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Scuola. L’insegnamento della storia nei programmi per la Scuola Elementare dalla proclamazione dell’unità d’Italia alla fine del milleottocento

DewewNei programmi del 1860 e 1867 per la Scuola Elementare non viene fatta menzione di uno specifico insegnamento storico, intendendosi implicito in modo naturalmente molto ridotto in quello della lingua italiana. Il programmi per la Scuola Elementare del 1888, firmati da Aristide Gabelli (Belluno, 22 marzo 1830Padova, 6 ottobre 1891) inseriscono l’insegnamento della storia sin dalla terza classe con l’esplicita giustificazione che in tale anno finiva l’obbligo scolastico, assegnando a tale disciplina il racconto “di alcuni fatti riguardanti l’unificazione d’Italia”. Nel quarto e quinto anno invece saranno narrati “un certo numero di avvenimenti principali in ordine cronologico” comuni tra loro “con qualche idea generale” ed “accennando ad alcune date”. Il fine formativo di tale insegnamento è nella conclusione: “L’insegnamento della storia ha per fine principale di ispirare con l’esempio ai fanciulli il sentimento del dovere, la devozione al bene pubblico e l’amore della patria”. Nei programmi del 1894, per quanto riguarda l’insegnamento della storia si legge: “Questo insegnamento si propone di dare a tutta l’istruzione quel compimento e quel carattere che meglio si convengono ai bisogni ed alle aspirazioni della nazione italiana, intende far conoscere ed amare la patria, divenuta libera e grande per virtù dei pensatori e dei martiri… Risultato supremo deve essere la coscienza del diritto, nata ed affermatasi col sentimento del dovere e il compiacersi spontaneo del fanciullo, sentendo di appartenere ad una nazione stimata e potente, che da Roma trasse auspici di unità e di grandezza”. Sono evidenti in tali programmi, si era nel periodo del governo Crispi, un’accentuazione nazionalistica e il netto prevalere delle motivazioni politico – ideologiche su quelle psicologiche e didattiche. In tali programmi si davano anche delle indicazioni programmatiche. Lo studio della storia doveva riguardare la storia italiana dal 1848 al 1870. Sulla stessa posizione sono i programmi per la Scuola Elementare del 1905, salvo il raggruppamento di tale disciplina fra le “nozioni varie” e l’estensione del suo studio sino al 1900, approfittando anche dell’istituita classe sesta.

Tuttavia, non solo motivi ideologici, sociali e politici hanno portato a variazioni nei programmi dell’insegnamento della storia, ma in tali variazioni hanno pure avuto un notevole peso accentuazioni ed oscillazioni filosofico – culturali o preoccupazioni pratico – utilitarie di varia natura. Il Romanticismo aveva esaltato la tradizione come portatrice ed assidua rinnovatrice di cultura che è l’essenza stessa dell’umanità. L’idealismo identificava tendenzialmente la storia sia con l’attuazione (Fichte) del compito morale dei singoli e delle comunità umane e dei popoli, sia (Hegel) con il generarsi autonomo dello Spirito e il suo realizzarsi nelle nazioni storiche. Le comunità nazionali sono gli individui della storia, la cui maturità e perfezione sono contrassegnate dalla presa di coscienza completa della loro individualità e dalla sua affermazione in ogni campo culturale, politico, istituzionale attraverso la fedeltà alla propria singolare tradizione, L’educazione, intesa come educazione nazionale, ha il compito principale di elevare e di inserire gli individui nella sfera dell’ethos, renderli membri attivi e coscienti della comunità nazionale. Tuttavia, il fine di questa educazione nazionale e pertanto anche i mezzi che esso richiede si possono intendere in due modi ben distinti e corrispondenti a due diversi rapporti fra nazione e cultura umana.

