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Dialoghi in corso. È più eretico il papa o “il manifesto” che pubblica il papa? Le tre contraddizioni di papa Francesco

Fonte. MicroMega

Fonte. MicroMega

di Michele Martelli – MicroMega

«È più eretico il papa o “il manifesto” che pubblica il papa?», si domanda la vignetta satirica di Mauro Biani sullo stesso quotidiano che distribuisce in questi giorni nelle edicole il libro di Papa Francesco, Terra, Casa, Lavoro. Discorsi ai movimenti popolari (edito da Ponte alle Grazie).

Che “il manifesto” sia eretico, come noto, è nel suo dna, anche se oggi non c’è più né l’Urss né il Pci. Del resto mai quel quotidiano, mi pare, ha fatto professione di ateismo. Tra l’altro, senza essere eretico, anche il Pci aveva al suo interno i suoi catto-comunisti, i suoi «comunistelli di sagrestia». Ma Bergoglio eretico rispetto a chi e a che cosa? Rispetto alla bioetica? Le sue timide e ambigue aperture non ne fanno un eretico, se non agli occhi venati di sangue del fanatismo dogmatico di alcuni nostalgici del passato (vedi la recente lettera inquisitoriale contro il papa dei 62 preti e teologi cattolici). Rispetto ai dogmi di fede? Papa Francesco non li ha modificati di una virgola. Altrettanto si può dire degli aspetti rituali e liturgici o del diritto canonico. O della Costituzione dello Stato Vaticano, che rimane l’unica e ultima teocrazia. La stessa reiterata condanna bergogliana della disumanità orrenda della pena di morte non ha finora scalfito la legislazione vaticana, dove quella pena è prevista e giustificata.

C’è sì una res nova apportata dal papa «venuto dalla fine del mondo», ma riguarda unicamente la «dottrina sociale della Chiesa», formulata in particolare, come si sa, da Leone XIII nell’enciclica Rerum novarum (1891) e poi dal papa conciliare Giovanni XXIII. Una «dottrina» che non modifica i dogmi di fede, ma ha il fine di riposizionare la Chiesa nei conflitti sociali moderni. Adeguando i dogmi ai tempi.

Quale l’apporto di Bergoglio? Da un lato egli ne ribadisce i principî etico-sociali fondamentali (bene comune, solidarietà, sussidiarietà, lavoro, famiglia, ecc.). Dall’altro la ritocca e aggiorna, a fronte dell’attuale predominio globale e selvaggio del finanz-capitalismo. Interessante è che il papa gesuita ha sin dall’inizio cercato di orientare il suo pontificato su due regole metodiche ispirate da Ignazio di Loyola, e cioè: a) la teoria senza la pratica vale poco o niente, ovvero «la realtà è superiore all’idea»; b) l’adattabilità della teoria ai processi reali, ovvero «il tempo è superiore allo spazio».

Il che significa che il corpus dogmatico, pur sempre valido in sé, va tuttavia sempre calato nella prassi, continuamente adattato alle novità e mutamenti reali, oggettivi; altrimenti resta qualcosa di inerte e storicamente inefficace. Insomma il fine, la strategia papale rimane la difesa e il potenziamento della Chiesa e dei suoi dogmi, ma la tattica, l’azione nel mondo si fa flessibile e articolata, relativa alle circostanze, ai processi, alle trasformazioni sociali e culturali. Questo sapiente e abile nesso teoria/prassi, tattica/strategia quali effetti realmente produca, è tutto da vedere.

Tuttavia, ciò non sminuisce il valore innovativo della pastorale di Bergoglio. Anzi. Questo opuscoletto è un vero e proprio atto d’accusa contro il neoliberismo oggi trionfante, coraggiosamente additato come il principale responsabile dei mali d’inizio del XXI secolo. Mai finora un papa aveva individuato con tanta precisione e veemenza nelle èlites capitalistiche mondiali la principale causa delle miserie e sofferenze umane e della devastazione dell’ambiente e della terra. Il che gli è costato da parte dei suoi nemici interni l’appellativo intenzionalmente ingiurioso di «bolscevico e comunista». Che lui non è, né è mai stato. Né forse si è mai sognato di essere o diventare. Come dimostrano, tra l’altro, anche i Discorsi contenuti nell’opuscolo di cui sopra. Dove una lettura laica e di «sinistra» potrebbe rilevare infatti almeno tre non trascurabili contraddizioni.

1) La «Teologia del popolo».

La dottrina sociale di Bergoglio si conforma, cosa non a tutti nota, ai principi della cosiddetta «Teologia del popolo» di matrice argentina (teorizzata da preti e teologi argentini), che al concetto marxisteggiante di «popolo-classe» della «Teologia latino-americana della liberazione» sostituisce il concetto «mitico» (parola testuale, usata dal papa altrove), di ascendenza romantica, di «popolo-nazione», con «l’opzione preferenziale» per i poveri, gli esclusi, gli umili e ultimi della terra, nelle cui tradizioni, religiosità, legami sociali e culturali sarebbe depositato il valore dell’autentica fede e pietà cristiana, ovvero sarebbe riaffermato «il senso trascendente della vita».

