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Fotografie e dialoghi tra universi lontani. Le Marche di Alessandro Gagliardini

Alessandro_Gagliardini_DSCF2680ANCONA. Sotto la cupola di San Ciriaco, la mostra “Il vento in cima al monte” di Alessandro  Gagliardini”, nata da una idea di Andrea Carnevali, vuole far convivere universi lontani dell’arte moderna e contemporanea: dalla letteratura spagnola alla fotografia al cinema. La mostra, prorogata fino al prossimo 14 luglio, è stato rubricato da“Viaggiare con un storia…”  ed ha abbracciato quattro temi diversi di storia dell’arte contemporanea insieme alla lettura di testi in lingua straniera.  La mostra di Alessandro Gagliardini  sarà visibile al pubblico fino al 6 luglio.

L’artista ha cercato di definire un nuovo rapporto tra immagine e luce, grazie ai tempi di scatto lunghi che plasmano la forma insieme alla luce. Infatti, nelle sue opere, le linee concentriche, che vengo definite dalla scelta di soggetti o dalla natura da fotografare, danno un’impronte particolare alle composizioni.  La ricerca formale è rivolta agli effetti di luce, che aiutano a definire la forma degli alberi, in cui l’uomo  non fa parte del paesaggio naturale. La forza del vento può modificare intere distese di alberi e rendere l’ambiente terrificante.

L’artista  studia delle possibili soluzioni per dare movimento agli alberi immobili: l’obiettivo della macchina fotografica deve trovare un’angolatura precisa per creare degli effetti dinamici. Le origini di questa ricerca possono essere trovate nell’interesse per il Futurismo e il Surrealismo che hanno voluto  rinnovare la pittura, grazie, anche, al movimento. Come mezzo di espressione artistica, inoltre, il fotografo ha istaurato nel corso degli anni  un proficuo dialogo con altre discipline come  il cinema, la letteratura e le arti figurative.

Un altro esperimento molto interessante, che si può notare nei lavori del fotografo anconetano, è il cinema da cui si s’ispira per la definizione delle forme. Uno dei film più significativi è “Ossessione”, girato da  Luchino Visconti nel 1943. Nelle scenografie naturali il film evidenzia una continua ricerca di deformazioni espressive. Le scene più significative sono quelle in cui si vedono sullo sfondo il porto battuto dal vento, mentre Gino guarda un mare burrascoso con molti effetti di luce sull’increspatura del mare. Le fotografie di Gagliardini, ispirate alla pittura e alla scultura, fanno pensare, a volte, ai film di Pasolini che cercava di mettere in moto le immagini, attraverso il cinema.

Il discorso poetico del fotografo anconetano si sviluppa, anche, per libere associazioni e accostamenti incongrui di oggetti che richiamano il mondo del sogno e della psicanalisi, punti nodali dello stile surrealista. Il fotografo segue un metodo spontaneo della conoscenza irrazionale in grado di creare associazioni tra la memoria e il presente. Nell’opera dell’artista ricorrono i motivi riconoscibili nell’opera di Dalì che deforma la natura per attribuirle nuovi significati, ossia di carattere filosofico e psicologico.

La città è uno degli spazi previlegiati di studio di Gagliardini: il centro storico che diventa deserto in estate come racconta Rafael Alberti Merello nelle sue poesie. Il fotografo pensa a una molteplicità di tendenze, difficili da inquadrare, dove l’uomo vive, che devono però rispondere a più ricerche individuali. Al di là di questa pluralità di forme, egli cerca di definire la figura umana all’interno di architetture moderne.

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Orari mostra:
mar. dalle 9 alle 13; merc. dalle 9 alle 18;  giov. dalle 9 alle 18;  ven. dalle 9 alle 18; sab. dalle 9 alle 13;  dom. dalle 9 alle 13.

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