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agosto 2017
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Letture. Don Lorenzo Milani: ribelle obbedientissimo.

1-lettera a una professoressa

Lettera a una professoressa.

“ La cultura vera, quella che ancora non ha posseduto nessun uomo, è fatta di due cose: appartenere alla massa e possedere la parola. Una scuola che seleziona distrugge la cultura. Ai poveri toglie il mezzo d’espressione. Ai ricchi toglie la conoscenza delle cose. Gianni disgraziato perché non si sa esprimere, lui fortunato che appartiene al mondo grande. Fratello di tutta l’Africa, dell’Asia, dell’America Latina. Conoscitore da dentro dei bisogni dei più. Pierino fortunato perché sa parlare. Disgraziato perché parla troppo. Lui che non ha nulla d’importante da dire. Lui che ripete solo cose lette sui libri, scritte da un altro come lui. Lui chiuso in un gruppetto raffinato. Tagliato fuori dalla storia e dalla geografia. La scuola selettiva è un peccato contro Dio e contro gli uomini. Ma Dio ha difeso i suoi poveri. Voi li volete muti e Dio v’ha fatto ciechi” (Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa, pag. 106, Libreria Editrice Fiorentina). “Lettera a una professoressa” uscì in libreria nel maggio 1967, un mese prima della morte di don Milani. E’ sicuramente il testo più noto e più venduto del priore di Barbiana. Quando Vittorio Zani, titolare della Libreria Editrice Fiorentina, presentò a don Milani la prima copia stampata, il priore gli domandò quante ne avesse stampate. “Diecimila copie”, rispose Zani. Don Lorenzo lo rimproverò: “Sei un bischero, ne venderai un milione”. Tra edizioni italiane e straniere nel giro di quarant’anni sono state vendute milioni di copie. Ancora oggi la Libreria Editrice Fiorentina, sostiene il suo attuale titolare, Giannozzo Pucci, ne vende in Italia tra le quattro- cinquemila copie. Come un classico (M. Lancisi, don Milani, la vita, pag. 158). Tutto il libro è attraversato da un termine, anche se implicito e mai usato espressamente, oggi tanto di moda. La parola fatata è inclusione. Una società giusta non deve escludere nessuno, tanto più chi parte da una situazione di svantaggio.  In una lettera del 20 settembre 1966 inviata a Gosto Burberi, un alunno di Barbiana, don Milani fa il primo accenno alla lettera: “Stiamo lavorando a una importante lettera aperta alla professoressa che bocciò il Biondo e Enrico l’anno scorso. Le tre bocciature di quest’anno mi hanno rinfocolato la rabbia e penso che verrà fuori un capolavoro. Sarà un canto di fede nella scuola e il manifesto del sindacato dei genitori di cui te e Michele sarete un giorno l’anima” (don Milani, Lettere). Le tre bocciature di cui parla il priore sono di Michele, Enrico e Luciano, studenti delle Magistrali: “Ragazzi meravigliosi, che parlano correttamente due o tre lingue moderne, che sono stati a lungo all’estero a lavorare, che sanno tutto di politica e di sindacato”. Lo studio delle lingue era al primo posto nella Scuola di Barbiana. Veniva fatto usando i primi dischi: “Io le lingue le ho imparate coi dischi. Senza neanche accorgermene ho imparato prima le cose più utili e frequenti. Esattamente come s’impara l’italiano. Quell’estate ero stato a Grenoble a lavar piatti in una trattoria. M’ero trovato subito a mio agio. Negli ostelli avevo comunicato con ragazzi d’Europa e d’Africa. Ero tornato deciso a imparare lingue a tutto spiano. Molte lingue male piuttosto che una bene” (Lettera a una professoressa, pag. 22). Prima di mandare i suoi ragazzi all’estero: Francia, Germania, Gran Bretagna, Africa Settentrionale, don Milani informava tutti gli amici che aveva un po’ ovunque, perché accogliessero i piccoli montanari del Mugello. Tutti i soggiorni all’estero erano rigorosamente pianificati. Nulla veniva lasciato al caso. Franco Gesualdi ricorda che “quando c’era un posto solo a disposizione per andare all’estero, bramavo dalla voglia di sapere a chi toccava quella fortuna” (N. Fallaci, op. cit. pag. 368). Franco Gesualdi andò prima in Francia, poi in Inghilterra per migliorare il suo inglese, infine in Algeria in un campo di lavoro: “Lavorai per un mese in un cantiere dei Compagnons Latiseurs. Ormai c’erano pochi cattolici in Algeria e il vescovo aveva dato l’autorizzazione a costruire aule da una vecchia chiesa. Si buttarono giù altari, statue di Madonne e di Santi: quanto c’era. Giorno per giorno scrivevo quello che osservavo e vedevo” (N. Fallaci pag. 370).

