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Culture. “Temo più di tutto l’oblio, il fascismo non è cosa d’altri tempi”. Intervista ad Amos Luzzatto

 

da Internet

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Dal lido di Chioggia allo scontro sull’apologia di fascismo: “Incitare all’odio non c’entra con la libertà di espressione”

 

Umberto De Giovannangeli Giornalista, esperto di Medio Oriente e Islam

Ansa

Il tempo non ha scalfito la sua lucidità intellettuale e la convinzione profonda, maturata su un vissuto doloroso, che ha accompagnato il suo impegno di una vita: “Senza memoria non c’è futuro”, afferma in un’intervista esclusiva all’HuffPost una delle figure più autorevoli dell’ebraismo italiano ed europeo: il professor Amos Luzzatto, per anni presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane (Ucei). “Senza memoria, soprattutto, non c’è un futuro caratterizzato da quei principi di rispetto e di inclusione che devono restare a fondamento di una società democratica. E allora, guai a minimizzare vicende come quella di Chioggia, liquidandole come un fatto squallidamente folcloristico. Di fronte a scempiaggini del genere, ogni coscienza democratica dovrebbe esercitare il diritto-dovere all’indignazione. Il fascismo, e io lo so bene avendo vissuto quei terribili anni, si è alimentato di stereotipi e di pregiudizi verso il ‘diverso’, considerato come un essere inferiore, anormale. Si è iniziato così e poi sono arrivate le leggi razziali”.

Professor Luzzatto, molto si discute sul caso-Chioggia, la spiaggia trasformata in un sito neofascista, mentre si susseguono i blitz anti-immigrati di CasaPound, e in Parlamento si apre lo scontro sulla proposta di legge Fiano contro l’apologia del fascismo. Qual è in merito la sua opinione?

Il periodico risveglio di nostalgie razziste e inneggianti al “regime” è fonte di seria preoccupazione. Non si tratta di una semplice libertà di manifestazione ideologica; si tratta in realtà del tentativo di reintrodurre nel vocabolario italiano quanto speravamo scomparso di razzismo e nostalgia del nazifascismo. Questo richiamo periodico al vocabolario della violenza e della discriminazione invita a rinnovare tentativi di trasformare la vita civile faticosamente ricostruita in una arena di violenza che già in un recente passato aveva condotto l’Europa a persecuzioni contro minoranze indifese. Si comincia con la riabilitazione di un vocabolario di odio e di disprezzo, si continua con misure che, parlando di richiami a “ordine” e “pulizia” invitano a profonde divisioni sociali, a ostracismi e a violenze.

C’è chi sostiene, pur condannando episodi come quello di Chioggia, che comunque va difesa la libertà di espressione.

Giusto, ma quello che non può essere concepita come “libertà di espressione” è l’incitamento all’odio razziale, è propagandare l’ideologia fascista e nazista, a innescare, a parole certo – ma le parole anticipano spesso atti brutali – la caccia al diverso, dipinto e vissuto come una minaccia, come qualcuno che porta solo disordine, che delinque… Tutto ciò è inaccettabile. Per chi come me ha conosciuto la brutalità del ventennio fascista, non c’è niente di più sacro della libertà di espressione: quella libertà che i regimi tirannici, oggi come ieri, fanno di tutto per conculcare. Sa cosa temo di più….

Cosa, professore?

L’oblio. L’idea secondo cui il fascismo è qualcosa di morto, che non vale la pena rinvangare, perché “bisogna guardare al futuro”. Ma è proprio perché si deve guardare al futuro occorre coltivare la memoria storica. Non è una questione di rispetto verso i milioni di esseri umani che hanno perso la vita nei lager nazifascisti. No, questa memoria va coltivata per consegnarla alle giovani generazioni, per far comprendere loro che l’odio razziale è sempre dietro l’angolo, e che fascismo e antifascismo non possono essere messi sullo stesso piano.

Il grande scrittore Predrag Matvejevic, recentemente scomparso, ricordò più volte che assieme a milioni di ebrei, nei lager nazisti furono massacrati tantissimi Rom, oltre che omosessuali, comunisti…

Questa è una verità storica. Un’amara, tragica verità. Noi stessi, noi ebrei, abbiamo subito sulla nostra pelle ripetutamente – fino alla più terribile persecuzione che è stata quella della Shoah – le conseguenze dell’essere prima di tutto indicati come stranieri irriducibili, poi progressivamente stranieri parassiti, quindi stranieri complottanti, infine assassini di bambini cristiani e in conclusione gruppi umani da espellere, da perseguitare, da sterminare. Noi ebrei sappiamo bene cosa significhi essere vittime di pregiudizi che si trasformano in odio e in violenza “purificatrice”. Sappiamo cosa significhi essere additati come il “Male” da estirpare. E da ebreo, oltre che da cittadino democratico, mi sento a fianco di tutte quelle comunità che non possono, non devono essere vittima di nuovi pogrom e additati come il “nemico” da combattere per il coloro della pelle o perché professano altre fedi religiose.

L’ideologia fascista avversava ogni portatore di diversità. Di questi tempi, si parla di “invasione” di migranti e in Europa si continuano a innalzare muri e a blindare le frontiere.

Sicurezza e legalità non dovrebbero essere contrapposte a inclusione e accoglienza. So bene che occorre governare i flussi migratori e avere una politica di condivisione a livello europeo. Nessuno può essere lasciato da solo a far fronte a un fenomeno di queste dimensioni. Ma quando il disvalore dominante rischia di divenire quello della paura, della diffidenza nei confronti del disperato che si immagina pronto a qualunque atto efferato, è difficile riportare il discorso verso i valori della solidarietà che vanno tradotti e regolati dalla politica ma mai, mai, abiurati.

Si discute del reato di apologia del fascismo e della necessità di agire sul piano giudiziario. Ma basta questo per arginare il risorgente antisemitismo e la xenofobia che innervano l’ideologia fascista?

No, non basta. Quello di cui ho sempre avvertito il bisogno, è lavorare nelle scuole, è investire nell’educazione. I giovani oggi sono i più vulnerabili perché, per loro fortuna, non hanno vissuto quegli anni terribili, e dunque tendono a dar credito a chi dice loro “quella è roba di altri tempi”. Quei tempi, purtroppo, possono ritornare, sotto spoglie diverse ma con la stessa carica di odio e di discriminazione. La demonizzazione del ‘diverso’ nasce spesso dall’ignoranza. La conoscenza è il miglior antidoto contro il ‘virus’ dell’intolleranza. E’ la ‘medicina’ che può salvare la democrazia”.

 

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