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Politica. Giovanni Maria Flick: “Non si può scaricare sull’istituto la cattiva gestione dei soldi dei risparmiatori”

 

Giovanni Maria Flick durante la presentazione del rapporto annuale dell'Unita' di Informazione Finanziaria per l'Italia (UIF), Roma, 3 luglio 2017. ANSA/GIUSEPPE LAMI

Giovanni Maria Flick durante la presentazione del rapporto annuale dell’Unita’ di Informazione Finanziaria per l’Italia (UIF), Roma, 3 luglio 2017. ANSA/GIUSEPPE LAMI

Bianca Di Giovanni Giornalista

“Mi pare di capire che sta montando il tema di addossare a Bankitalia la responsabilità della malagestio del denaro, dei crediti in sofferenza, i crediti difficili da parte delle banche. Ora io non voglio entrare nel merito, non conosco i fatti e i dettagli, ma non mi pare che si possa scaricare su Bankitalia la responsabilità per la malagestio nella gestione del denaro dei risparmiatori”. Giovanni Maria Flick, ex ministro nonché raffinato giurista, apre un nuovo squarcio nel caso che sta surriscaldando il clima politico di questi giorni attorno alla banca centrale del Paese. Un approccio tutto tecnico, che mette in guardia da un rischio antico: voler risolvere i problemi di sistema affidando tutto alla supplenza del giudice penale. E nel contempo, schiacciando le funzioni delle autorità indipendenti e regolatrici del mercato, quale appunto Via Nazionale. “Sarebbe un ritorno a un passato che non ha funzionato, e dunque un pessimo bagaglio per il futuro”.

 

Professore, parla di un vizio antico, perché?

“Sì, perché questa tendenza mi sembra rispecchiare una politica penale del credito degli anni ’70 del secolo scorso, quando per controllare la patologia creditizia, la malagestio nella concessione del credito, si arrivò ad elaborare la tesi che le banche sono pubblici uffici o pubblici servizi. Quindi sono sotto il controllo dello Stato, quindi l’applicazione del cosiddetto statuto penale della pubblica amministrazione, quindi il controllo del giudice penale sui casi di erogazione di credito poi non restituito. Fu una lunga disputa, alla fine della quale, la Cassazione accolse la tesi che l’attività bancaria è un’attività d’impresa. E che non basta il fatto di essere banche pubbliche, che maneggiano denaro del pubblico (penso ai vecchi istituti pubblici) per trasformarle in attività funzionali di pubblica amministrazione. All’epoca si rinunciò a studiare strumenti efficaci di controllo della patologia del credito, ritenendo sufficiente, e in fondo più comodo, delegare il controllo al giudice penale in termini di malagestio del denaro del pubblico. Confondendo in definitiva il denaro pubblico con il denaro del pubblico, che sono cose profondamente diverse. Il primo giustifica certamente anche il controllo del giudice, il secondo richiede un controllo preliminare di trasparenza e di vigilanza”.

 

Veramente più che di malagestio, oggi Bankitalia è accusata di non aver vigilato e non aver avvertito.

“Sì, ma io noto una tendenza che si sta affermando in questi giorni. Leggevo le dichiarazioni del procuratore della Repubblica di Milano in cui si propone l’introduzione di un codice penale bancario, perché l’attività creditizia non è più sufficientemente tutelata contro il malaffare e i banchieri non sono più pubblici ufficiali. Sotto sotto questa tendenza ritiene di poter controllare l’attività bancaria con gli stessi strumenti con cui si controlla l’attività dei pubblici funzionari. La tesi che era esplicita fino al 1980, e che la Cassazione cancellò con una sua famosa sentenza, a conferma di una direttiva europea, in cui si avverte che occorrono altri strumenti di controllo. Nei casi di malagestio ci può essere l’ostacolo alla vigilanza, la falsità di informazione agli enti di vigilanza, e anche l’omissione di vigilanza da parte di questi ultimi, ma tali enti non possono mai essere corresponsabili nella malagestio del credito. Le responsabilità della vigilanza sono di tipo diverso, non sono concorrenti”.

In Italia c’è anche molta confusione sul ruolo della banca centrale tra i non addetti ai lavori.

“Sì, e non va dimenticato neanche il cambiamento epocale di Banca d’Italia nel momento in cui entra a far parte della struttura della Bce: perde molte funzioni, le rimangono soltanto delle funzioni di vigilanza anche parziali. La mia preoccupazioni è che invece si voglia creare un codice penale bancario con l’assunto che non ci sia una tutela sufficiente, invece le norme ci sono. Basta leggerle e applicarle. Questo è un caso abbastanza emblematico e vistoso del fatto che di fronte alla insufficiente applicazione delle leggi che già ci sono, si pensa immediatamente a introdurre leggi nuove, nella convinzione che il nuovo risolverà i problemi. Ma in questo caso non c’è nulla di nuovo, perché questa impostazione si è percorsa fino agli anni ’80 e non ha funzionato”.

E’ come se si volesse tornare al credito di Stato?

