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Dialoghi in corso. Salute e democrazia: il ruolo delle Comunità locali

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di Emanuele Vinci  Presidente Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri Brindisi, coordinatore Gruppo di lavoro “Ambiente e Salute, Professione e Sviluppo”, Federazione Nazionale Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri.

In Italia il welfare sanitario mostra segnali allarmanti di crisi e il diritto alla salute è ormai sempre più negato alle persone meno abbienti. Per salvaguardare i principi di equità, universalità e solidarietà del servizio pubblico è necessaria una profonda riforma che introduca essenziali elementi di democrazia nel Sistema Sanitario mediante il coinvolgimento dirett

o delle Comunità locali e delle città.

Premessa: la crisi del welfare sanitario

Negli ultimi anni diversi Enti ed Organizzazioni internazionali e nazionali (Organization for Economic Cooperation and Development, Osservatorio Nazionale sulla salute nelle regioni italiane, etc.) hanno documentato che il welfare sanitario in Occidente e, in particolare, in Italia mostra segnali sempre più̀ allarmanti di crisi. In particolare: diminuzione della vita media vissuta in buona salute, caduta della natalità, aumento delle diseguaglianze tra aree del Paese e classi sociali, rinuncia alle cure per povertà, aspetto che in Italia riguarda ormai circa 8 milioni di persone.

È opinione largamente condivisa che la crisi della Sanità nel Terzo Millennio sia dovuta a tre principali fattori:

– l’aumento e il mutamento dei bisogni assistenziali, in particolare legati a invecchiamento e fragilità;
– lo sviluppo delle scienze e tecnologie biomediche con costi sempre più̀̀ elevati dei farmaci e delle tecniche diagnostiche terapeutiche e riabilitative;
– la riduzione, in termini assoluti e relativi, delle risorse finanziarie pubbliche disponibili a seguito della crisi economica degli ultimi decenni.

Dall’inizio del XXI secolo sono in atto nell’Unione Europea provvedimenti per il controllo e il contenimento della spesa pubblica per la “salute”, che nel 2015, secondo Eurostat, è stata equivalente al 7,2% del Pil dell’Ue, mentre in Italia la spesa è poco sotto la media: 7,1%. Al contempo è documentato l’aumento esponenziale della spesa privata, che in Italia è stimata in 35 miliardi/anno di euro.

La risposta alla crisi mediante il controllo della spesa pubblica

A tali problematiche le Autorità̀ di governo nazionale e regionale, col supporto di esperti in management aziendale e/o sanitario, hanno dato risposte essenzialmente di tipo tecnico-gestionale, con l’obiettivo di controllare e contenere la spesa pubblica. In tale ottica, in Italia negli anni ’90 del secolo scorso è stata avviata l’aziendalizzazione delle Asl con il DLgs 502/92 e successive modifiche.

Negli anni successivi altri interventi sono stati adottati, sempre nella stessa logica gestionale. In particolare: i Piani di riordino ospedaliero delle Regioni, la definizione degli standard ospedalieri del DM 70/2015, i Decreti governativi del 2016 sull’appropriatezza prescrittiva e nuovi LEA. Tali provvedimenti hanno determinato una progressiva riduzione e un concreto razionamento delle prestazioni erogate, sia pure quando effettuati con razionalità scientifica.

Nella stessa ottica sono gli altri provvedimenti in campo sanitario.

Per esempio, i costi standard, calcolati in tre regioni benchmark, sono utilizzati per definire il fabbisogno di ciascuna Regione con relativa ripartizione del Fondo Sanitario Nazionale, che ha determinato una conseguente ulteriore penalizzazione delle aree più̀ deboli del Paese sia sotto l’aspetto sanitario che socioeconomico, particolarmente per quelle Regioni già̀ sottoposte a piani di rientro, imposti dal Ministero della Salute di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze (dati reperibili su Agenas.it)

Nella stessa direzione si è mossa la riduzione del costo del personale sanitario con blocchi del turnover, che ha causato la perdita di circa 50 mila operatori sanitari dal 2009 al 2016 e la riduzione della spesa per il personale, che pesa sempre meno sul totale dei costi, -8,6% nell’ultimo quinquennio (Annuario 2017 Ragioneria Generale dello Stato, Report Cgil gennaio 2017). Tutto ciò ha innescato un diffuso precariato di lavoro medico e infermieristico (si stima una quantità̀ di circa 20 mila operatori precari) con disagi assistenziali difficilmente quantificabili, ma sicuramente notevoli.