  • Un primo modo di intendere il rapporto fra nazione e cultura umana è quello di accentuare l’individualità e l’esclusività delle singole culture nazionali e storiche sino ad assegnare ad ognuna di esse un proprio e distinto ideale educativo escludente quello di qualsiasi altra. Si ha in questo modo un nazionalismo culturale negato re dell’umanità come principio che trascende la nazionalità. L’umanità in questo universo di pensiero ideologico e culturale è una pura formula astratta, una somma di nazioni che hanno esse sole una esistenza reale. E’ un nazionalismo questo che alla fine distrugge se stesso e fa della nazione una parte avulsa dal tutto, chiusa in se stessa senza possibilità di ampliamento e di partecipazione a valori universali di carattere permanente e sovra storico.
  • Un secondo modo di intendere il rapporto fra nazione e cultura umana è quello di concepire ogni singola nazione come vivo processo storico, come singolo, differenziato tentativo di realizzazione storicamente condizionata di quell’ideale di umanità che la trascende. In questo caso tra culture nazionali e ideale di cultura umana non c’è affatto più contrasto dal momento che ogni cultura nazionale è una parte che partecipa del tutto. E’ la posizione di Fichte nei celebri “Discorsi alla nazione tedesca”, dove il problema dell’educazione nazionale si pone in termini di non chiusura, cioè come un problema di accoglimento della cultura umana da parte della nazione tedesca senza che questa abdichi alla propria originalità e libertà ma per esprimerla in modo sempre più ricco e rinnovato.

 

Questo secondo modo di impostare il rapporto fra nazione e cultura umana aveva bisogno di una grande fede nell’ideale sovra storico di umanità che trascende ideologie e interessi di parte. Ecco perché il prevalere della prima e più brutale forma di nazionalismo, sin troppo evidente nelle vicende storiche degli ultimi due secoli, è attestato dall’assidua e tragica competizione fra le nazioni europee in ogni campo, con la conseguente strumentalizzazione pedagogica dell’insegnamento storico ai fini nazionali di potenza e di esaltazione retorica della tradizione storica. Ciò non toglie tuttavia che, anche là, dove sono presenti, pur se in modo non palese, una venatura di “Nazionalismo che distrugge se stesso” e la strumentalizzazione pedagogica dell’insegnamento storico, non ci sia una valutazione della storia e dell’insegnamento storico profondamente umani e una metodologia ricca pur nella sua parzialità e contraddizioni derivanti dal concreto momento storico in cui il pensiero pedagogico è nato.

 

I programmi del 1923 per la Scuola Elementare ed il pensiero di Giuseppe Lombardo Radice

 

La formulazione dei programmi per la Scuola Elementare del 1923 risente fortemente del pensiero di Giuseppe Lombardo Radice (Catania, 24 giugno 1879 – Cortina d’Ampezzo, 16 agosto 1938), pedagogista e filosofo italiano. Il pedagogista italiano riprende il pensiero hegeliano della storia intesa come dramma dell’umanità di cui la nostra vita è momento, desiderio spirituale ed etico di rivivere in sintesi e rendere contemporaneo questo dramma per possederlo in noi nella sua totalità e ricchezza spirituale, cercando “nel fatto l’ideale senza di cui i fatti sarebbero muti”. Il compito dello storico è rintracciare del passato l’essenziale, quello che ancora vive nel presente e avere una visione globale e unitaria di tutto lo svolgimento dei fatti. E’ evidente in questa visione la centralità dell’insegnamento storico che più di ogni altro insegnamento mira a questa organizzazione e sistemazione unitaria, globale e cosciente di tutto il sapere. Data questa impostazione, derivano i suggerimenti pedagogico – didattici per l’insegnamento della storia nella Scuola Elementare:

  • Prospettare lo studio delle varie materie scolastiche in modo da risvegliare ed esercitare il giudizio storico.
  • Iniziare non troppo presto ma nella stessa Scuola Elementare l’insegnamento della storia nella forma adatta alla mentalità infantile, dato che la storia vera e propria resta sempre inaccessibile ai bambini.
  • Il giudizio storico non è risvegliato solo dall’insegnamento della storia ma da tutte le materie scolastiche. Sembra che Lombardo Radice voglia dire: “Insegnare la storia ma senza insegnarla”.
  • Risvegliare ed esercitare il giudizio storico giacché “una esigenza fondamentale” come la preparazione e formazione della coscienza storica “non comincia empiricamente in un dato momento dello sviluppo, essendo in tutto lo sviluppo dell’uomo”.

