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La biblioteca del referendum: i libri per capire la riforma

di MARCO BRACCONI

PER IL SI

Una democrazia che decida. Arrivarci non significa smentire i padri costituenti, al contrario vuol dire prenderli alla lettera. Così la pensa il costituzionalista Stefano Ceccanti ne La transizione è (quasi) finita (Giappichelli, XXIV-96 pagine, 11 euro ), un libro breve ma denso di riferimenti al dibattito su sistemi istituzionali e scienza politica. Nella prima parte Italia e Francia sono allo specchio: il passaggio transalpino alla Quinta Repubblica è per l’autore esempio di una transizione riuscita. Per il nostro Paese, invece, la transizione non è mai finita. Perché? Ceccanti ripercorre i passaggi del Dopoguerra per dimostrare che gli stessi costituenti si erano posti i problemi che oggi la Riforma tenta di risolvere. A partire dalla “irrazionalità della doppia fiducia”. Si parla allora di una Carta concepita dagli stessi estensori come aperta, come dimostra la successiva storia dei cambiamenti tentati e falliti, compresi quelli subcostituzionali come le leggi elettorali. Nel libro è argomentato l’elenco degli interventi realizzati o solo ipotizzati, tutti in direzione della decisione a riprova di quella originaria “incompiutezza”. Per il costituzionalista la Riforma non è dunque perfetta (non pochi sono i punti di criticità evidenziati), ma è certamente “ragionevole”. Vale a dire capace di riportare alla fisiologia dinamiche oggi stravolte (anche) dall’eccessivo ricorso ai decreti e alle deleghe all’esecutivo. Taglio scientifico, ma con ampi riferimenti alla vita parlamentare. In chiusura i testi dei nuovi articoli che andremo a votare. In appendice i cambiamenti del sistema di voto con l’Italicum.

Internet

Internet

Un sistema vissuto da sempre come provvisorio. Tanto da far diventare la provvisorietà un alibi. È il presupposto di Italia, si cambia. Identikit della riforma costituzionale (Rubbettino, 201 pagine, 15 euro) che porta la firma del costituzionalista Giovanni Guzzetta. Dal Regno d’Italia e da una “democrazia dei partiti” che si è presto sovrapposta alla griglia istituzionale, il salto al dopoguerra: coalizioni forzate, trasformismo, bicameralismo “frenante”. Un sistema figlio di uno spirito anomalo, plasmato per scansare la competizione e affidarsi invece alla collaborazione. Come nel libro di Ceccanti, il viaggio nell’instabilità riparte dall’Assemblea Costituente e prosegue attraverso i tentativi di accentuare l’aspetto “decidente” della democrazia. Un esempio per tutti la cosiddetta legge truffa di De Gasperi, proprio in quest’ottica “riabilitata”. Quasi la metà del saggio è una spiegazione dei meccanismi previsti dalla riforma, dagli iter legislativi agli interventi sul Quirinale, con una attenzione particolare alla chiarificazione del gioco di competenze tra Stato e Regioni. Guzzetta non nasconde la preferenza per il Sì ma non rimuove le obiezioni del No. In alcuni casi le confuta, in altri le registra. Tesi finale: la democrazia smetta di sentirsi transitoria e si definisca in relazione ai cambiamenti nel sistema politico. La lingua è scorrevole, dotta ma non specialistica. Nelle due appendici l’elenco delle nuove competenze. In chiusura gli articoli della Carta: testo vigente e testo modificato a fronte.

