bacheca social

FAI UNA DONAZIONE





Sostieni questo progetto


A tutti i nostri lettori

A tutti i nostri lettori . Andremo dritti al punto: vogliamo chiederti di proteggere l’indipendenza dello Specchio Magazine. Se tu e tutti coloro che stanno leggendo questo avviso donaste un caffè, potremmo permetterci di far crescere l’Associazione lo Specchio e le sue attività sul territorio. Tutto quello di cui abbiamo bisogno è il prezzo di una colazione o di una rivista nazionale. Questa è la maniera più democratica di finanziarci. Con il tuo aiuto, non negheremo mai l’accesso a nessuno. Grazie.
novembre 2016
L M M G V S D
« Ott   Dic »
 123456
78910111213
14151617181920
21222324252627
282930  

Nuovo Ordine Mondiale.

Internet

Internet

Lucia Annunziata Editorial Director, L’Huffington Post

“va considerata la prima piattaforma politica che nasce in risposta alla crisi che dal 2007 ha cambiato il volto degli Stati Uniti e del resto del mondo”

L’America di cui prende la guida il presidente Donald Trump è un paese con una mediocre crescita economica, un accresciuto livello di diseguaglianza sociale e un lento ma costante declino nella creazione di nuovi lavori. Prima di infilarsi nell’emozione dello scontro politico, prima di parlare della fine del mondo a causa dell’elezione di Trump, vorrei portare l’attenzione su alcuni dati fondamentali della economia negli Stati Uniti.

Nonostante la ripresa economica, negli Usa il reddito medio delle famiglie che pure è aumentato del 5.2 per cento tra il 2014 e il 2015, rimane sotto i livelli pre-crisi. Contemporaneamente il livello di diseguaglianza sociale è cresciuto: fra il 1980 e oggi la ricchezza detenuta dall’1 per cento della popolazione è salito dal 10 al 18 per cento.

Dato che fa meritare agli Stati Uniti il primo posto nella scala della diseguaglianza fra i paesi ad alto reddito. Che questi numeri abbiano alimentato sfiducia nella competenza e nell’onestà della classe dirigente, rabbia nei confronti delle banche, disprezzo per l’incestuoso rapporto fra politici, intellettuali, e corporation, non provoca nessuna meraviglia.

Quello che è rilevante è che questo scontento si sia diretto verso il più irregolare dei candidati in campo. Il consenso di Donald Trump è stato ottenuto soprattutto negli stati industriali, e la sua vittoria va riconosciuta come fortemente radicata in questo scontento del mondo del lavoro, del declino della classe media. Ulteriore prova di questo legame? Se si guarda alla mappa elettorale americana, fa notare in queste ore il celebre sito di analisi politica Fivethirtyeight, fondato da Nate Silver, la lista degli stati dove Trump ha vinto è perfettamente sovrapponibile con quella identificata dall’economista del Mit David Autor come la mappa degli stati dove maggiore è stato l’impatto delle importazioni cinesi – impatto stimato nella perdita di 2 milioni di lavoro tra il 1999 e il 2011.

A tutti gli effetti, dunque, la vittoria di questo imprevisto e imprevedibile candidato fuori dalle righe, e fuori dalla tradizione, va considerata la prima piattaforma politica che nasce in risposta alla crisi che dal 2007 ha cambiato il volto degli Stati Uniti e del resto del mondo.

Non è irrilevante dire con chiarezza queste cose in queste prime ore della vittoria di Donald Trump. L’evento è di proporzioni storiche. Il successo del Tycoon costituisce l’esplosione del sistema dei partiti americani – quello democratico che ha perso voti della sua tradizionale base sociale, e quello repubblicano che sulla base del calcolo di interessi della sua tradizionale base ha preso le distanze da Trump. Ed è significativo che il nuovo presidente arrivi a Washington spinto da un voto che pone al suo centro proprio quel mondo del lavoro che in questi anni dai partiti tradizionali è stato sottovalutato, messo da parte, se non addirittura abbandonato.

Quale forma prenderà questa delega politica al momento non è possibile prevedere. Farà davvero Trump un muro con il Messico? Porterà Trump l’America a un nuovo accordo con la Russia di Putin? Allenterà il suo rapporto con gli europei, con una diminuzione di ruolo degli Usa nella Nato? Davvero ripiegherà sulla sua visione autarchica della economia americana, rompendo trattati di libero scambio e ritornando a un severo protezionismo? Difficile dire ora. Una cosa infatti è un candidato, altra un presidente.

Già nel suo primo discorso di ringraziamento, ha usato i toni più morbidi della conciliazione nazionale. Una sola sicurezza esiste però fin da ora. La fuoriuscita del consenso dai partiti tradizionali è un fenomeno già in corso nei vari paesi europei, compreso l’Italia, ma il voto americano vi inserisce un segno in più: la vittoria di Trump è la prima affermazione di un movimento antisistema che porta un suo leader al vertice. È un voto che istituzionalizza nel punto più alto del sistema il rifiuto del sistema stesso.

In questo senso il voto americano legittima e tracima le stesse istanze in movimento in vari paesi – Europa e Italia incluse. Questa legittimazione sarà la singola più importante influenza che gli Stati Uniti di Trump eserciteranno sul resto del mondo negli anni a venire.

Invia un commento

Puoi utilizzare questi tag HTML

<a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>