 

E’ evidente che, soprattutto in base alle ultime considerazioni, Lombardo Radice intende la storia in modo molto diverso da quando pensa che il maestro “deve iniziare lo studio della storia non troppo presto”. Anche Lombardo Radice rimane irretito nei programmi: non la storia vicina al bambino (anche se c’è la consapevolezza di muoversi nella direzione di portare il bambino all’osservazione di ogni mutamento temporale dell’ambiente a lui vicino) ma la storia della Grecia, di Roma, dell’umanità intera. E’ proprio questo difetto di fondo, voler insegnare tutta la storia, il principale limite dei programmi del ’23, difetto d’altronde non ancora del tutto scomparso. Tutta la pedagogia dell’idealismo poi, a cui Lombardo Radice è strettamente legato, è fortemente condizionato dal pensiero di Giambattista Vico, dal momento che la mentalità del bambino somiglia alla mentalità dell’umanità più remota e il carattere di questa umanità è la pura e fervida immaginazione, la storia non può che essere ridotta a Storia- Poema. “Età non di ragione e di comprensione critica, né di scelte quella infantile ma di fantasia, di fervida e ingenua immaginazione”. La storia da insegnare ai bambini deve avere allora il carattere di una storia-poema.

Attisani critica il concetto troppo filologico della storiografia di Giuseppe Lombardo Radice e afferma che la profondità con cui un adulto ripensa il passato dell’umanità, per ritrovarne nel presente le tracce, non è la profondità del bambino e sarebbe troppo il pretenderlo, ciò tuttavia non significa che anche il bambino non possa ripensare alla propria storia come una fetta della grande storia dell’umanità. Qualunque sforzo, anche minimo, di riconquistare il presente con il passato, ai fini dell’orientamento pratico, è atto storiografico. L’insegnamento della storia è possibile se è proporzionato agli effettivi, attuali interessi dei fanciulli, il che non significa rendere infantile la storia. Anche il tentativo di insegnare storia, portato avanti in Italia da Vittorio D’Alessandro, della drammatizzazione storica, non si discosta molto dalla storia – poema di Lombardo Radice. Cambiano solo i protagonisti. In Lombardo Radice il protagonista dell’insegnamento della storia – poema era il maestro che assurgeva quasi a un aedo della storia. In Vittorio D’Alessandro i protagonisti sono i bambini stessi, ma siamo ben lontani dall’educazione storica che è maturazione di una struttura logica, di un pensiero criticamente fondato il quale assorbe in sé e nei suoi elementi di giudizio il concetto di sviluppo come divenire e farsi della storia. Peculiare poi in Vittorio D’Alessandro è la scelta degli argomenti e  dei personaggi da drammatizzare: i fratelli Bandiera, la battaglia di Legnano, i Vespri siciliani, avvenimenti e personaggi carichi di per sé di emotività e di passionalità.

E’ con John Dewey ( 1859- 1952) che la storia cessa di essere insegnata come storia- poema. Prima vengono i documenti, poi, caso mai, la loro idealizzazione poetica e letteraria. La storia – poema invece di educare alla comprensione della struttura storica dell’esperienza umana comunica passioni ed entusiasmi che in nessun modo possono essere intesi quale esercizio di razionalità critica. La Scuola Primaria, se deve contribuire a formare questa razionalità critica, anche se iniziale, anche se imperfetta, parziale, deve trovare gli strumenti pedagogici più adatti per andare in tale direzione. Dewey respinge l’idea che “L’immaginazione del fanciullo si esplichi solo nel mito e nel racconto favoloso di tempi e luoghi remoti e nel costruire belle fantasie sul sole, la luna e le stelle”, per cui si è “perfino caldeggiata l’idea di rivestire miticamente ogni specie di scienza per soddisfare l’immaginazione che è predominante nel fanciullo. Fortunatamente non è questa l’immaginazione dei fanciulli. Quel che occorre è solo creare occasioni che portino il fanciullo a scambiare con altri la sua scorta di esperienze e il raggio di informazioni, e a fare osservazioni correggendole ed intendendole per mantenere mobili le sue immagini e per trovare riposo e soddisfazione mentale nell’intendere in maniera precisa e vivida ciò che è nuovo e che cresce”. Obiettivo dell’insegnamento della storia, scrive ancora Dewey, sarà quello di “mettere il ragazzo in grado di apprendere e apprezzare i valori della vita sociale, e di ottenere un’immagine visiva delle forze che favoriscono e rendono possibile un’effettiva comparazione fra gli uomini e di intendere i caratteri che la promuovono e l’ostacolano”.

