad un nuovo suono, quello dell’orologio del 1354, manifestazione visiva di una ricchezza di traffici e di commerci senza precedenti. Il rintocco della campana dell’orologio comunale dava inizio al tempo del mercante, tempo del quotidiano, rete cronologica che inquadrava, racchiudeva, stringeva la vita urbana in un’organizzazione sempre più precisa. Certamente all’interno delle mura del Comune, non tutto andava per il verso giusto: lotte degli operai per la riduzione dell’orario di lavoro, minaccia di suonare la campana della torre campanaria per farne il segnale delle loro rivolte. Ma i mercanti, padroni della città non rimanevano con le mani in mano. Molti documenti del tempo ci parlano di forti ammende contro chi avesse fatto suonare le campane per chiamare ala rivolta contro gli scabini o l’ufficiale dello scabinato incaricato del suono della campana. Chi avesse attentato a queste disposizioni rischiava anche la morte.

IL TEMPO DELLA CHIESA?

Il tempo della Chiesa, il mercante cristiano lo conservava come un altro orizzonte della sua esistenza. Il tempo nel quale agiva professionalmente non era più quello nel quale viveva religiosamente. Nella prospettiva della salvezza, si accontentava di accettare gli insegnamenti e le direttive della Chiesa, nella pratica quotidiana, badava a star dietro ai propri interessi. Rimaneva poi l’elemosina ai poveri a scagionarlo ed in questo era ben accetto alla Chiesa. Tempo del peccato e tempo della Grazia- Tempo della morte al mondo prima della Resurrezione, il conflitto durò per molti secoli fino a quando non apparve all’orizzonte culturale della Chiesa, il pensiero della Scolastica, un movimento di pensiero filosofico più sottile, più evoluto, meno rozzo e manicheo del precedente. Certo è che le riserve mentali verso altri lavori condannati come illeciti, tardarono a scomparire anche per tutto il Basso Medio Evo (1000- 1400); questo perché le mentalità sono ciò che cambia più lentamente nella storia, perché si pongono su un tempo di lunga durata, non certo “événementielle” e molto sfasato rispetto al cambiamento di strutture economiche o politiche.

ALTRI MESTIERI LECITI ED ILLECITI NEL MEDIO EVO OCCIDENTALE.

Tempo della chiesa e tempo del mercante, copertina libroNon solo i mercanti, ma anche i locandieri, macellai, giullari, istrioni, maghi, alchimisti, medici, chirurghi, protettori, prostitute, notai, follatori, tessitori, sellai, tintori, pasticcieri, calzolai, giardinieri, pittori, pescatori, barbieri, guardie campestri, doganieri, cambisti, sarti, profumieri, trippaioli, mugnai godevano di poca stima presso l’opinione pubblica medievale Sullo sfondo di queste proibizioni, troviamo le sopravvivenze di mentalità primitive, molto vivaci negli animi medievali. Sono i vecchi tabù delle società primitive, scrive J. Le Goff, uno dei più grandi storici francesi del secolo scorso.

Tabù del sangue: macellai, barbieri, speziali, carnefici; Tabù dell’impurità e della sporcizia: follatori, tintori, cuochi e lavandai; Tabù del denaro: mercanti in quanto usurai e cambisti, prostitute, caso estremo del turpe guadagno; Tabù della lussuria: locandieri e tenutari di stufe, le cui case erano spesso malfamate, tavernieri che vivevano della vendita dei vizi maledetti del vino, del gioco, della danza, operaie tessili accusate di fornire contingenti importanti alla prostituzione.

