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Il politichese. Referendum, a 15 giorni dal voto Berlusconi e Confalonieri lanciano il segnale per tutelare l’Impero

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politichese

[po-li-ti-ché-se] s.m.
  • • Con valore negativo, linguaggio usato da uomini e da commentatori politici, contorto e involuto, spesso incomprensibile al vasto pubblico

Alessandro De Angelis

A quindici giorni dal voto, quando le parole pesano di più e l’attenzione è più alta, Silvio Berlusconi getta la maschera: “Di leader veri nella politica ce n’è uno solo. E si chiama Matteo Renzi”. In Transatlantico, i poveri azzurri impegnati in campagna elettorale, si parlavano attoniti: “Ma è impazzito? Renzi cerca il voto di destra e lui lo legittima”. Loro provano a smontare la riforma, attaccano Renzi, lo criticano in quanto “non eletto”, insomma sostengono che è uno delle tante meteore destinate a spegnersi, e Silvio che fa? Dice che è il sole attorno a cui ruota la politica.

Non c’è da stupirsi che poco dopo sono arrivati messaggi infuocati ad Arcore da Matteo Salvini e Giorgia Meloni, i quali in modo colorito hanno fatto sapere che, di qui al voto, eviteranno di mandarlo al diavolo in pubblico ma che almeno è opportuno evitare la pantomina dei vertici e degli incontri a tre. Dire che il Cavaliere se ne sia fatto un cruccio, significa andare fuori strada. Perché in cima ai suoi pensieri non c’è né Salvini né la Meloni né Toti, a cui ha offerto il licenziamento in tronco di Stefano Parisi per far vedere quanto ha a cuore il centrodestra, né c’entrano quelli che lo cercano per parlare del futuro.

Se qualcuno avesse avuto dei dubbi su un endorsement esplicito e chiaro come ai tempi del Nazareno, ecco un paio d’ore dopo le parole di Fedele Confalonieri: “Renzi è un ragazzo di 40 anni che ha le qualità di Berlusconi, per tanti aspetti, non ha quelle dell’imprenditore, ma un pezzetto di storia simile a Berlusconi l’ha fatta”. I ben informati sussurrano che, proprio negli ultimi giorni di campagna elettorale, i direttori e i capi area del Biscione sia stati caldamente invitati a dare una mano al governo: “È chiaro – sussurra un ex ministro – che Berlusconi non può tornare indietro e dire che vota sì, però è evidente che il suo è un no innocuo”. Certo, il Cavaliere pensa sempre di essere il più furbo di tutti e fa un ragionamento di questo tipo: formalmente sto su no così, se vince il no, mi siedo dalla parte dei vincitori, e il 5 dicembre mi dico disponibile a un governo per la legge elettorale e tratto con Renzi; ma se vince il sì non mi sono esposto e non ho esposto le mie aziende, anzi potrò dire: caro Matteo, hai visto che ho pure detto che sei l’unico leader, che altro potevo fare per aiutarti?

Ma il fine di tutto non è solo la politica, che nel mondo berlusconiano è sempre e solo un pezzo del discorso. Berlusconi è imbufalito da quando la Banca centrale europea di Mario Draghi si è opposta al fatto che Fininvest sia rientrata in pieno possesso della quota del 30 per cento di Banca Mediolanum. La partecipazione era stata “congelata” da Banca d’Italia due anni fa, dopo che Berlusconi perse le caratteristiche di “onorabilità” bancaria a seguito della condanna per frode fiscale. Lasciare le quote Fininvest è una grana grossissima, considerato che Mediolanum nell’impero berlusconiano è l’azienda che va meglio in termini di utili.

 

Ecco il punto. Ci sarebbe una sola strada per risolvere il problema. Ma la Corte europea di Strasburgo, spiegano fonti molto informate, non ha nemmeno iniziato a esaminare il ricorso presentato tre anni fa contro la sua condanna. Non si contano gli sfoghi del Cavaliere contro l’ingratitudine di questo o quello. E, in questo clima, sussurrano le stesse fonti “teme che il governo dopo il referendum gli possa fare male sulle aziende”. Questo no tiepido e innocuo, col grande riconoscimento alla leadership di Renzi si spiega così, con la politica che viene parecchio dopo il resto. E nel resto c’è ovviamente Mediaset, azienda non sfavillante per innovazione e competitività che beneficia del duopolio mai messo in discussione dal governo. E c’è il contenzioso tra Premium – con i suoi quasi duecento milioni di perdite – con Vivendi, che visti i soggetti in gioco – Berlusconi e Bolloré – diventa quasi una questione tra governi, col finanziere francese impegnato anche sul tavolo di Telecom, uno dei dossier che interessa a palazzo Chigi per la questione della banda larga. E impegnato in altre partite finanziarie, da Medio Banca a Generali.

In questo quadro, se fosse convinto che vince il no, Berlusconi si proclamerebbe il Trump italiano, occuperebbe le tv, bollerebbe Renzi come un professionista della politica che non ha mai lavorato un giorno in vita sua e sta lì grazie a una manovra di Palazzo, perché non eletto dal popolo. E invece ha detto: “Di leader veri nella politica ce ne è uno solo. E si chiama Matteo Renzi”. Fuori dalla politica, ha aggiunto, “forse ce ne è qualcuno, ma è stato buttato fuori”. Appunto, meglio trattare con chi è dentro.

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