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La Giornata mondiale dell’Aids, in Italia un sieropositivo su 4 non sa di esserlo

Ansa

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Repubblica.it

Aumenta il numero delle persone che si ammalano di Aids e lo scoprono troppo tardi. Diagnosi tardive che fanno lievitare la catena delle infezioni. Nel Mondo il 40% di tutte le persone con Hiv, in tutto 14 milioni di individui non sa di essere sieropositivo. In Italia un individuo su 4 con Hiv non è a conoscenza del proprio stato. Succede negli Stati Uniti, Africa, in Russia, il paese europeo dove questa patologia è più diffusa e si è trasformata in un’emergenza.

Nel 2015, il nostro paese si conferma al tredicesimo posto in Europa per le nuove diagnosi di Hiv: sono 3.444, in lieve calo rispetto agli anni precedenti. Erano 4.183 nel 2012, 3.845 nel 2013 e 3.850 nel 2014. Dai dati dell’Istituto superiore di sanità (Iss) emerge che chi ha scoperto di essere sieropositivo è nel 77% dei casi maschio e l’età più frequente è di 39 anni (36 anni per le donne).

I rapporti sessuali. La principale causa di contagio sono i rapporti sessuali non protetti: 44,9% eterosessuali e il 40,6% maschi omossessuali, per un totale dell’85,5% di tutte le segnalazioni. E considerando che il picco di incidenza, 15,4 casi ogni 100 mila residenti sono nella fascia di età 25-29 anni, risulta fondamentale potenziare l’informazione tra i giovani delle fasce di età precedenti.

I farmaci. Nel mondo sono più di 18 milioni le persone Hiv-positive in cura con i farmaci antiretrovirali, ma altrettante non riescono ancora ad accedere alle terapie, in gran parte perché non consapevoli della propria sieropositività.

Molti degli inconsapevoli, fa notare l’Oms, sono persone a più alto rischio di infezione da hiv, che spesso hanno difficoltà ad accedere ai servizi di test esistenti. “Milioni di persone con Hiv restano ancora escluse dal trattamento salvavita, che può anche prevenire la trasmissione del virus ad altri – spiega il direttore generale dell’Oms, Margaret Chan – .L’auto-test dovrebbe aprire le porte della diagnosi per molte più persone che potranno così scoprire come ottenere le terapie e come accedere alla prevenzione”.

Il test-fai-da-te. Fra gli obiettivi dell’Oms per combattere la patolologia c’è il test fai-da-te. Prevede l’utilizzo della saliva o di una goccia di sangue ottenuta pungendo un dito e si può fare in un ambiente privato con risultati nel giro di 20 minuti o meno. Chi risulta positivo viene invitato a sottoporsi a un test di conferma in un centro sanitario. L’Oms raccomanda che vengano messe a disposizione informazioni e collegamenti con il counselling nonché rapidi riferimenti ai servizi di prevenzione, cura e assistenza.

Le terapie antiretrovirali. L’aumento della diffusione dei test per l’Hiv in tutto il Mondo ha fatto sì che oggi oltre l’80% di chi ha in mano una diagnosi sia sotto trattamento con antiretrovirali. Dall’altro lato la copertura del test resta bassa in vari gruppi di popolazione. Gli uomini sono solo il 30% delle persone sottoposte a test, e i tassi di accesso a prevenzione e terapie sono più bassi rispetto alle donne. “Garantire la disponibilità di farmaci antiretrovirali è cruciale per poter realizzare l’obiettivo dell’Unlaids 90-90-90 che mira a garantire che entro il 2020: il 90% delle persone affette da Hiv conoscano il loro stato; il 90% delle persone affette inizino il trattamento antiretrovirale; il 90% delle persone sotto trattamento non abbia tracce riscontrabili del virus nel sangue – spiega Vittoria Gherardi, responsabile medico Medici Senza Frontiere Italia – .Ma questo obiettivo non sarà raggiungibile senza un’azione combinata in grado di assicurare a tutte le persone sieropositive, ovunque si trovino, un accesso adeguato ai test per la diagnosi dell’infezione, l’avvio al trattamento di qualità, a un prezzo accessibile anche nel caso di fallimenti terapeutici, un supporto per favorire l’aderenza alle cure per tutta la vita e il monitoraggio della carica virale”.

Una delle maggiori emergenze è quella dei paesi africani, soprattutto dell’Africa Sub-Sahariana, dove quasi un adulto su 20 è sieropositivo. “Nella sola Africa occidentale e centrale purtroppo, ancora oggi meno del 30% delle persone ha accesso alle cure fondamentali per diminuire la trasmissione del virus – aggiunge Gherardi – . Nei distretti della Repubblica Centrafricana, dove Msf lavora, le complicanze correlate all’infezione da Hiv sono responsabili dell’84% dei decessi in ospedale, nonostante la prevalenza dell’infezione da Hiv sia estremamente più bassa (5%) rispetto all’Africa meridionale (40%). Scenari simili vengono rilevati anche in Repubblica Democratica del Congo. Il mancato o incostante approvvigionamento di farmaci, specialmente nelle aree rurali, troppo spesso impedisce l’inizio o il mantenimento della terapia, mina l’aderenza del singolo paziente e pone un grave ostacolo per vincere la lotta globale contro l’Hiv”.

A subirne le conseguenze sono spesso le categorie più vulnerabili, non solo donne in stato di gravidanza e bambini ma anche gli adolescenti. “Dall’esperienza di Msf nei progetti Hiv in diversi Paesi, rimangono prioritari non solo l’accesso ai farmaci e a test diagnostici e di monitoraggio della cura, ma anche le strategie basate sul coinvolgimento delle comunità, per sensibilizzare e promuovere la prevenzione, l’educazione alla salute e l’aderenza alle cure – conclude Gherardi – . Inoltre è importante consolidare il ruolo degli operatori sanitari insieme all’adeguamento dei dispensari, decentralizzandoli per raggiungere il più alto numero di pazienti e coinvolgendo la società civile a tutti i livelli”.

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