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La misericordia di Francesco per le donne

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Massimo Faggioli

Professore di Storia del Cristianesimo, Villanova University

 

In un pontificato così poco incline al pessimismo agostiniano, se paragonato al pontificato molto agostiniano di Benedetto XVI, papa Francesco intitola la sua lettera apostolica post-giubilare prendendo un’immagine che sant’Agostino utilizza nel suo commento al Vangelo di Giovanni nel passaggio dell’incontro tra Gesù e l’adultera: “la misera e la misericordia”.

La lettera apostolica Misericordia et misera è molto di più di un bilancio del giubileo straordinario della misericordia. È un argomento teologico a favore della riscoperta della supremazia della misericordia di Dio sulla legge (anche la legge della chiesa). Ancora una volta Francesco evidenzia la necessità per la chiesa di colmare la distanza tra il Dio di Gesù che essa annuncia e le pratiche e leggi ecclesiastiche: “nessuno può porre condizioni alla misericordia”.

Il vescovo di Roma spiega che durante il giubileo la chiesa non si è solo fatta annunciatrice di essa, ma che la chiesa stessa ha imparato esperienzialmente la misericordia. Francesco parla della misericordia come particolarmente importante nel mondo dominato dalla tecnologia e dei “paradisi artificiali” (vedi la realtà virtuale), in cui la spersonalizzazione dei rapporti rende meno capaci di perdonare e di farsi perdonare.

La misericordia fa parte della “conversione pastorale” (idea chiave per Francesco) a cui la chiesa è chiamata. La lettera contiene un appello a tornare alla confessione sacramentale, che “ha bisogno di ritrovare il suo posto centrale nella vita cristiana”. La misericordia di Dio la si incontra nelle persone (non solo ma anche nella confessione sacramentale del sacerdote). Francesco sembra avvertire le donne e gli uomini di oggi che confessare solo a se stessi i propri peccati significa affidarsi ad un giudice che è più misericordioso solo in apparenza.

L’enfasi di Francesco sulla misericordia comporta incoraggiare al sacramento della riconciliazione rendendolo più abbondante. Questo ha alcune conseguenze pratiche che il documento annuncia, come la decisione di Francesco di dichiarare valida e lecita, anche dopo la fine del giubileo, l’assoluzione ricevuta da preti della chiesa scismatica ultra-tradizionalista di mons. Marcel Lefebvre (la Società di San Pio X).

È un esempio di come la misericordia ha anche conseguenze ecclesiologiche. Questa decisione di Misericordia et misera continua il dialogo tra Francesco e lo scisma cattolico a destra avvenuto quarant’anni fa: è uno dei modi di Francesco di de-ideologizzare il dibattito interno alla chiesa e di depotenziare l’immaginario dello scisma che alcuni estremisti anti-Francesco (vedi il cardinale Raymond Leo Burke) sembrano accarezzare.

Non meno interessante è l’estensione della facoltà di confessare il peccato di aborto (per le donne e per tutti quanti cooperino) a tutti i preti (tradizionalmente era un peccato la cui assoluzione era riservata ai vescovi e a preti da loro delegati). Questa nuova norma non cambia la situazione in alcuni paesi, dove tutti i preti avevano già questa facoltà (come negli Stati Uniti e in Canada).

 

Ma Misericordia et misera lancia indirettamente un messaggio a quei cattolici che in alcune realtà ecclesiali (come negli Stati Uniti) vedono nell’aborto un crimine che porta alla scomunica a tempo indefinito non solo delle donne, ma anche di tutti quanti si discostino dagli slogan pro-life (che hanno danneggiato la lotta alla piaga dell’aborto in quanto hanno delegittimato gli sforzi di quelli che non propongono la ri-penalizzazione dell’aborto ma una rete di sicurezza sociale che non lasci sole le donne in situazioni drammatiche).

In questo senso è un documento che ha un significato anche teologico-politico in alcuni contesti. La misericordia di Francesco non ha solo una valenza ecclesiale e spirituale, ma anche sociale e politica in senso globale. Il pontificato di Francesco va letto con le due parole chiave: misericordia e poveri. Questa lettera parla di un “carattere sociale della misericordia” e di una “cultura della misericordia”.

Questo è particolarmente interessante perché da un lato Francesco affronta la questione sociale di povertà ed emarginazione dal punto di vista delle opere di misericordia, tenendosi lontano da una prospettiva della teologia della liberazione classica, di “empowerment” dei poveri. Dall’altro lato, Francesco offre una chiara alternativa al populismo ruggente, la cui fase suprema è finora il trumpismo (che ha raccolto il voto di non pochi cattolici negli Usa): a una cultura della recriminazione, del complotto, della criminalizzazione dell’avversario risponde con la cultura della misericordia che non dimentica i poveri.

Due sono, infine, gli elementi più interessanti e consequenziali, dal punto di vista della postura della chiesa di papa Francesco di fronte allo spirito del tempo. Il primo è l’enfasi sulla “cultura della misericordia” che all’orecchio di non pochi cattolici suonerà come una chiara alternativa alla “cultura della morte vs cultura della vita” tipica del pontificato di Giovanni Paolo II (e di alcuni teologi allora a lui vicini e da lui promossi, che non a caso sono ora tra gli oppositori di Francesco, come il cardinale Carlo Caffarra).

Questo avrà un impatto sulla percezione della chiesa come protagonista delle “culture wars” attorno alle questioni morali, specialmente in paesi come gli Stati Uniti. La “cultura della misericordia” non nega l’idea che vi sia una “cultura della morte” (solo per citare due esempi: l’eutanasia sta diventando legale in molti paesi, e le leggi sull’aborto tendono a diventare più radicali), ma nega che l’opzione migliore per la chiesa sia la denuncia apocalittica della cultura contemporanea: “questo è il tempo della misericordia”.

Francesco insegna con l’esempio e evangelizza per attrazione: le opere di misericordia hanno una qualità radicalmente “performativa” che nessun documento scritto può avere. Il secondo elemento interessante che collega misericordia e poveri è la decisione di celebrare la nuova “Giornata mondiale dei poveri” nella trentatreesima domenica dell’anno liturgico, ovvero la domenica prima della Festa di Cristo Re, solennità liturgica istituita da Pio XI nel 1925 che celebrava la sovranità di Cristo e della chiesa al di sopra delle culture secolari e giurisdizioni politiche.

Francesco anticipa quella festa, nata come manifesto antimoderno, per iscriverla nel disegno di una chiesa dei poveri e per i poveri. È uno dei tanti esempi del ritorno di papa Francesco al cuore del concilio Vaticano II e alla “medicina della misericordia” di Giovanni XXIII. Nel mondo moderno la chiesa non ha altra aspirazione che servire come fece Gesù.

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