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Cultura. 1951 nascita e prime prove della “pedagogia popolare” in Italia

Me sa che voi non menerete

Fano 1951 nascita e prime prove della “pedagogia popolare” in Italiame sa che voi non menerete

E’ un altro libro di Rinaldo Rizzi, lo storico del Movimento di Cooperazione Educativa (MCE), “edito dall’Amministrazione Provinciale di Pesaro e Urbino nel 1995 e realizzato nel proprio centro stampa”, così come scritto in una quarta di copertina. Consta di duecento quattordici pagine, diviso in cinque capitoli e una ricca appendice documentaria e bibliografica sulla storia del Movimento di Cooperazione Educativa. La prefazione di Alberto Berardi, assessore alla Pubblica Istruzione della Provincia di Pesaro e Urbino, la presentazione del testo ad opera di Raffaele Laporta, un altro grande rappresentante del MCE, arricchiscono il volumetto.

Nel primo capitolo “L’alba della Pedagogia Popolare”, Rinaldo Rizzi tratteggia la nascita e lo sviluppo del Movimento di Cooperazione Educativa in Italia dal 1951 al 1991, passando attraverso il tornado del ’68 che ridisegnò il nuovo direttivo nazionale che faceva capo al gruppo torinese, mentre quello fondatore preferiva defilarsi non riconoscendosi più nella nuova impostazione del movimento. Il Congresso di Fano (31 ottobre, 1-2 novembre 1991), tenutosi nella cittadina adriatica per festeggiare il quarantennale del Movimento di Cooperazione Educativa, presenti Giuseppe Tamagnini, Rinaldo Rizzi, Raffele Laporta, Alla Marcucci Fantini, Albino Bernardini ed altri iscritti della prima ora, saldò la continuità tra le due date (1951 – 1991) e rilanciò il movimento. Dopo la “rottura”, il MCE passò dai 162 iscritti del 1968, ai 459 del 1971, agli 841 del 1974, ai 2.595 del 1976, alle 3.321 adesioni del 1977 (R. Rizzi, Dare di sé il meglio, pag. 85).

Il secondo capitolo “Alla ricerca di una coerenza tra la Pedagogia e la Didattica” è dedicato alla figura di Giuseppe Tamagnini, fondatore e animatore del movimento pedagogico di base in Italia. Giuseppe Tamagnini nasce a Poggio San Vicino (Macerata) il 20 settembre 1910. Il padre, falegname, emigra in Argentina nel 1912, dove muore di tifo appena sei mesi dopo. E’ il 1913. Rimasto solo, Giuseppe all’età di due anni, va a vivere a Frontale (Macerata) nella casa del nonno paterno, artigiano poliedrico e autentico maestro del nipote. Nel 1926 muore anche il nonno. Rimasto solo all’età di sedici anni, comincia per Giuseppe Tamagnini il periodo più difficile ma anche esaltante. Impara più mestieri per sopravvivere, dal 1930 al ’32 è in Cirenaica con le truppe coloniali e nel 1933 fa l’autista di piazza, a Bengasi, ma per ragioni di salute, nel 1935 rientra in Italia. Si stabilisce a Roma e lavora come lucidatore in una fabbrica di mobili. Nel 1935, dopo un anno di studio intenso, pur continuando a lavorare per sopravvivere, si presenta come privatista e supera a giugno l’esame della Scuola Magistrale inferiore; nella sessione autunnale, sempre da privatista sostiene l’esame di abilitazione magistrale e ottiene la licenza elementare. L’anno successivo fa l’impiegato a contratto. Insoddisfatto del lavoro, rientra nella sua regione e ottiene l’incarico d’insegnante elementare, facendo scuola in diversi paesi del maceratese. Nel 1937 s’iscrive alla Facoltà di Magistero di Roma, dove segue i corsi di Pedagogia tenuti da Giuseppe Lombardo Radice che lascia in lui delle tracce profonde. Nel 1938 supera il concorso magistrale e diventa insegnante di ruolo.

