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Libertà di stampa e poteri economici. L’ultima di Gabanelli a Report e il paradosso dei suoi «esterni».

Milena Gabanelli Internet

Milena Gabanelli Internet

di Aldo Grasso

«Report è la cosa più bella che ho fatto dopo mia figlia, dopo vent’anni penso però sia venuto momento di dire che questa è la mia ultima stagione alla conduzione del programma… Al mio posto, dalla primavera, ci sarà Sigfrido Ranucci (mio coautore da tanto tempo), insieme alla formidabile squadra di giornalisti che ormai conoscete». Stasera, per l’ultima volta, Milena Gabanelli sarà il volto di Report, la trasmissione che più di altre ha rappresentato il concetto di servizio pubblico. Inchieste coraggiose, querele a non finire (tutte vinte da Report), duro lavoro giornalistico, qualche eccesso ideologico. E dire che ci sono stati momenti in cui il Cda della Rai non voleva garantire al programma un ombrello legale. Per essere efficace, l’inchiesta, uno dei generi televisivi più negletti, ha assoluto bisogno di essere tutelata dall’azienda. Un reporter singolo non si metterà mai contro una multinazionale se non sa di essere protetto, non tanto da Viale Mazzini quanto dallo spirito del servizio pubblico: l’autocensura, infatti, è uno dei mali più tremendi del giornalismo. Perché questo è il grande paradosso di questa storica trasmissione. La redazione di Report non appartiene alla Rai: svolge il suo lavoro autonomamente e lo «vende» all’azienda. I contratti vengono rinnovati anno dopo anno. Così la Gabanelli è stata costretta a difendersi con il prodotto: interessante, aggressivo, inedito. Dobbiamo dunque dedurre che la Gabanelli, i suoi collaboratori, i suoi free lance, i suoi reporter d’assalto hanno fatto buon giornalismo (buonissimo, se confrontato all’informazione televisiva della Rai) solo perché sono «esterni»?

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