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Record di poveri, acquedotti colabrodo e diseguaglianze: ecco perché l’Italia è lontana dagli obiettivi Onu di sostenibilità

Fonte: Internet

Fonte: Internet

di ROSARIA AMATO – Repubblica.it

Non si tratta solo di ambiente pulito. E non perché già solo ridurre le emissioni, avere l’aria più respirabile e frenare i cambiamenti climatici non sarebbe un risultato importante. Il fatto è che ridurre le emissioni di gas serra nella misura stabilita dagli Accordi di Parigi, e contemporaneamente rafforzare la Garanzia Giovani e le misure per l’occupazione femminile, potenziare anche il Piano Banda Larga e l’Industria 4.0, e promuovere l’istruzione di qualità, farebbe anche crescere il Pil ben al di là dello zero virgola, o dell’uno virgola, ridurrebbe il debito pubblico in modo significativo, limiterebbe di molto l’incidenza della povertà e farebbe anche crescere l’aspettativa di vita alla nascita. Lo spiega l’ASviS nel rapporto “L’Italia e lo sviluppo sostenibile”, presentato stamane a Montecitorio. Il Rapporto misura la distanza del nostro Paese dai 17 obiettivi dell’Agenda 2030 adottata il 25 settembre del 2015 dai 193 Paesi dell’Onu, ma ipotizza anche che fine faremo tra 15 anni se sceglieremo una strategia “moderata”, qualche legge qua e là, che pigramente soddisfi in parte alcuni degli obiettivi, oppure se si opterà finalmente per una “visione il più possibile olistica”, che consideri le politiche per lo sviluppo come “pacchetti” che “devono integrarsi coerentemente in modo da aumentarne l’efficacia e l’efficienza”.

Le simulazioni del rapporto si basano su alcuni esercizi modellistici realizzati dalla Fondazione Eni Enrico Mattei (una delle 175 organizzazioni che aderiscono all’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile) che utilizzano un indicatore composito che fa riferimento a 16 dei 17 obiettivi dell’Agenda 2030. Gli scenari sono due: il primo ipotizza una continuità con la situazione attuale, tutt’altro che brillante. Infatti l’Italia attualmente è molto lontana dai Paesi virtuosi come la Svezia, e nell’Unione Europea fa meglio solo di Repubblica Ceca, Spagna e Grecia. “L’Italia è fortemente in ritardo nella dimensione economica, moderatamente in ritardo per quella sociale, mentre quella ambientale risente negativamente dell’uso inefficiente delle risorse idriche e dell’alto inquinamento derivante dal settore residenziale e da quello dei trasporti”.

La simulazione in effetti non fa altro che confermare quello che emerge dall’analisi dettagliata dei 17 obiettivi dell’Onu effettuata dagli esperti dell’ASviS: il nostro Paese è indietro su povertà, disoccupazione, disuguaglianze, degrado ambientale, mentre registra un miglioramento nei campi della salute, dell’educazione, e dell’alimentazione, “pur restando lontano dagli Obiettivi di sviluppo sostenibile che riguardano questi temi”, però. Nè s’intravvedono al momento strategie di grande miglioramento. Qualche esempio: nel 2016 le famiglie in povertà assolute erano 1,6 milioni (il 6,3% delle famiglie residenti), per un totale di 4,7 milioni di individui, il livello più alto dal 2005. Il governo ha varato il Rei, il reddito di inclusione, che sarà attivo dal 1° gennaio dell’anno prossimo, una misura che, assicura il portavoce dell’ASviS Enrico Giovannini, professore di statistica economica all’Università di Roma Tor Vergata, “per come è stato disegnato avrà sicuramente effetti positivi, ma non eliminerà probabilmente neanche un povero”. Altro obiettivo, la disponibilità e la gestione sostenibile dell’acqua e delle strutture igienico sanitarie: nel 2015 è andato disperso il 38,2% dell’acqua immessa nelle reti di distribuzione. Con l’acqua che si perde in Italia ogni anno si potrebbero soddisfare le esigenze di 10,4 milioni di persone. Disuguaglianze: il divario tra il reddito disponibile equivalente del 20% più ricco e il 20% più povero della popolazione in Italia è passato dal 5,4 del 2006-2007 ai 5,8 del 2015, rispetto a una media Ue che si attesta a 5,2.

Con uno scenario a bocce ferme, o quasi ferme, l’Italia nel 2030 sperimenterà con tutta probabilità un avanzamento del Pil pro capite e una riduzione di povertà e disuguaglianza, ma peggiorebbero le emissioni di gas serra, l’intensità energetica, la qualità dell’ambiente peggiorerebbe, saremmo più lontani di adesso dall’Agenda Onu. Se invece si adottasse uno sforzo per coordinare politiche mirate al miglioramento di tutti gli obiettivi il salto in avanti sarebbe più che consistente, la sostenibilità del Paese migliorerebbe del 17% ma ne beneficerebbe moltissimo anche il Pil, si svilupperebbero le rinnovabili, riducendo la forte dipendenza dall’estero che ci ha spesso esposto al rischio di black out e che riduce le nostre performance economiche a causa dell’alto costo dell’energia.

Ci sono possibilità che questo avvenga? Il governo ha fatto un deciso passo in avanti se non verso l’Agenda 2030 verso indicatori molto vicini a quelli dell’Onu, i 12 indicatori di sviluppo sostenibile elaborati sulla base del rapporto Bes dell’Istat. A questi obiettivi ha ancorato le politiche della legge di Bilancio e del Def, stabilendo che ogni anno entro il 15 febbraio il ministro dell’Economia debba pubblicare una relazione che attesti come le misure varate migliorino o peggiorino le nostre performance rispetto a questi indicatori, che vanno dal reddito pro capite all’abusivismo edilizio alla disuguaglianza, includendo anche sovrappeso e obesità. Una normativa unica in Europa che rappresenta un deciso passo in avanti verso gli obiettivi di sviluppo sostenibile, anche quelli dell’Onu che in parte coincidono con i 12 adottati in Italia con la riforma della legge di Bilancio.

Però, certo, serve molto altro. L’ASviS fa un ventaglio di proposte, che vanno dall’approvazione di leggi che da tempo giacciono in Parlamento, vittime di interessi contrapposti che non sono quelli del Paese, come la legge sul consumo di suolo, e quella di gestione delle acque, a innovazioni come l’introduzione del principio di sviluppo sostenibile nella Costituzione. Ancora, suggerisce la trasformazione del Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica (CIPE) in Comitato Interministeriale per lo Sviluppo, iniziativa che sarebbe anche pienamente coerente con i 12 indicatori sui quali dall’anno prossimo il governo dovrà misurare l’efficacia delle proprie politiche. E per le prossime elezioni, lancia una sfida: misurare i programmi di partiti e coalizioni sugli effetti che avranno non solo sull’economia ma anche sullo sviluppo sostenibile. “In Olanda lo fanno da tempo”, assicura Giovannini.

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