Nel 1940 è richiamato alle armi per concorrere alle conquiste della Patria Imperiale Fascista. Ciò non lo fa desistere dallo studio; nel 1942, durante una licenza per convalescenza, di laurea in pedagogia al Magistero di Roma. Alla caduta del Fascismo, già nel settembre 1943, a Frontale, organizza e diventa comandante del Gap (Gruppo di azione partigiana). Nel 1944- 45 assume l’incarico d’insegnante di pedagogia e storia al magistero professionale della donna a Macerata. Dall’anno successivo e fino al 1965 ricopre l’incarico di esercitazioni didattiche presso l’Istituto Magistrale di Fano. Sono gli anni più esaltanti sul fronte della ricerca didattica e pedagogica, tanto che nel 1952 abbandona l’incarico provvisorio di direttore della biblioteca Federiciana di Fano, che gli era stato conferito nel 1948, per dedicarsi interamente alla promozione del Movimento di Cooperazione Educativa, prendendo come riferimento l’esperienza di Célestin Freinet. Il suo impegno nell’associazione s’intreccia con vicende personali. Nel luglio del 1959 gli muore la moglie. Rimasto vedovo e con due figli non abbandona l’impegno nel coordinamento e nella promozione del Movimento della “Pedagogia Popolare”. Nel 1960 si sposa con Giovanna Legatti, maestra piacentina, che aveva conosciuto nel movimento e che come lui sperimentava nella scuola le tecniche d’insegnamento suggerite dal maestro francese Célestin Freinet. Giovanna Legatti si trasferisce da Piacenza nella Scuola Elementare di Coldigioco presso Frontale, frazione di Apiro, dove era la casa paterna di Giuseppe Tamagnini. Frontale diventa il punto di riferimento del primo nucleo di iscritti e simpatizzanti del MCE, utilizzato non solo d’estate per i seminari estivi ma anche tutto l’anno per brevi incontri. La sistemazione della casa di Frontale, perché potesse accogliere gli iscritti del movimento, fu affrontata di persona da Tamagnini stesso che sapeva fare un po’ tutto: fabbro, muratore, falegname. Dal 1965 al 1967 Tamagnini insegna lettere nella Scuola Media di Apiro (Macerata), negli anni successivi, Filosofia e Pedagogia nell’Istituto Magistrale di Ripatransone (Ascoli Piceno) e in quello di Jesi (Ancona), andando in pensione nel 1972. Dal 1951, anno di fondazione del MCE e fino al 1968 è il presidente del Movimento di Cooperazione Educativa, diventa per tutti il Pino nazionale, tanto è conosciuto anche per i suoi scritti che diffonde attraverso la rivista del movimento, per l’organizzazione di seminari e convegni. Dal 1975 al 1980 ricopre anche l’incarico di sindaco di Apiro. Tamagnini assieme alla moglie Giovanna risiedeva da anni nella casa paterna di Frontale. Tamagnini muore nel 2002, Giovanna Legatti, nata nel 1921 a Vigolzone (PC), muore nell’aprile del 2012 nella sua casa di Frontale. Chiedo scusa al lettore se nell’articolo dedicato ad Anna Marcucci Fantini (Dare di sé il meglio) c’è un refuso di stampa. E’ scritto Giovanna Levati, invece di Giovanna Legatti.

Giuseppe Tamagnini così descriveva, in un articolo pubblicato nel dicembre del 1981, in “Cooperazione Educativa”, la rivista del MCE, il quadro storico, sociale e politico dell’immediato dopoguerra: “Speranze, timori, ideali, l’attesa di qualcosa di indefinito ma grande e luminoso nel pensiero… creava una atmosfera vibrante di tensione che si esprimeva e si concretizzava in iniziative in ogni campo, da quello politico a quello amministrativo, da quello culturale a quello sindacale e che finiva con il coinvolgere tutto e tutti, direttamente o indirettamente, persone e istituzioni. Tutto e tutti meno la scuola. Fuori di scuola insegnanti e dirigenti erano nella grandissima maggioranza come tutti i cittadini, presi anche loro dal fervore dinamico che vivificava la città; ma entrati nel plesso scolastico, salve naturalmente le eccezioni, cessavano di essere cittadini e tornavano funzionari di quel corpo separato che era la scuola e come tali non sentivano nessuna esigenza di rinnovamento e continuavano la loro didattica di sempre: dettato, problema, libro di testo, compiti a casa, voto; poi fervorini retorici, bamboleggiamenti e immobilità chiamata disciplina imposta ai bambini. Insomma la scuola di sempre”. Lo studio e la lettura di articoli e di libri del passato ci devono far riflettere anche e soprattutto sul nostro presente. Chi non corre o ha corso nella scuola il pericolo di trasformarsi in funzionario, date le richieste spesso contrastanti che provengono o sono provenute dall’Amministrazione Centrale. L’autonomia didattica e organizzativa della scuola è una realtà o una frase ad effetto che nasconde il nulla?

