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Letture. Don Lorenzo Milani e l’esilio di Barbiana

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“Si racconta che quando a Firenze fra Girolamo Savonarola venne condotto al rogo, condannato da un Papa e da un Cardinale, i suoi fraticelli cantarono il Te Deum… Qualche secolo dopo, sempre a Firenze, la Chiesa decide di uccidere un’altra voce, quella del prete Lorenzo Milani. Non più col cappio o il rogo ma attraverso l’esilio… Coloro che usano questa forma di tortura per spegnere gli avversari sono in genere ciechi ai segni dei tempi” (Michele Gesualdi, don Lorenzo Milani l’esilio di Barbiana, pag. 26-27, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2016).

E’ l’inizio del prologo al libro scritto da Michele Gesualdi che è vissuto dodici anni della propria vita nella canonica di Barbiana, assieme al fratello Franco, a Eda Pelagatti, alla nonna Giulia e a don Lorenzo Milani. Michele Gesualdi è stato uno dei primi sei ragazzi per i quali don Lorenzo Milani organizzò nella canonica di Barbiana la scuola nel 1956. Dopo la morte del priore, Gesualdi ha fatto il sindacalista a Milano e a Firenze come segretario generale della CISL. E’ stato anche per due legislatura presidente della Provincia di Firenze dal 1995 al 2004. Al termine dei mandati amministrativi è ritornato sulle sue colline di Barbiana in Mugello. Oggi è presidente della Fondazione don Lorenzo Milani. Ha pubblicato altri libri su don Milani: Lettere di don Lorenzo Milani priore di Barbiana (2007) e Perché mi hai chiamato? (2013).

Scrive ancora nel prologo dell’ultimo suo libro: “L’uomo di Dio in esilio è aiutato dallo Spirito Santo a purificare la propria anima e a rendere sempre più incisiva la sua parola e la sua penna con cui smascherare le piccinerie degli uomini di potere e rafforzare il legame con Dio. Nella solitudine può colloquiare con Lui, pensare di più, e questo lo fa diventare migliore, fa crescere la sua forza logica e dialettica, l’abisso tra la sua mente, ogni giorno più limpida, e quella dei suoi persecutori, ogni giorno più chiusa” (ibidem, pag. 27).

Dopo una superba prefazione di Andrea Riccardi e la nota dell’autore, Michele Gesualdi ripercorre nel prologo (capitolo primo) le tappe fondamentali della vita di don Lorenzo Milani dagli anni del turbamento durante i quali Milani cerca la propria strada, a quelli del seminario, alla lotta sostenuta per sgretolare l’educazione del privilegio, al breve periodo in cui fa l’aiutante prete a Montespertoli. Il secondo capitolo è tutto dedicato all’attività pastorale svolta da don Lorenzo Milani nella parrocchia di San Donato a Calenzano, un grosso borgo vicino a Prato.

I fatti relativi al seminario, Montespertoli e a San Donato, Michele Gesualdi li ha ascoltati, come dice nella nota introduttiva, da mons. Enrico Bartoletti, successivamente segretario della CEI, mons. Silvano Piovanelli, futuro vescovo di Firenze, don Renzo Rossi, don Auro Giubbolini, don Bruno Brandani, don Alfredo Nesi, don Piero Paciscopi, don Silvano Nistri, don Ezio Palumbo, tutti amici di don Milani, dalla Francesca, la Cesarina, l’Eda, la Giulia, la Dora, la Giovanna, Giorgio, Bestemmino e da quello che aveva udito direttamente da don Lorenzo (pag. 21).

A Calenzano, don Milani getta le basi della sua attività pastorale in favore dei poveri operai e contadini, fondando per loro la Scuola Serale in canonica. I suoi metodi suscitano invidie e gelosie da parte dei preti confinanti e gli alienano le simpatie dei benpensanti del posto. Dopo la morte del vecchio parroco don Daniele Pugi, il destino di don Lorenzo Milani è segnato. I superiori tengono aperta per lui una parrocchia destinata ad essere chiusa, quella di Sant’Andrea a Barbiana, “un ideale penitenziario ecclesiastico”, come fu definito da Gian Paolo Meucci, un altro grande amico di don Lorenzo Milani.

E’ il terzo capitolo del libro, “Il nuovo mondo” con paragrafi meravigliosi per il ritmo narrativo, piacevolezza nella lettura, ma tutto il volume è scritto con un periodare quasi cadenzato. Le frasi sono brevi come nello stile della Scuola di Barbiana. Sono pagine dedicate a Eda Pelagatti e a Giulia, alla nuova destinazione, alla partenza per Barbiana, ad Agostino, il primo ragazzo di Barbiana che incontra don Milani, al sostegno dei sandonatesi, al prof. Agostino Ammannati e alla prof.ssa Adele Corradi.