A tali interventi strutturali bisogna aggiungere anche i tentativi di una progressiva riduzione degli sprechi, del malaffare e delle ruberie, mediante centralizzazione degli acquisti; tali provvedimenti hanno invece non di rado contribuito ad abbassare non solo i costi ma anche la qualità̀ di molte forniture (evidenze empiriche: il vitto servito ai pazienti e i guanti monouso per il personale), e in alcuni casi a incrementare lo stesso malaffare, come documentato dalle cronache giudiziarie, di cui è emblematica la vicenda Consip.

Dopo un ventennio di tali politiche, l’obiettivo di controllare la spesa pubblica è stato raggiunto, come attesta il Rapporto “Monitoraggio della spesa sanitaria 2017” della Ragioneria generale dello Stato, che certifica come il valore medio della spesa sanitaria, dopo decenni di crescita, dal 2010 al 2016 è invece diventato persistentemente negativo: – 0,1 per cento/anno.

Ma la positività̀ di tali provvedimenti finisce al raggiungimento dell’obiettivo finanziario di contenimento della spesa pubblica per la salute.
 

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La crisi del Sistema Sanitario: la perdita di efficacia e di partecipazione

Tutti i suddetti provvedimenti vengono sostanzialmente ormai riproposti ogni anno come rimedi salva-sistema, razionando sempre più̀ i servizi offerti.

Ma, ancor più̀ della riduzione delle singole prestazioni assistenziali, il risultato negativo di tali politiche “efficientistiche” è stata la progressiva emarginazione dei due attori protagonisti della medicina, ovvero della relazione di cura medico-paziente. Quest’ultimo è ormai una comparsa senza diritti e spesso può solo sperare di “conoscere qualcuno” per ricevere la prestazione appropriata, mentre il medico, e ogni operatore sanitario, deve lavorare in un contesto strutturale e organizzativo deficitario e sottostare a mille procedure e norme burocratiche, senza reale autonomia ma con tutta la responsabilità̀ del caso.

Pertanto si può affermare che le politiche sanitarie finora attuate hanno aggravato ancora di più quello che è, forse, il principale elemento caratterizzante la crisi del welfare: il progressivo calo fino all’annullamento della partecipazione democratica delle persone e delle popolazioni alle scelte che riguardano il proprio lavoro, la propria salute e vita.

La relationship medico paziente

Tutto ciò mentre nell’ambito della ricerca e della pratica clinica si fa strada la convinzione che, nella definizione, costruzione e gestione del percorso terapeutico assistenziale, il paziente non può̀̀ essere “l’oggetto” da sottoporre alle cure, ma al contrario deve essere “il soggetto protagonista” del proprio percorso di cura e salute. Di recente studi clinici di neuroscienze hanno documentato che, nella relazione di cura medico-paziente, i farmaci, quando sono efficaci, hanno come bersaglio le stesse vie metaboliche e gli stessi circuiti neuronali attivati dagli elementi relazionali, come empatia, fiducia, speranza e compassione, affermatisi da millenni nel corso dell’evoluzione (F. Benedetti, “The patient’s brain. The neuroscience behind the doctor patient relationship”. Oxford University Press, 2011).

In termini più̀ generali la partecipazione attiva “democratica” del paziente e del medico alla costruzione e gestione del percorso assistenziale è essenziale al buon esito della cura. Questo rende ancor più assurda la logica dei “tempari” delle prestazioni mediche e sanitarie, poichè “la relazione di cura non va a tempo” (Federazione Nazionale Ordini dei Medici Chirurghi ed Odontoiatri, luglio 2017).

In verità l’importanza della comunicazione nella relazione di cura era stata già̀ codificata dal noto aforisma di Ippocrate nel V sec aC “il medico cura con le parole, le pozioni e il coltello”.

Ambiente e Salute: il coinvolgimento degli stakeholders e i Medici Sentinella dell’Ambiente

Anche nel campo della prevenzione primaria e, in particolare, a fronte dell’incremento drammatico delle patologie ambiente correlate, si fa strada la consapevolezza della necessità di un ruolo attivo sia delle persone e delle popolazioni sia dei medici e altri operatori della salute.