Don Milani teneva una fitta corrispondenza con tutti gli alunni che inviava all’estero, fino a non aver tempo per scrivere alla mamma. Prima veniva la sua famiglia, quella di Barbiana, poi i parenti di Firenze: “Cara mamma, scusa ancora una volta se ti mando una circolare ma i ragazzi all’estero sono tredici, ho molte visite e ho sempre sonno. Domani cercherò di scriverti in privato. La lettura della posta ci prende due ore al giorno, gli errori d’ortografia sono spaventosi, ma in complesso l’arrivo di questa massa di lettere fa un gran piacere a tutti e tiene alto il morale dei nuovi”. La lettera aperta scritta alla professoressa delle Magistrali che aveva bocciato i suoi tre alunni fu l’occasione per don Milani e i suoi allievi di ripensare a tutta la scuola. Si chiedono, dati alla mano: chi va a ingrossare l’esercito dei respinti, dei bocciati, dei ripetenti? Chi viene messo in condizioni di spirito da desiderare un qualsiasi lavoro prima d’aver adempiuto all’obbligo scolastico? Ripetenti, bocciati e respinti appartenevano tutti alle classi sociali meno abbienti. Lo dicevano i dati pubblicati dall’annuario Istat. E’ evidente che se i ragazzi provenivano da un ambiente in cui si parlava solo in dialetto o era del tutto sconosciuto il tipo di cultura imposto nella scuola dell’obbligo, i loro processi d’apprendimento erano assai più faticosi e difficili. Ma nella scuola dell’obbligo si andava per essere valutati non per imparare come invece succedeva alla Scuola di Barbiana: “Se un compito è da quattro io gli do quattro”, dice nel libro una professoressa. “Non capiva, poveretta, che era proprio di questo che era accusata. Perché non c’è nulla che sia ingiusto far le parti uguali tra diseguali” (Lettera a una Professoressa, pag. 55).  Con l’istituzione della Scuola Media obbligatoria cominciò la grande ecatombe scolastica dei ragazzi di campagna. Gli allievi di don Milani, a Barbiana, raggiunsero cifre notevoli, in estate anche quaranta d’un colpo solo (N. Fallaci, pag.445). Sull’istituzione della Scuola Media (31 dicembre 1962 legge 1859), don Milani scrive: “Abbiamo letto la legge e i programmi della nuova media. La maggioranza delle cose scritte lì a noi vanno bene… Resta una scuola tagliata su misura dei ricchi. Di quelli che la cultura l’hanno in casa e vanno a scuola solo per mietere diplomi (L. P. pag. 30- 31). “Dopo l’istituzione della scuola media a Vicchio arrivarono a Barbiana anche i ragazzi di paese. Tutti bocciati, naturalmente… Sandro aveva quindici anni. Alto un metro e settanta, umiliato, adulto. I professori l’avevano giudicato un cretino. Volevano che ripetesse la prima per la terza volta. Gianni aveva quattordici anni. Svagato, allergico alla lettura. I professori l’avevano sentenziato un delinquente. E non avevano tutti i torti, ma non è un motivo per levarselo di torno. Né l’uno né l’altro avevano intenzione di ripetere. Erano ridotti a desiderare l’officina. Sono venuti da noi solo perché noi ignoriamo le vostre bocciature e mettiamo ogni ragazzo nella classe giusta per la sua età. Si mise Sandro in terza e Gianni in seconda. E’ stata la prima soddisfazione scolastica della loro povera vita. Sandro se ne ricorderà per sempre. Gianni se ne ricorda un giorno sì e uno no” (L. P. pag. 16-17). Don Milani non parlava né scriveva mai in astratto. Pensava sempre a persone e a situazioni concrete. Quando l’idea della Lettera iniziò a prendere forma, pensava soprattutto al caso di Enrico, un ragazzo che, arrivando a Barbiana, strisciava proprio lungo i muri per la timidezza. Nel testo definitivo, il pluriripetente divenne invece “Gianni”. “Pierino” era invece quello che passava sempre e andava a scuola a mietere diplomi. Gianni in realtà si chiamava Mauro. Il priore lo aveva mandato a Roma in visita allo zoo assieme a Massimo, un altro alunno di Barbiana. Erano arrivati entrambi all’epoca della grande ondata dei ripetenti. I primi allievi del priore spaccavano il soldo, quando andavano in giro. Questi due non avevano assimilato nulla degli insegnamenti del maestro perché arrivati per ultimi. Non erano mai saliti su un treno prima di allora. Trovandosi con 35.000 lire in tasca si diedero alla pazza gioia: aranciate, lucchetti, birre, gelati, Würstel. Al