Nel quadro affatto entusiasmante, Tamagnini, scopre da un articolo di Agazzi, che esisteva in un paesino delle Alpi Francesi un maestro, Célestin Freinet che proponeva alcune tecniche di insegnamento che stava sperimentando nella propria scuola. Scriveva sempre nello stesso articolo Giuseppe Tamagnini: “Ero nella situazione di chi va in cerca di qualcosa ma non esattamente che cosa e non da dove cercarlo. Quel che sapevo invece con molta chiarezza era il fine per raggiungere il quale sarebbe dovuto servire quel qualcosa. Cercavo un modo di fare scuola, anzi meglio di creare una scuola in cui i bambini, restando bambini, fossero messi in condizione di esprimersi con la loro lingua, di espandersi, di vivere, di maturare e arricchirsi assorbendo la linfa culturale della tradizione, ma secondo la propria natura e utilizzandola creativamente per realizzare in sé la persona, il membro responsabile e disciplinato, e per ciò stesso libero, della comunità umana”. Nel panorama italiano, le esperienze scolastiche alternative, laiche e moderne che si opponevano al grigiore incontrastato, sul finire degli anni quaranta si riducevano a poca cosa: il Centro Educativo Italo- Svizzero (C.E.I.S) di Rimini, diretto dalla maestra Margherita Zoebli, la Scuola- Città Pestalozzi di Firenze, fondata nel 1945 e diretta da Ernesto Codignola, la Scuola Viva a Roma, diretta da Crmela Mungo, che confluirà poi nel MCE. Tamagnini trova nelle tecniche del Freinet l’appoggio del momento ma discostandosi anche dal maestro nel corso del cammino.

 

Il terzo capitolo, “La prima sperimentazione delle Tecniche Freinet in Italia”, è interamente dedicato al Anna Marcucci Fantini, la pioniera del Movimento di Cooperazione Educativa. Il titolo del libro di Rinaldo Rizzi “Me sa che voi non menerete” è preso da una lettera testimonianza che Anna invia a Rinaldo Rizzi. Anna inizia l’insegnamento a Barbara, un paesino della provincia di Ancona: “Il mio primo contatto con i miei scolaretti fu ben diverso da quello che i miei sogni di ragazza avevano immaginato… l’aula era una spelonca buia e maleodorante, perché, lo seppi poco dopo, dietro una sconnessa porticina c’era come rudimentale gabinetto, un bugliolo. I banchi erano lunghe assi zoppicanti e i bimbi appoggiavano quel poco che avevano in terra. Subito mi accorsi di aver superato un esame non meno duro di quello magistrale. I visetti, che erano anche loro bui come la spelonca, si rischiararono e un bimbo piccolissimo con un visetto furbo e simpatico mi disse: Me sa che voi non menerete (Mi sembra che voi non ci picchierete). Da quel momento cominciò veramente per me una nuova vita” ( Rinaldo Rizzi, ibidem, pag. 89). Coerente con i principi del MCE, Anna prende contatti con le famiglie degli alunni che la invitano nelle stalle, quando d’inverno, le famiglie contadine vi trascorrevano lunghe serate: “Mi invitavano anche alle vigilie nelle stalle (da termosifone i buoi) e volevano che leggessi loro qualcosa e io ebbi il coraggio di leggere Dante e garantisco che il canto del Conte Ugolino fu molto apprezzato e provocò molte discussioni” (pag. 91). Anna Marcucci Fantini diventa in breve la spalla di Giuseppe Tamagnini, la passionaria del Movimento, conosciuta e apprezzata da tutti. Suoi sono anche molti contributi pubblicati sulla rivista del MCE, che Rinaldo Rizzi ripropone nell’appendice documentaria e bibliografica del libro. I materiali di Anna Marcucci Fantini, di Giuseppe Tamagnini e di Rino Giovannetti occupano una parte cospicua del testo (pag. 141- 211).

 