Infatti la separazione tra politiche ambientali e politiche sanitarie, introdotta con il referendum abrogativo del 1993 delle competenze delle strutture sanitarie sull’ambiente, ha dimostrato il proprio fallimento allorchè le aree classificate vent’anni fa (DPR 196/98) a rischio di crisi ambientali sono diventate oggi aree di disastri ambientali, come dimostrato nella vicenda ILVA a Taranto.

Tali disastrose politiche ambientali sono state “poggiate” essenzialmente su strutture tecniche dedicate, con procedure autoreferenziali e modelli elitari di gestione: le decisioni sono considerate complesse e quindi restano solo nelle competenze delle strutture tecnico-burocratiche e di coloro “che sanno” (ovvero solo nelle mani di tecnici esperti e di governanti). Tali disastri ambientali sono stati raggiunti con relativa facilità, in quanto la politica dell’ambiente è riuscita da una parte ad escludere le strutture sanitarie (in particolare i Dipartimenti di Prevenzione delle ASL) e la professione medica dalla valutazione di attività̀ e procedure con alto impatto sulla salute, dall’altro ha ignorato il diritto, e anche il dovere, delle persone e delle Comunità̀ a partecipare a quelle scelte che condizionano la loro salute e vita.

Oggi a fronte del crescente numero di patologie ambiente correlate, si fa strada a tutti i livelli la consapevolezza di invertire rotta e di riunire le politiche correlate ad ambiente e salute. In particolare:

– si comincia a proporre e, in alcuni rari casi ad adottare, procedure di valutazione di impatto sulla salute (VIS), che sono fondate sull’uso trasparente dei dati epidemiologici e delle evidenze scientifiche e sul coinvolgimento delle popolazioni e comunità interessate. In tale direzione va il Piano Nazionale della Prevenzione 2014-2018 (approvato dal Ministero della Salute in sede di Conferenza Stato-Regioni il 13 dicembre 2014), che ribadendo la necessità della prevenzione primaria, al punto 2.8 “Ridurre le esposizioni ambientali potenzialmente dannose per la salute” indica la VIS – Valutazione Impatto sulla Salute- come “strumento di elezione per la valutazione preventiva partecipata degli effetti sulla salute di progetti, programmi e politiche”.

– La Federazione Nazionale dei Medici Chirurghi e Odontoiatri e International Society Doctor Environment sez. Italia, in accordo con il Ministero della Salute, stanno lavorando alla formazione dei Medici Sentinella per l’Ambiente.

In definitiva, anche in ambito di ambiente e salute, si sta affermando la consapevolezza che la salute è il risultato di un processo di partecipazione attiva e di coinvolgimento delle persone, delle popolazioni, dei medici e degli operatori sanitari.

La programmazione e la gestione sanitaria: il ruolo storico e futuro delle Comunità̀ locali

Mentre in ambito di prevenzione primaria e di percorsi clinico- assistenziali si fa strada la consapevolezza della necessità di partecipazione attiva della persona e della popolazione adeguatamente informate, tale “questione democratica” resta invece ignorata allorchè si affrontano i temi della programmazione, pianificazione e gestione delle strutture sanitarie.

Sarebbe necessario ricordare che il nostro attuale Servizio Sanitario, fondato sui principi di universalità̀, equità̀ e solidarietà̀, è stato avviato con la Legge 833/78, trovando le sue fondamenta nelle strutture socio sanitarie attivate dalle Comunità̀ locali e dalle Mutue di previdenza e assistenza.

È noto che le Comunità locali, nelle loro articolazioni istituzionali e sociali, dall’inizio del secolo scorso hanno costruito la sanità pubblica (medico condotto, ufficiale sanitario, medico scolastico, ostetrica condotta, etc.) e hanno attivato le prime strutture sanitarie e socio-sanitarie (ospedali, orfanotrofi e case per anziani) molto spesso con il sostegno economico del privato: le donazioni dei benefattori. Queste elargizioni di solidarietà̀ nei confronti del strutture sanitarie si sono completamente azzerate con il passare degli ultimi anni a testimoniare che ormai nelle Comunità prevale il senso di estraneità verso le strutture dell’ASL rispetto al precedente spirito di solidarietà.

In definitiva le Comunità locali hanno fondato la sanità pubblica, ispirata ai principi di partecipazione attiva e di sentimenti di solidarietà, e poi sono state del tutto estromesse dalla governance del SSN.