Un libro che invoca una “discussione pacata, perché se ciò non avviene perdiamo tutti”. Carmine Donzelli lo ha affidato alle mani di uno storico, Guido Crainz, e a quelle di un giurista, Carlo Fusaro. Aggiornare la Costituzione. Storia e ragioni di una riforma (Donzelli, 198 pagine, 16 euro) si propone di far capire cosa andremo a votare smontando l’eccesso di enfasi che ha “sequestrato” la discussione. Un Sì con la lettera minuscola, dunque, e senza punti esclamativi. La prima parte, scritta da Crainz, è un compendio di storia della Repubblica, seguendo la rotta delle svolte (poche) e dei travagli (molti) della nostra vita istituzionale: dal clima del ’47 agli anni Settanta, passando per Craxi, i referendum di Segni e l’impasse delle bicamerali. Uno strumento di contesto che apre la porta alla seconda parte, firmata Fusaro, dove si illustrano le ragioni della riforma ma, soprattutto, si risponde alle obiezioni sulla legittimità e sul merito. In un dettagliato schema di tesi e antitesi il saggio affronta ognuno dei temi in campo, compreso il link con l’Italicum. Altrettanto approfondita, anche con la simulazione di scenari, la parte dedicata agli adempimenti successivi: regolamenti parlamentari in primis. La valutazione finale è positiva ma senza che ciò comporti alcuna palingenesi; la Carta non cambia, ma “si aggiorna”. Nessuna palingenesi, solo “istituzioni probabilmente più efficienti”. Il taglio è scientifico ma divulgativo. In appendice il testo vigente con a fronte i nuovi articoli.

PER IL NO

Il giudizio di Gustavo Zagrebelsky è una stroncatura senza se e senza ma. “Si rovescia la piramide della democrazia” e piuttosto che ad una riforma “siamo davanti ad una s-costituzione”. Il costituzionalista e presidente emerito della Consulta ha scelto per la prima parte di Loro diranno, noi diciamo. Vademecum sulle riforme istituzionali (Laterza, 145 pagine, 10 euro) uno schema “a specchio”: ad ogni affermazione dei fautori del Sì corrisponde un “noi diciamo” che illustra il punto di vista di chi dirà No. Sono quindici schemi di confutazione, dalla governabilità alla legittimità, dalle accuse di conservatorismo alla velocizzazione del processo legislativo. Poi, un documento: la lettera del 2014 alla ministra Boschi con la quale il professore illustra le sue idee sul testo. È qui, e poi nel vademecum vero e proprio, che il libro di Zagrebelsky (scritto con Francesco Pallante) entra nel dettaglio, esponendo la contrarietà all’impianto e avanzando proposte alternative in particolare sul Senato, secondo l’autore costituzionalmente svilito. Altrettanta attenzione ai meccanismi di rapporto tra le due Camere e al rischio di conflitti, fino al legame intrinseco con la legge elettorale. Un quadro che porta Zagrebelsky a definire la riforma come l’arroccamento di un “sistema che si chiude in se stesso”, sempre meno partecipato e squilibrato sull’esecutivo. Il registro è colto ma la lingua evita specialismi. Il taglio è diretto, con punte polemiche. In appendice, il testo vigente della Carta con a fronte le modifiche.

Internet

Internet

La riforma di un sistema politico sottomesso alla finanza globale. Un processo di degrado che solo difendendo la sostanza della Carta si può contrastare. Già nella premessa il libro di Salvatore Settis Costituzione! Perché attuarla è meglio che cambiarla (Einaudi, 317 pagine, 19 euro) disegna il perimetro: al cambiamento, anzi allo “smantellamento” della Carta, va contrapposta la sua piena attuazione. Il volume è in larga parte una raccolta (contestualizzata) degli interventi e degli articoli dello storico dell’arte da sempre impegnato sui temi civili. La forbice temporale è quella degli ultimi cinque anni. Le testate sono Repubblica, L’Espresso, Il Sole 24ore, Left. L’insieme va a comporre un libro dal forte taglio politico, che fa discendere dall’azione dei recenti governi quelle che per l’autore sono le smentite dello spirito e della lettera della Costituzione. Una Legge che è “bene comune”, e la cui seconda parte è intimamente collegata alla prima. Dalla scuola al lavoro, fino ai beni culturali, il volume vuole così “agganciare” gli articoli della Carta al loro vissuto, anzi non vissuto, alla realtà della nostra vita democratica. Per un No che significa fare della Carta il presupposto di una nuova autonomia della politica. Il linguaggio è colto ma agile. Doppia appendice: il testo della Costituzione con le modifiche del passato e quello vigente con a fronte i cambiamenti del 2016.