Ma un popolo così concepito a me sembra un ircocervo logico. Un mito può produrre effetti storici, ma resta una costruzione mentale, immaginaria, senza esistenza reale. Considerato in se stesso, se è mito, non è storia, se è storia, non è mito. Inoltre, se concepito come un tutto che esista al di sopra delle parti, allora sarebbe un’ipostasi, un tutto assoluto, mistico, indifferenziato, senza parti. Che senso avrebbe allora l’opzione preferenziale per i poveri?

Infine, il pueblo-mito ha in Bergoglio un’ovvia connotazione religiosa: è «il popolo di Dio», a cui Dio affida la sopravvivenza e rinascita della genuina spiritualità religiosa. Ma, se è così, al popolo di Dio non si contrappone forse il popolo senza Dio, ai credenti i non-credenti? E non si ribadisce così la vecchia solfa dell’«extra Ecclesiam nulla salus»? In tal caso, l’unica antitesi che rimarrebbe sarebbe quella classica tra fede religiosa e ateismo, tra cristianesimo e secolarismo (o laicismo).

2) L’interclassismo.

Nella dottrina sociale di Bergoglio ai «movimenti popolari» e alle comunità locali dei poveri, degli esclusi, si contrappone il «sistema» neoliberista globale, gestito da gruppi privilegiati avidi ed egoisti in modo da produrre inevitabilmente, «strutturalmente» miseria e degradazione. Il linguaggio è vicino a quello di Karl Marx. Ma Bergoglio non parla né di classi sociali diverse e contrapposte, né di lotta di classe. Tuttavia, se per ipotesi traducessimo le sue parole in termini di classi sociali, diremmo che la sua posizione è di tipo interclassista. Con le contraddizioni che ciò implica.

Innanzitutto, il progetto di Bergoglio delle «tre T» («Tierra, Techo, Trabajo», Terra, Casa, Lavoro), non comporta forse la lotta, pacifica e propositiva, ma pur sempre antagonistica, contro i detentori del capitale industriale e finanziario mondiale, a causa della cui insaziabile avidità di ricchezza e di profitto esistono i poveri, «i senza terra, i senza casa, i senza lavoro»? Dunque l’ipotetico interclassismo non avrebbe senso, andrebbe deposto, perché contraddittorio con la prassi dei movimenti.

Inoltre, il papa, pur denunciando energicamente il neoliberismo oggi trionfante e il culto neoliberista del «dio-danaro» quale causa dei principali mali del XXI secolo, tuttavia non nega la proprietà privata capitalistica. Ne rivendica, come i papi precedenti, soltanto una «funzione sociale». Il che non è poco, ma è come mettere insieme il diavolo e l’acqua santa. In realtà Bergoglio critica non la proprietà privata, ma lo sfrenato egoismo proprietario dei pochi, delle caste, delle èlites dominanti. Vorrebbe, per così dire, un capitalismo dal volto umano, generosamente altruista, comunitario.

C’è mai stato? Ci potrà mai essere? Insomma il fine della sua vigorosa denuncia è etico-religioso, non economico-sociale. Una sorta di «terza via» (tra socialismo e liberismo). Ma, come ogni terzismo, il rischio, a me pare, è l’utopismo. E la sostanziale impotenza nell’azione. La misericordia, da sola, non basta per cambiare il mondo. Può essere soltanto lo strumento per la salvezza mi(s)tica del mondo. Per chi ci crede.

3) «Nessuna religione è terrorista».

Papa Francesco definisce «terroristico il sistema» neocapitalistico attuale, perché, divinizzando il danaro, diventa fonte di colossali ingiustizie sociali: milioni di persone abbandonate come «scarti» alle periferie del mondo, senza dignità umana e creaturale, trattate come cose. Sull’argomento, mai un papa aveva usato parole così dure. Ma poi afferma senza ombra di dubbî che «nessuna religione è terrorista».

Il che è sommamente discutibile. Se infatti è un giudizio storico, mi pare chiaramente insostenibile, perché contraddetto quasi in toto dall’esperienza storica, passata e presente, in tutti e quattro i punti cardinali del pianeta, a Nord e a Sud, a Oriente (e Medio-Oriente) e a Occidente: di atti terroristici e crociate, stragi e guerre sante sono zeppi gli annali di ogni religione, a cominciare dal biblico «Dio degli eserciti». Se invece è un giudizio di valore, allora riguarda non ciò che la religione è, o in gran parte è stata, ma ciò che dovrebbe essere. L’ideale, non il reale. Ancora una volta, nella migliore e più benevola delle ipotesi, un pio desiderio, un utopismo astratto.

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