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Costume. Clientelismo per il Sì, De Luca è il nuovo Gava. Audio

Antonio Gava Democrazia Cristiana

Antonio Gava Democrazia Cristiana

di Fabrizio d’Esposito Inviato del Fatto Quotidiano

“La novità è il silenzio di Repubblica”

Vincenzo De Luca, classe 1949, aveva 32 anni e guidava la federazione provinciale di Salerno del grande Pci, quando nell’estate del 1981 Enrico Berlinguer fece la nota intervista sulla questione morale con Eugenio Scalfari per Repubblica. Berlinguer affrontò l’atavico nodo della corruzione politica, in particolare della Dc, partito-Stato, all’indomani del fallimento storico tra comunisti e democristiani, e in uno dei passaggi chiave disse: “I partiti sono soprattutto delle macchine di potere e di clientela”.

Trentacinque anni dopo, l’ex comunista De Luca è il governatore della Campania sotto le insegne del Pd ed è un convinto sostenitore del clientelismo. Di più. Spronando circa 300 amministratori pubblici della sua regione a fare una campagna porta a porta per il Sì, altra colossale anomalia, lo sceriffo di Salerno ha fatto un’apologia delle clientele per certi versi già diventata storica, grazie all’audio integrale della riunione riservata pubblicato in esclusiva dal fattoquotidiano.it: “Prendiamo Franco Alfieri, notoriamente clientelare. Come sa fare lui la clientela lo sappiamo. Una clientela organizzata, scientifica, razionale come Cristo comanda. Che cosa bella. Ecco, l’impegno di Alfieri sarà di portare a votare la metà dei suoi concittadini, 4mila persone su 8mila. Li voglio vedere in blocco, armati, con le bandiere andare alle urne a votare il Sì. Franco, vedi tu come Madonna devi fare, offri una frittura di pesce, portali sulle barche, sugli yacht, fai come cazzo vuoi tu, ma non venire qui con un voto in meno di quelli che hai promesso”.

INTERNET

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IL SONORO DELL’INTERVENTO DI DE LUCA

Alfieri è il sindaco di Agropoli, in provincia di Salerno, non senza qualche problema giudiziario, ed è un democristiano del Pd, ma su questo torneremo dopo. Per il momento, soffermiamoci sul clientelismo dalla prospettiva deluchiana. Da giovane lo condannava. Da politico anziano lo teorizza e lo predica in senso positivo. Ecco, in questo scarto di 35 anni c’è tutta la mutazione genetica della gran parte della classe dirigente postcomunista, soprattutto nel Mezzogiorno. Ancora prima, quindi, dell’avvento del cinico e spregiudicato renzismo nel dicembre del 2013. In pratica, la conquista del potere e la sua gestione quotidiana hanno trasfigurato De Luca nel nuovo Antonio Gava della Campania. Gava fu un boss democristiano, campione del clientelismo e non solo, arrivando persino a fare il ministro dell’Interno. Quando accadde, grazie al patto del Caf, Vauro fece una magnifica vignetta sul Manifesto: “Brillante operazione delle forze della camorra nei covi della polizia”. Ma oggi De Luca ricorda il democristiano doroteo Gava per il solito metodo di costruzione del consenso, spaziando dal clientelismo al familismo amorale con la sistemazione del figlio al comune di Salerno come assessore, per garantirgli un futuro.

Non è solo un caso personale, limitato. No, è stata questa pratica del potere ad ammazzare la presunta diversità della sinistra, almeno dalla Campania in giù. Il politologo inglese Percy Allum che già nel 1975 scrisse un fondamentale saggio sul sistema di potere democristiano in Campania, includendo la dinastia dei Gava (il papà Silvio, più volte ministro, e il figliolo Antonio), quando lasciò Napoli due lustri fa criticò da sinistra il bassolinismo: “E’ stato peggio del laurismo e del gavismo”. Questo per dire che la doroteizzazione di De Luca è figlia di un’onda lunga, solo adesso cavalcata dal giglio magico. Altro che rottamazione o cambiare verso. E’ il gattopardo travestito ancora una volta da presunto riformismo.

Non a caso, il referente romano di De Luca è quel Luca Lotti che quotidianamente sente e frequenta l’ex sherpa berlusconiano Denis Verdini, plurinquisito e plurimputato nonché teorico del fu patto del Nazareno tra Renzi e Berlusconi. E non a caso, le elezioni regionali in Campania vinte da De Luca sono state il primo laboratorio del Partito della Nazione, con gli ex berlusconiani di Nicola Cosentino (condannato pochi giorni fa, in primo grado, per concorso esterno alla camorra dei Casalesi) diventati verdiniani e alleati del Pd di De Luca. Il potere per il potere, difendendo il Sistema dall’assalto populista e gestendo i finanziamenti pubblici come i notabili dc del passato. Ecco un altro passaggio decisivo dell’audio di De Luca: il fiume di soldi garantito dall’interlocuzione con il governo di Roma e che quindi deve essere la molla principale per andare alle urne e votare Sì. La Costituzione non c’entra nulla, in questo ragionamento. Conta il governo amico e conta che rimanga in sella il 5 dicembre. Altra ricetta del passato, quella che ha consentito alla Dc di prosperare con l’assistenzialismo e i fondi a pioggia. Nulla di nuovo sotto al sole. De Luca si erge come garante di questi fondi e soprattutto come successivo distributore per consolidare il suo clan di potere. La sua concezione di amministratore si misura con la capacità di prendere quanti più soldi possibili da Roma. Dov’è la novità?

Secondo la retorica democrat in circolazione, il Pd è nato dalla fusione delle due culture politiche prevalenti del secolo scorso: quella comunista e quella democristiana. Addirittura, sempre questa retorica porta ad appendere in una sezione ideale del Pd i ritratti di Berlinguer e Aldo Moro, appaiati. In realtà, per attenerci allo scandalo campano, De Luca ha rinnegato le sue origini berlingueriane per convertirsi al peggio del metodo democristiano. Pochi lo ricordano, ma è l’intero Pd della Campania a essersi doroteizzato, basti pensare che uno dei suoi esponenti di rilievo, di nome Lello Topo, è figlio dell’autista storico di Gava. I cerchi si chiudono sempre.

Tra i pochi giornali che hanno ripreso la notizia del Fatto sulla clamorosa riunione di De Luca che professa e istituzionalizza il clientelismo con i soldi pubblici e con amministratori pubblici non c’è il Mattino di Napoli, edito da Caltagirone, noto palazzinaro romano con interessi ovunque. E’ la stessa omertà di quando l’editore di riferimento del Mattino era la Dc e al massimo si pubblicava la biografia a puntate di Silvio Gava, papà di Antonio. Rispetto agli anni Ottanta la novità è il silenzio di Repubblica, il giornale su cui Berlinguer parlò di questione morale. Oggi il giornale-partito del centrosinistra è allineato al renzismo e il clientelismo di De Luca è un fenomeno imbarazzante da raccontare. Anche questo è un segno di questi tristi tempi.

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