Era quindi una lotta di tutta una società collocata ancora in un quadro di economia naturale contro l’invasione di un’economia monetaria, condanna di tutti quei mestieri che agli occhi dei discendenti di antichi agricoltori e di pastori, non avevano niente a che vedere con l’antico lavoro del contadino, tanto esaltato nella letteratura latina e benedetto dalla Chiesa – disprezzo del mondo per le ragioni sopra esposte. Il quadro fin qui esposto è valido per tutto l’Alto Medio Evo (476 – 1000) dove per l’esistenza di un’economia chiusa (il feudo, che bastava a se stesso), la condanna di certe professioni era solo un adeguamento a una struttura economica esistente.

La trasformazione delle strutture economiche, operate dalla borghesia: commercianti, banchieri, cambiavalute, attraverso il secolo XII, XIII e XIV obbligò la Chiesa ad un cambiamento di mentalità.

Innanzitutto la lista dei mestieri illeciti si accorciò sensibilmente. Un documento del XIII secolo respingeva ormai dalla società cristiana solo l’accozzaglia di vagabondi, degli erranti, dei clerici vaganti. Essi formavano la “familia diabuli”, la famiglia del diavolo, di fronte a tutti gli altri mestieri, ammessi nella famiglia di Cristo “familia Christi”. Certe professioni insomma che un tempo erano additate al pubblico disprezzo, erano ora rivalutate in base all’utilità comune che potevano recare e alla retta intenzione con cui erano svolte. La retta intenzione poteva giustificare tanto il fabbricante d’armi che pensava soltanto a equipaggiare i combattenti per una causa giusta, quanto i fabbricanti e i mercanti di giochi, concepiti per il solo svago, come rimedio contro la tristezza e i pensieri malinconici.

Anche i mestieri meccanici, come quelli dell’industria tessile, dell’abbigliamento o altri simili che erano necessari ai bisogni degli uomini, trovavano diritto di cittadinanza nel rinnovato pensiero della Chiesa. Si andava affermando poi una nuova mentalità nei riguardi del lavoro che veniva visto anche come fonte di guadagno, non più solo come condanna, fardello del peccato originale e svolto solo dal contadino o comunque da chi occupava uno degli ultimi gradini di quella piramide delle classi sociali esistenti nel mondo feudale. Mentre i chierici si dedicavano alla preghiera e i cavalieri all’arte della guerra, il lavoro manuale era svolto dagli schiavi. Questa mentalità è continuata per tutto l’Alto Medio Evo nella famosa tripartizione delle attività umane: Bellatores, oratores, laboratores – guerrieri, chierici, lavoratori. Gli insegnanti, usciti dalle università, al contrario dei monaci delle scuole monastiche, si facevano pagare il loro insegnamento sotto forma di salario dalle pubbliche autorità o sotto la forma di prebende ecclesiastiche o più spesso con somme pagate dagli studenti. Questo salariato intellettuale che veniva a ingrossare la categoria tradizionalmente disprezzata dei “mercenari” incontrava una viva opposizione che condannava la vendita della scienza “dono di Dio che non poteva essere venduta”. Ben presto però la remunerazione data agli insegnanti sarà giustificata dal lavoro che essi fornivano al servizio dei loro studenti, salario della propria fatica e non prezzo del proprio sapere. Anche il tanto screditato lavoro del mercante sarà, prima scusato, poi ampiamente accettato dal pensiero della Chiesa. Saranno trovate tutte le scusanti: rischi corsi dal mercante, danni effettivamente subiti, immobilizzazione del denaro in lunghe imprese, i pericoli dovuti agli imprevisti, le incertezze dell’attività commerciale. Tutto insomma contribuiva a giustificare i guadagni del mercante. Non veniva nemmeno dimenticata l’utilità di tale professione: “Vi sarebbe una grande indigenza in molti paesi se i mercanti non portassero ciò che abbonda in un luogo là dove la stessa cosa dovesse mancare. Perciò essi possono a buon diritto ricevere il prezzo del loro lavoro” (documento di inizio secolo XIII).

 

Bibliografia: Jacques le Goff, Tempo della chiesa e tempo del mercante, Biblioteca Einaudi, 2000

 

Raimondo Giustozzi

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