E’ evidente il riferimento al pensiero pedagogico di Dewey nei Nuovi Programmi del 1979 per la Scuola Media là dove si legge: “Si suggerisce di privilegiare, nella progettazione dell’azione didattica gli aspetti connessi con la formazione e lo sviluppo (in particolare, ma non esclusivamente, nel mondo classico e nell’Europa Medievale, moderna e contemporanea) delle forme di organizzazione della vita associata, nei loro risvolti politici ed economico – produttivi, nonché delle istituzioni giuridico amministrative e religiose con continui riferimenti al variare dei modi di vita.. alle tappe del progresso tecnico e scientifico” (NN.PP). Se il passato, dice Dewey, per poter essere inteso, deve farsi contemporaneo, questo accade in modo particolare con i ragazzi: “Troppe sono le domande urgenti riguardanti il presente e quelle che si pongono sulla soglia dell’avvenire, per permettere che il ragazzo si immerga profondamente in ciò che è passato per sempre”. Ancora dai NN.PP: “Lo studio del passato metterà l’alunno nella condizione di valutare con maggiore penetrazione il presente e di assumere elementi per progettare il futuro”. La storia pertanto, aggiunge ancora Dewey, deve apparire al ragazzo “come un resoconto delle forze e delle forme della vita sociale che resta sempre con noi, così che non può applicarsi ad essa la distinzione di passato e presente. E in quanto racconto delle forze e delle forme della vita sociale, si tratti dell’età dei Gracchi o di quella dei Comuni, la storia non è mai passato, vi si chiariscono e esprimono i motivi che reggono e guidano la vita degli uomini e che si sia svolta in questo o in un altro punto ha scarsa importanza”. L’attenzione dell’insegnamento storico a ciò che permane e continua nel presente, anche se passato, è centrale nei NN.PP del 1979: “L’alunno conoscerà le vicende umane non solo al fine di comprendere il passato ma anche per dare un orientamento alla propria esistenza con riferimento alla realtà che lo circonda”. E ancora: “L’alunno dovrà comprendere che l’esperienza del ricordare è un momento essenziale non solo dell’agire quotidiano del singolo individuo ma anche della vita della comunità umana, locale, regionale, nazionale, europea, mondiale cui l’individuo stesso appartiene” (NN.PP).

 

Se lo studio della storia ha come fine quello di “mettere in grado il ragazzo di apprezzare i valori della vita sociale, di ottenere una immagine visiva delle forze che favoriscono e rendono possibile una effettiva cooperazione tra gli uomini ed intendere i caratteri che la promuovono e l’ostacolano, diventa essenziale orrirne una trattazione dinamica e in movimento e, cioè presentare la vita storica come una poderosa realtà in azione”. A tal fine, occorre accentuarne l’aspetto economico e produttivo, per esprimere “il problema affrontato senza posa dall’umanità di come vivere e padroneggiare e impiegare la natura sì da farne uno strumento per l’arricchimento della vita umana”. Dai NN.PP. si legge ancora: “L’alunno sarà portato a considerare, come avvio di giudizio critico, le soluzioni che gli uomini e le società hanno dato nel tempo ai loro problemi”. Emerge ancora un’altra considerazione del pensiero del Dewey. Se l’insegnamento della storia è volto nel far conoscere al ragazzo il modo in cui gli uomini vissero, gli strumenti che maneggiarono, le invenzioni nuove che fecero e i cambiamenti di vita che furono il prodotto della potenza e agiatezza conseguite, l’alunno desidererà anche ripetere simili processi e maneggiare di nuovo i materiali, occorrerà allora applicare nella ricerca storica qualcosa di simile a quello che il Cousinet chiamerà poi il lavoro storico.

Traspare nella concezione, che Dewey ha della storia e delle sue proposte per l’insegnamento, l’istanza profonda della giovane democrazia americana degli ultimi anni dell’800, educazione alla Democrazia come capacità del cittadino di partecipare attivamente alla complessa vita della “Res Pubblica”. Nella storia – poema di Giuseppe Lombardo Radice si riflette invece una preoccupazione civica – nazionale, ancora legata alla tradizione risorgimentale non meno che agli ideali politici delle classi dominanti, per cui l’insegnamento della storia viene così immolato sull’altare della patria.

 

Raimondo Giustozzi

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