Il quarto capitolo “Un impegno al rinnovamento nella scuola e nel territorio” è dedicato alla figura del maestro Rino Giovannetti, altra colonna portante del MCE delle origini. Rino Giovannetti nasce a Mondavio il 28 giugno del 1920, figlio di un modesto imprenditore edile e di una casalinga. Finite le elementari va a lavorare con il padre come apprendista muratore. Allo scoppio della guerra contro l’Etiopia, il lavoro da muratore cessa quasi del tutto, tanto che il padre decide di partire per l’Abissinia. Il ragazzo, rimasto solo, senza guida e senza lavoro, si mette a studiare. Nel giugno del 1937 si presenta da privatista per essere ammesso alla terza inferiore e supera l’esame. Frequenta le due classi restanti e nel luglio del 1941, studiando sempre da solo, si presenta all’esame e si diploma maestro. Fa l’istitutore in un collegio di postelegrafonici a Livorno e nel 1941 è chiamato alle armi. L’8 settembre 1943 lo coglie mentre si trova di stanza a Gioia del Colle (BA). Prima è disarmato dai tedeschi, riarmato dagli americani, risale la penisola, partecipando alla guerra di liberazione. È spedito a riposo a Lecce, dove rimane fino al momento del congedo avvenuto nel dicembre del 1945. Ritornato nella vita civile, s’impiega presso l’ippodromo di Bologna come totalizzatore. Avendo molto tempo libero, riprende di nuovo lo studio e, presa la Maturità al liceo Scientifico “Righi” di Bologna, s’iscrive alla facoltà di Ingegneria presso l’Università di Modena. Nel 1948 vince il concorso magistrale e va ad insegnare a Mazzolino di Castelfranco Emilia (Modena). Sposatosi nel 1950, chiede e ottiene il trasferimento nella sede di Pianacci, distante circa trenta chilometri da Fano. Insegna nella piccola frazione di campagna, raggiungendola ogni mattina, in Lambretta da Fano, fino al 1960, quando ottiene il trasferimento a Fano, dove rimane ad insegnare fino al 1977, anno della pensione.

A Fano incontra Giuseppe Tamagnini e Anna Marcucci Fantini. Con quest’ultima, per un periodo collega presso la scuola di Pianacci, mette a frutto le tecniche del Freinet e stampa il giornalino della scuola, utilizzando l’attrezzatura che Tamagnini, andava perfezionando anche con l’aiuto di fabbri e falegnami di Fano e dintorni. C’era da costruire la “macchina” dotata di caratteri mobili in piombo, inchiostro, rullo e pressa. Scrive Rino Giovannetti: “La mattinata fu utilizzata ad analizzare il complessino e a sistemare negli appositi scomparti i caratteri in ordine alfabetico, i segni di punteggiatura, le interlinee e i contenitori entro i quali i bambini avrebbero formato le parole. Parlammo anche del funzionamento sia della tipografia che del limografo” ( R. Rizzi, pag. 132). Il limografo è un “Apparecchio riproduttore di disegni o scritture, nel quale la matrice, costituita da un foglio cerato, si pone su un piano, la cui superficie si presenta come una lima finissima, e si scrive sul foglio con una punta, sotto la cui pressione la lima fora la carta in modo uniforme” (Internet). Il giornalino, chiamato “Eco” raggiunge anche le famiglie dei ragazzi e alcune scuole francesi. Anche la rivista “Grand’Hotel” del 15.03.1958 dedicò un servizio alla scuola di Pianacci del maestro Rino Giovannetti. Era accaduto che la bambina Marcella Sabbatini, allieva della IV elementare di Pianacci era stata premiata dal Provveditore agli Studi di Pesaro, perché da quattro anni, ogni giorno, percorreva due chilometri tirando un carrettino di legno per accompagnare a scuola il piccolo Corrado Brunetti, colpito da poliomielite (R. Rizzi, ibidem, pag. 136). Inutile dire che il Movimento attraversava molte difficoltà. I suoi iscritti erano accusati di essere marxisti e comunisti. A queste accuse, Giuseppe Tamagnini rispondeva senza peli sulla lingua: “Nel movimento sono rappresentate le più diverse opinioni ma nessuno saprebbe darvene la composizione ideologica in percentuale dal momento che nessuno chiede mai conto all’altro delle proprie idee. L’unico presupposto ideologico – se possiamo dirlo tale- per il nostro lavoro comune è il rispetto reciproco. Chiediamo ad ognuno di riconoscere agli altri i diritti che rivendica a se stesso” (pag. 137). Contemporaneamente all’impegno nella scuola, Giovannetti, nel periodo in cui fu anche sindaco di Fano, portò nell’amministrazione comunale un’attenzione particolare verso il mondo delle scuole fanesi, dotandole di attrezzature didattiche e spazi adeguati. In un tempo in cui sembrano sempre prevalere gli interessi di parte, l’egoismo individuale e di gruppo, il personalismo e l’arroganza del potere, un Movimento come quello del MCE, che fonda la propria storia sulla cooperazione, ha molto da insegnare anche oggi, anzi soprattutto oggi e in tutti i campi.

Raimondo Giustozzi

1 commento a Cultura. 1951 nascita e prime prove della “pedagogia popolare” in Italia

  • Antonio Masi

    Straordinario uomo, pedagogista e compagno dei deboli
    Antonio Masi lo ha incontrato all’Umanitsria 1961, al convitto Rinascita di Milano.

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