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Salute. Comunicare la sanità significa occuparsi di cose concrete, Ministro Lorenzin

Da internet

Da internet Proteste a Roma contro Ministro Lorenzin

Nicola Zamperini

Negli ultimi giorni comunicazione e sanità sembrano finite nel frullatore del dibattito pubblico. Dopo l’opuscolo sugli stili di vita corretti e la polemica sul fertility day, il ministro per la salute, Beatrice Lorenzin, ha rilasciato dichiarazioni più impegnative, se non addirittura più gravi, del modo in cui è stato realizzato l’opuscolo stesso.

“Io mi occupo delle cose concrete – ha dichiarato Lorenzin – per il resto vorrei che si affrontassero i problemi di salute, io faccio il ministro e non il comunicatore”.

Signora ministro, comunicare la salute significa – anche – fare bene il ministro. Significa, ad esempio, informare i cittadini sugli stili di vita corretti, e dunque sulla prevenzione di alcune patologie diffuse tra milioni di cittadini italiani.

Spiegare al pubblico cosa sia l’infertilità significa affrontare un problema di salute che riguarda centinaia di migliaia di persone e che rientra nel novero di quelle che lei definisce “cose concrete”. E le cose sono concrete quando offrono informazioni di servizio, di orientamento per il cittadino-paziente, quando lo preparano e poi lo indirizzano verso strutture e specialisti. Non basta un’infografica.

Quindi collocare, come lei fa, su piani contrapposti l’impegno istituzionale sul Fondo sanitario nazionale e la comunicazione della salute, è frutto di un’impostazione semplicemente sbagliata. Tra i compiti di chi governa, dopo aver preso delle decisioni, rientra quello di comunicare le decisioni stesse e farlo bene, parlando a più persone possibile. Sembra ovvio sottolinearlo ma evidentemente non lo è.

Dire “mi occupo di cose concrete”, per rimanere in ambito sanitario, è fare come quei medici che non si preoccupano di comunicare nella giusta maniera con i pazienti. Quei medici che parlano ai pazienti in maniera incomprensibile. La cura è ascolto, soprattutto diagnosi e terapia, ma nella terapia è essenziale la comunicazione con il paziente. Sembra ovvio sottolineare anche questo, eppure non lo è.

Se io sto male, se ho un problema di salute, mi informo, cerco di capire, studio, leggo e poi provo a farmi curare e assistere. E quando mi informo in rete incappo in un sacco di stupidaggini. Anzi, trovo per lo più stupidaggini. Compito di un ministro sarebbe quindi quello di rivendicare l’impegno sulla comunicazione e risolvere un simile, macroscopico, problema. Che – nel 2016! – si debba dire a un ministro della Repubblica che comunicare significa fare il proprio lavoro sembra assurdo.

Certo, svalutare la comunicazione rientra in quel modo di pensare che l’associa a una forma di vendita, di pubblicità. Quel genere di ragionamento di apparente buonsenso – purtroppo ancora molto diffuso, anche tra le aziende – che afferma “adesso pensiamo a lavorare, poi forse penseremo a comunicare”.

Oppure all’impostazione contraria, in cui la comunicazione svolge il ruolo di supplente della politica e della buona amministrazione. Quelli che comunicano ogni cosa, e che comunicano soprattutto le intenzioni, le cose non fatte, e quelli che pensano che comunicare sia stare sui giornali.

Esiste una sana via di mezzo che in sanità dovrebbe essere ricercata con ostinazione. Certo è davvero complicato scovare in Italia esempi di buona comunicazione sanitaria, in primo luogo tra le Regioni, poi tra le aziende sanitarie. Le eccezioni sono davvero rare.

Nello spazio digitale le persone si rivolgono alle ricerche in rete come fossero oracoli. E le istituzioni – tutte – non hanno minimamente colto questo bisogno, ormai strutturale da parte dei cittadini. Pensano alle campagne, alle pubblicità, alle gif da socializzare. E dimenticano i contenuti, le chiavi di ricerca che evidenziano come le persone affrontano e pensano i propri problemi di salute e si orientano circa le patologie di cui soffrono.

Compresa l’infertilità. Parola cercata fino a 10mila volte al mese su google, al pari di “inseminazione artificiale”. Oppure dimenticano la chiave di ricerca “fecondazione assistita” che arriva a 100mila ricerche mensili e per trovare un risultato che appartenga a un’istituzione, l’Istituto superiore di sanità, bisogna arrivare in seconda pagina. (Per “infertilità” in prima pagina ci sono due link al sito del ministero, uno non funziona, l’altro è della campagna del fertility day. In entrambi i casi non c’è alcun orientamento immediato ai servizi).

In questo vuoto delle istituzioni le aziende, naturalmente, si infilano. google per prima, come abbiamo già raccontato proprio qui. Non è un male. È un male che un ministro della Repubblica non consideri tutto questo come un suo compito istituzionale primario. Che un ministro consideri la comunicazione in sanità come una derivata, spicciola e affidata ad altri, dell’azione di governo.

Trovare un modo corretto per orientare e informare i cittadini in rete e fuori dalla rete, senza opuscoli o campagne fatte male, non è meno importante della discussione sul Fondo sanitario nazionale o dei provvedimenti sui livelli essenziali di assistenza.

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