In tal senso il diritto alla cura e alla salute inteso come reale partecipazione democratica delle popolazioni alla governance del sistema sanitario nel territorio è stato sacrificato in una logica di pianificazione aziendalistica ed efficientistica, che ha una propria valenza nella ristrutturazione della rete ospedaliera, ma che si è rivelata fallimentare nella sanità del territorio, ovvero nella governance di quelle strutture a bassa/media intensità di cura (riabilitazione, RSA, Assistenza domiciliare, cure primarie, ospedali di comunità e a domicilio, cure intermedie, Sert, Centri di salute mentale, igiene e sanità pubblica).

L’affermazione del centralismo regionale, che punta ad Aziende Sanitarie sempre più vaste fino a comprendere tutta la Regione, ha ulteriormente accentuato la divisione profonda tra le popolazioni e le strutture sanitarie ingenerando un costante clima di conflitti e contrapposizioni.

D’altronde oggi si pone con sempre più evidenza la necessità del ruolo attivo delle città e delle Comunità̀ locali nella costruzione di una risposta democratica alla crisi generale del welfare nelle società̀ occidentali.

Nell’ultimo vertice delle ONU sulle città tenutosi a Quito nell’ottobre 2016 , sia pur a margine, è stato inserito il cosiddetto “diritto alla città”, come “lo scenario di incontro per la costruzione della vita collettiva” . Tale considerazione viene ripresa da Joan Subirats (MicroMega 5/2017, 69-80) allorchè scrive “l’alternativa c’è e passa proprio dalle città, che rappresentano la prima frontiera per affrontare l’emergenza sociale e il luogo in cui è più semplice mettere in moto processi e dinamiche mutualistiche”

Conclusioni: più̀ democrazia in Sanità

La Salute non è solo l’assenza di malattia o di infermità̀, ma è il benessere fisico psichico e sociale (WHO Costituzione 1948), risultante di un processo di equilibrio dinamico tra la persona/popolazione e l’ambiente umano, fisico, biologico e sociale in cui vive, e alla cui promozione interviene attivamente la persona. (WHO Ottawa charter for Health Promotion, Geneve, 1986)

Tale processo di costruzione della Salute nel territorio va sostenuto basandosi sul principio della Salute come diritto universale (riguarda tutti gli esseri umani) democratico (partecipazione attiva delle persone e della loro Comunità) e costituzionale (sancito dalle Costituzioni e Convenzioni nazionali e internazionali).

La persistente crisi economica ha determinato la riorganizzazione aziendalistica del SSN, che pur avendo raggiunto gli obiettivi di maggior efficienza e di controllo della spesa pubblica, ha determinato una progressiva riduzione del diritto alla salute. Ma, come affermava Stefano Rodota’ “se è il mercato a decidere che i diritti sono un lusso, in realtà̀ si decide che la democrazia stessa è un lusso”.

Oggi si pone con sempre più̀ evidenza la necessità di apportare una profonda riforma al Servizio Sanitario Nazionale , che ha dimostrato nei decenni scorsi di essere uno dei migliori al mondo, ma almeno dall’inizio del XXI secolo mostra sempre più̀ difficoltà a dare risposte positive ai mutati bisogni assistenziali e alle grandi innovazioni biomediche e tecnologiche.

La riforma necessaria non può essere basata solo su criteri finanziari e tecnico-gestionali, ma va avviata e realizzata come risposta democratica alla crisi del welfare sociosanitario, riproponendo un ruolo attivo delle Comunità̀ locali e delle città come “scenario di incontro per la costruzione della vita collettiva” (ONU, Quito 2016).

Si pone, pertanto, l’obiettivo di introdurre essenziali elementi di democrazia nel Sistema Sanitario mediante il coinvolgimento diretto delle Comunità locali, con le loro articolazioni istituzionali e sociali, nella governance della sanità territoriale e delle strutture a bassa/media intensità di cura.

A tal fine è urgente elaborare e sperimentare nuove modalità gestionali (per esempio Fondazioni pubblico-private, oppure altre forme gestionali), che siano in grado sia di attirare risorse aggiuntive umane (volontariato) e finanziarie (donazioni), sia di ricomporre la divaricazione tra Comunità locali e Sistema sanitario, al fine di salvaguardare i principi di equità, universalità e solidarietà del servizio pubblico.

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