ritorno non avevano il coraggio di esibire i conti: “Mauro accusava Massimo di avere rubato una stagnina di latte, l’altro si vendicava con una controaccusa” (Lettere, pag. 236-237). Per un po’ di tempo, Massimo non si fece più vedere. Mauro, invitato a giustificare i soldi spesi, sbottò: “So una sega come li ho spesi”, facendo piangere il babbo, “straziato dalle orribili parole dette dal frutto delle sue viscere”. Pierino del dottore era il classico “figlio di papà”. Don Milani, quando parlava di Pierino, pensava a suo nipote Andrea, il figlio di suo fratello Adriano: “Voi dite che Pierino del dottore scrive bene. Per forza, parla come voi. Appartiene alla ditta”. Scende nella provocazione don Milani, quando scrive: “I cromosomi del dottore sono potenti. Pierino sapeva già scrivere a cinque anni. Non ha avuto bisogno di fare la prima. Entra in seconda a sei anni. Parla come un libro stampato. Già segnato anche lui, ma questa volta col marchio della razza pregiata” (L. P. pag. 40). Pierino a scuola passa sempre e quasi senza studiare. I cretini e gli svogliati invece venivano bocciati. Tutti appartenenti alle classi subalterne. “Voi dite d’aver bocciato i cretini e gli svogliati. Allora sostenete che Dio fa nascere i cretini e gli svogliati nelle case dei poveri. Ma Dio non fa questi dispetti ai poveri. E’ più facile che i dispettosi siate voi. Alla Costituente chi sostenne la teoria della differenza di nascita fu un fascista: L’onorevole Mastroianni riferendosi alla parola obbligatorio osserva che ci sono alunni che dimostrano una insufficienza di carattere organico a frequentare le scuole. Anche un preside di scuola media ha scritto: la Costituzione purtroppo non può garantire a tutti i ragazzi eguale sviluppo mentale, eguale attitudine allo studio. Ma del suo figliolo non lo direbbe mai. Non gli farà finire le Medie? Lo manderà a zappare? Mi han detto che queste cose succedono nella Cina di Mao. Ma sarà vero? Anche i signori hanno i loro ragazzi difficili. Ma li mandano avanti…Solo i figlioli degli altri qualche volta paiono cretini. I nostri no. Standogli accanto ci si accorge che non sono. E neppure svogliati. O per lo meno, che gli passerà, che ci deve essere un rimedio. Allora è più onesto dire che tutti i ragazzi nascono uguali e se in seguito non lo sono più, è colpa nostra e dobbiamo rimediare. E’ esattamente quello che dice la Costituzione, quando parla di Gianni: Tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di razza, lingua, condizioni personali e sociali. E’ compito della repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale  del paese” (L. P. 60-61- 62). E’ compito quindi del docente di rimuovere gli ostacoli perché chi è in una situazione di svantaggio possa essere messo nella condizione di superarlo. Gli alunni di Barbiana proponevano: “Perché il sogno dell’eguaglianza non resti un sogno vi proponiamo tre riforme. Non bocciare. A quelli che sembrano cretini dargli la scuola a tempo pieno. Agli svogliati basta dargli uno scopo” (L. P. pag. 81). Gli ostacoli da rimuovere per gli alunni di Barbiana non erano solo quelli socio culturali. Anche le mode erano un ostacolo: “In paese pesano su di lui (Gianni) tutte le mode fuorché quelle buone. Chi non le accetta si isola. Ci vorrebbe un coraggio che non può avere lui così incolto, non aiutato da nessuno. Né dal babbo che ci casca anche lui. Né dal parroco che vende giochi al bar delle ACLI” (L. P. pag. 65- 66). Tutti i ragazzi, secondo gli alunni di Barbiana, sono adatti a tutte le materie e tutti possono arrivare alla terza media. La Costituzione prevede otto anni di istruzione obbligatoria e gratuita: “Otto anni vuol dire otto classi diverse. Non quattro classi ripetute due volte ognuna. Sennò sarebbe un brutto gioco di parole indegne di una Assemblea Costituente” (L. P. pag. 81). L’invito, forse il più bello di tutta la lettera, rivolto agli insegnanti: “Se ognuno di voi sapesse che ha da portare innanzi a ogni costo tutti i ragazzi e in tutte le materie, aguzzerebbe l’ingegno per farli funzionare. Io vi pagherei a cottimo. Un tanto per ragazzo che impara tutte le materie. O meglio multa per ogni ragazzo che non ne impara una. Allora l’occhio vi correrebbe sempre su