Il quarto capitolo, la famiglia di Barbiana, è forse il più bello di tutto il libro. Michele Gesualdi, membro a pieno titolo della famiglia di Barbiana, ripercorre gli inizi della scuola, lo stato d’animo di Eda e della mamma Giulia, la nonna per l’autore. Racconta il conflitto di don Lorenzo Milani con il successore di Elia Dalla Costa nella diocesi di Firenze, il cardinale Florit, ottuso e  male informato da quelli che lo attorniavano. Era ostile a don Milani che invano gli chiese più volte un riconoscimento tangibile della propria ortodossia e del lavoro fatto in difesa dei poveri. Il Cardinale scriveva nella propria agenda privata a proposito di don Milani: “E’ un dialettico affetto da mania di persecuzione. Non preoccupazione di santità fondata sull’umiltà, ma pseudo- santità puntata verso la canonizzazione di se stesso. Egocentrico, pazzo, tipo orgoglioso e squilibrato” (pag. 185). Scrive Michele Gesualdi: “Non sappiamo come un così malevole giudizio sia potuto uscire dall’archivio riservato della Curia e reso pubblico pochi mesi dopo la morte di mons. Florit. Sono parole pesanti e ingenerose scritte da un cardinale nei confronti di un suo sacerdote che aveva annullato se stesso per stare a fianco di tutti coloro che necessitavano dei suo aiuto. Opera sempre svolta e condotta in nome della Chiesa” (pag. 185).

I cenci volano anche quando qualcuno vorrebbe che rimangano chiusi nel cassetto. Eppure un ravvedimento il cardinale lo ebbe quando, lasciata la guida della diocesi per raggiunti limiti di età, si recò nel piccolo cimitero di Barbiana, in visita alla tomba di don Milani: “Indossava una tonaca nera come un semplice sacerdote ed era accompagnato da un prete che gli faceva da autista. Era un giorno qualsiasi e in quel luogo regnava solitudine e silenzio. Per puro caso anch’io mi trovavo al cimitero. Non mi conosceva. Entrò nel camposanto salutando con lo sguardo e con un cenno di testa; si mise a pregare sulla tomba con in mano il libro Lettere di don Lorenzo Milani priore di Barbiana. Feci l’indifferente e con calma continuai a strappare l’erba dalla sepoltura della nonna Giulia, confinante con quella di don Lorenzo. Ero vestito da lavoro e probabilmente mi scambiò per il custode e non badò a me. Leggeva in silenzio le lettere, e ad un tratto, levato lo sguardo dalla lettura, si rivolse verso chi lo accompagnava e bisbigliò sottovoce: ma quanto mi avete male informato su questo sacerdote” (pag. 197).

La cruna dell’ago è il titolo del quinto e ultimo capitolo con questi piccoli paragrafi: la grandezza di una vita si misura con la morte, si spoglia di tutto, sono un barbianese, la classe che aveva rifiutato cerca di appropriarsene, le ultime notti e i ricordi di Barbiana, la nonnina, una finestra sui dodici anni di vita in comune a Barbiana, un cammello passa dalla cruna dell’ago.

L’episodio più toccante e piacevole da leggere, assieme a tutti gli altri presenti nel libro, è quello della visita che don Lorenzo doveva fare ad una nonnina che era sul punto di morire. Chiede a Michele di accompagnarlo. Partono dalla canonica a notte fonda. Hanno una pila per illuminare il sentiero di montagna. La nonnina abita molto lontano. Devono aggirare quasi tutto il monte Giovi. Arrivano a destinazione. La nonnina non ha fretta di morire, tanto che don Lorenzo e Michele lasciano la casa dopo aver bevuto “due bicchieri di latte munto di fresco”, generosamente offerto dai parenti della nonnina. Sulla strada del ritorno, mentre si stava delineando all’orizzonte “ un’alba piena di colori che annunciavano la levata del sole” (pag. 223), don Lorenzo recita a memoria alcuni versi delle Bucoliche, invitando Michele a memorizzarli: “Tityre, tu patulae recubans sub tegmine fagi…”. Arrivati nei pressi della canonica, mentre già stavano arrivando gli alunni della scuola, don Milani “Mi fermò sul cancello e mi disse: Se ti provi a dire agli altri che ti ho insegnato una poesia latina ti spezzo” (pag. 224). Lui si sentiva padre e maestro di tutti e non voleva dare ad uno solo quello che invece doveva dare a tutti quelli che quel luogo solitario gli aveva affidato.

La postfazione di don Luigi Ciotti impreziosisce tutto il libro: “Raccontando il giovane don Milani cappellano a San Donato di Calenzano, mandato lì in aiuto del vecchio Proposto don Pugi,  Gesualdi racconta un pezzo d’Italia di quegli anni. Un paese appena uscito dalla guerra, dove la volontà di ricostruire e realizzare la democrazia si scontra con schemi e pregiudizi consolidati. La povertà e l’analfabetismo sono diffusi e evidenti, ma chi promette di risolverli si ferma spesso alle parole, attento a non contrastare gli interessi di chi su quelle disuguaglianze, su quella sottomissione culturale e economica, ha fondato buona parte del proprio potere” (pag. 240). Don Milani si fa povero tra i poveri, insegnando loro ad esprimersi e ad avere la padronanza della lingua: “E’ la lingua che fa uguali. Uguale è chi sa esprimersi e intende l’espressione altri. Che sia ricco o povero, importa poco, basta che parli”.

 

Raimondo Giustozzi

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