Rovesciare la prospettiva “ipermaggioritaria”. E imboccare una via che tuteli e ampli la rappresentanza. È questa la tesi di Democrazia e Costituzione. Perché dire no alla riforma Boschi e costruire una politica costituzionale (Castelvecchi, 87 pagine, 12,50 euro) di Stefano Rodotà, saggio breve nel quale il giurista fa discendere il No alla Riforma dalla riflessione sui diritti – negati o rimossi – che invece una nuova “politica costituzionale” dovrebbe promuovere. Nel Pantheon delle citazioni, Proudhon, Arendt, Bauman e Calvino indicano un percorso di avvicinamento al tema oggetto del referendum: si parte dal rapporto tra democrazia e morale, si continua sul tema dell’oligarchia per giungere alla narrazione che le classi dirigenti fanno della storia italiana. Costituzione compresa. Ecco allora la difesa del compromesso costituente del ’47, inteso come metodo che, appunto, vive per la sua capacità di tener conto delle diverse istanze di rappresentanza. E poi la risposta a chi, secondo Rodotà strumentalmente, invoca il caos in caso di bocciatura del quesito. Infine, il cuore del saggio sul merito delle modifiche. Che l’autore definisce “pasticciate” ma soprattutto squilibrate in direzione di un “dominio del governo”. Inevitabile, vista la centralità del nodo rappresentanza, il nesso tra riforma e Italicum, dove la questione non è la fine del bicameralismo ma la contestuale riduzione del pluralismo nella Camera. Il linguaggio è discorsivo. Non mancano spigoli polemici. In coda al libro una sintesi del ddl Boschi e il testo integrale.

 

NEUTRALI

La dedica a Vittorio Foa, “costituente senza pregiudizi”, racchiude il senso di questo breve libro, sintesi per istantanee di un dialogo tra un politico giurista, già presidente della Camera e un presidente emerito della Consulta. Perché No Perché Sì. Due opinioni a confronto sul referendum costituzionale. (A cura di Valeria Fadda, Le Chateau, 84 pagine, 10 euro) è un dialogo a distanza tra Luciano Violante e Valerio Onida, con uno schema invertito rispetto agli altri testi sul tema. Nella premessa un riassunto discorsivo della riforma, poi la parte documentale con il testo della Costituzione del 1947 e, a fronte, le modifiche approvate dal Parlamento. Quindi due interviste gemelle, di dodici domande, sui temi più scottanti della campagna in corso. Tra questi, legittimità della riforma, bicameralismo e azione del governo, legame con l’Italicum, nuovo regionalismo. Pur senza estremismi, i pareri delle due personalità interpellate sono in alcuni casi opposti. Se per Violante i poteri del governo in realtà si riducono, per Onida invece il rischio c’è se si combina la riforma con la legge elettorale. Sull’Italicum Onida e Violante concordano in parte, pure se le loro conclusioni divergono in vista del 4 dicembre. Riassumendo, la scelta del primo poggia sul No per il metodo scelto e, in parte, per l'”inefficacia” delle novità introdotte. Quella del secondo finisce sul Sì in virtù di una valutazione storica degli ultimi settant’anni e della esigenza di restituire funzionalità al sistema.

Conoscere per giudicare. Mediando tra una materia complessa e i cittadini che si troveranno a giudicarla con un Sì o un No. Politicamente neutro fin dall’introduzione, Una Costituzione migliore? di Emanuele Rossi, docente di Diritto costituzionale a Pisa, (Pisa University Press, 286 pagine, 12 euro) non è però reticente nel soffermarsi su ognuna delle criticità del testo oggetto del referendum. Strutturato per brevi capitoli, il libro si muove dal generale al dettaglio, partendo dai temi macro (nuovo Senato, iter legislativi, Titolo V) e provando a sciogliere ognuno degli effetti della Riforma sul funzionamento della macchina istituzionale. Arrivando talvolta alla conclusione che vantaggi e rischi potranno anche dipendere dal modo con cui saranno interpretate le novità. Nel libro le ragioni tecniche del Sì e quelle del No si distribuiscono dunque a macchia di leopardo, inevitabile per una materia tanto vasta e con tante conseguenze di dettaglio spesso intrecciate tra loro. Ciò malgrado l’autore evidenzia come nel testo ci siano incongruenze ed errori. Non un “omicidio della democrazia”, dunque, ma un intervento non privo di rischi di funzionalità. La lingua è scientifica, ma semplificata. In appendice il testo vigente con a fronte tutti gli interventi di modifica previsti dal ddl Boschi.

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