Gianni. Cerchereste nel suo sguardo distratto l’intelligenza che Dio ci ha messo certo uguale agli altri. Lottereste per il bambino che ha più bisogno, trascurando il più fortunato, come si fa in tutte le famiglie. Vi svegliereste la notte col pensiero fisso su lui a cercare un modo nuovo di fare scuola, tagliato su misura sua. Andreste a cercarlo a casa se non torna. Non vi dareste pace, perché la scuola che perde Gianni non è degna d’essere chiamata scuola” (L. P. pag. 81- 82). E’ impossibile citare altri brani anche perché tutta la Lettera è un canto alla scuola. E’ da rileggerla, tentando di vedere quello che è stato fatto in questi cinquanta anni. Certo, molto è stato fatto: la scuola dei progetti, l’insegnante di sostegno, le discipline tradotte in materie d’insegnamento, la programmazione, gli istituti di ricerca didattica che affiancano il lavoro dell’insegnante. Quello che non deve venir mai meno però, accettando le sfide di don Milani, è la passione educativa che deve sempre animare il docente. In sede di valutazione, il grosso del lavoro da fare, ricordo che era quello di tenere a freno le frustrazioni di certi insegnanti che se la prendevano sempre con gli alunni. Agli esami di terza media, spesso, i protagonisti non erano gli alunni ma i docenti. Ognuno di loro doveva far vedere all’altro che era di una spanna superiore. Non dobbiamo mai dimenticare  quello che scrivevano gli alunni di Barbiana: “L’arte dello scrivere si insegna come ogni altra arte…Noi dunque si fa così. Per prima cosa ognuno tiene in tasca un notes. Ogni volta che gli viene un’idea ne prende appunto. Ogni idea su un foglietto separato e scritto da una parte sola. Un giorno si mettono insieme tutti i foglietti su un grande tavolo. Si passano a uno a uno per scartare i doppioni…” (L.P. pag. 126). Anche quella della scrittura collettiva fa parte del grande segreto pedagogico di Barbiana, che, secondo il priore, non era esportabile: “I miei eroici piccoli monaci che sopportano senza un lamento e senza pretese dodici ore quotidiane feriali e festive di insopportabile scuola e ci vengono felici non sono affatto eroi, ma piuttosto dei piccoli svogliati scansafatiche che hanno valutato e a ben ragione che quattordici o anche sedici ore nel bosco a badar pecore sono peggio che dodici ore a Barbiana a prendere pedate e voci da me. Ecco il grande segreto pedagogico del miracolo di Barbiana. Ognuno vede che non ci ho merito alcuno e che il segreto di Barbiana non è esportabile né a Milano né a Firenze. Non vi resta dunque che spararvi” (don Milani, lettere, pag. 145). Don Milani non si era mai sognato di suggerire didattiche e metodi d’insegnamento. I metodi dobbiamo trovarli noi con lo spirito indicato nel libro e in tutti gli scritti di don Milani. La Lettera non è un libro di pedagogia. E’ un libro civile, come tutto il pensiero di don Milani. Riguarda la “civitas” che deve migliorare. Peccato che non l’abbiano capito i detrattori del libro e di don Milani, tra tutti Sebastiano Vassalli e Roberto Berardi. Seguano l’invito del priore, d’altronde la scuola di Barbiana non è esportabile, perché arrabbiarsi tanto. Politici e uomini di cultura hanno invece accettato, pur con dei distinguo, il libro in questione e il pensiero di don Milani. Antonio Socci denuncia la strumentalizzazione della Lettera da parte della sinistra. Beppe del Colle trova la Lettera troppo viziata da un eccesso illuministico. Dino Boffo ritiene che oggi, “tante disparità, tante solitudini sono figlie anche di un rigurgito, di menefreghismo e di tornaconto personale che farebbero inorridire don Milani” (M. Lancisi, pag. 184). Rocco Buttiglione, Pier Ferdinando Casini, Franco Marini, Walter Veltroni credono che la Lettera sia un testo valido anche per il nostro presente. Inutile dire che alcune riforme della scuola, quelle proposte da Luigi Berlinguer e da Letizia Moratti si richiamano, a torto o a ragione, all’esperienza pedagogica di don Milani. Il ministro della Pubblica Istruzione Giuseppe Fioroni salì a Barbiana, nel giugno del 2006, per “porre il proprio comportamento sotto l’egida dell’esperienza pedagogica di don Milani” (M. Lancisi, pag. 185).

Raimondo Giustozzi

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