“In parte sì. Lei ricorderà d’altra parte certe forme di credito per le quali si teorizzava addirittura un diritto al credito , i Tremonti bond. Tutte quelle situazioni nelle quali si guardava al credito come espressione di una funzione quasi pubblica, perché è il volano dell’economia, perché serve a far funzionare le imprese, ecc. Ma la verità è che la gestione del denaro è un’impresa, che va condotta attraverso criteri sani e prudenti rispettando tutte le regole che presidiano questo settore. Senza bisogno di andare a rifugiarsi sotto l’ombrello del giudice penale o della pubblica amministrazione e del pubblico servizio. 40 anni fa non ha funzionato”.

In Italia è sempre molto complicato far comprendere l’autorità di questi organismi di garanzia.

“Perché ne abbiamo istituiti troppi, supponendo che facendo tante Authority ci saremmo sottratti al controllo del giudice penale. Ora, non si tratta di questo. Si tratta di trovare gli strumenti più efficienti per il controllo, in questo caso della gestione del credito. Altrimenti vengono fuori quei problemi di cui i tecnici si stanno occupando ad esempio in materia di frodi del mercato mobiliare, dove si sono sommate le sanzioni penali a quelle amministrative. Non mi pare che abbia funzionato, e siamo stati anche richiamati dalla Corte europea”

Lei dice: far funzionare le regole che ci sono.

“Far funzionare le regole che ci sono. In caso di concessione di denaro senza garanzie, ad amici, a partiti politici, che poi producono crediti in sofferenza, ho qualche perplessità ad affacciare come rimedio una soluzione già sperimentate in precedenza e che non hanno dato frutti”.

 

Quindi si dovrebbe ristabilire il ruolo forte dei vigilanti?

 

“Personalmente sono convinto che le istituzioni di vigilanza sono le più adatte in casi di questo genere, devono essere messe in condizione di funzionare, deve essere rispettata la loro autonomia e la loro rigorosa indipendenza, questo è fuori discussione; forse devono comunicare maggiormente quello che fanno in termini di trasparenza e senza ovviamente pregiudicare le soluzioni che si stanno esplorando. Non credo che gli episodi di malagestio bancari si possano risolvere scaricandone al responsabilità su Bankitalia. Questo a prescindere dal caso concreto, che non conosco. Mi colpisce il fatto che certe cose che si dicevano 40 anni fa, purtroppo ritornano drammagticamente di moda”.

Forse le scorciatoie sono sempre uguali.

“C’è un’unica scorciatoia, che ormai è diventata una via maestra in questo paese. Quando c’è qualcosa che non va lo si affida al giudice penale, con buona pace della necessità di guardare al penale come l’extrema ratio, la medicina ultima. Tutto questo tra l’altro crea dei grossi problemi rispetto a un principio fondamentale del sistema penale, quello di legalità. Il quale impone che la pena venga applicata solo nei casi previsti dalla legge. Se dilatiamo l’intervento del giudice penale a tutta una serie di forme di supplenza non previste dalla legge, non rispettiamo più quel principio”.

Un commento sul conflitto esplicito tra Parlamento, Autorità di vigilanza, governo…

“Mi pare che un conflitto tra Parlamento e Autorità di vigilanza non ci possa essere. Ci può essere al più un problema di poca comprensione o di poca comunicazione; tra Parlamento e governo ci può essere un conflitto di attribuzione, sul quale il giurista è meglio che stia a guardare, sono cose che dopo un fuoco improvviso si calmano. D’altro canto è stato detto che il rapporto tra Parlamento e governo è stato “ottimo e abbondante”, come il rancio per le truppe. Io come cittadino comincio veramente a temere il fatto che si stiano demolendo a picconate le istituzioni. Una specie di emulazione che dimentica che di fronte alla picconata data dall’originale, quella data per imitazione è perdente. Mi preoccupa il clima che si sta creando attorno al sistema bancario italiano. Se ci sono stati degli sbagli, non è questo il modo per affrontarli”.

1 commento a Politica. Giovanni Maria Flick: “Non si può scaricare sull’istituto la cattiva gestione dei soldi dei risparmiatori”

  • gioacchino di martino

    Non ho contato il numero di parole utilizzate in questa intervista nella quale, sostanzialmente, viene detto nulla. Ma sono tante, troppe ed alla fine ne ho tratto l’ennesima riprova che coloro che in questi anni hanno avuto ruoli di responsabilità sono veramente convinti che tutto proceda bene. Senza cedere alla tentazione di utilizzare lo stesso numero di parole per esporre un pensiero reale mi limito a dire: se la Banca d’Italia non ha gli strumenti e l’autorità per VIGILARE e SANZIONARE a cosa serve? Se questi strumenti di cui non è in possesso debbono esserle forniti dal Governo perchè non li ha chiesti? Due quesiti semplici dietro ai quali si nasconde un dubbio atroce: CHE LA BANCA D’ITALIA SIA SOLO UNO STIPENDIFICIO di alto borgo!

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