intervista a Paolo Berdini di Monica Pepe
Per un “paese” in attesa di risposte sui vari fronti della convivenza civile e dei tanti problemi di una comunità in cerca di identità, la difesa del diritto di informare e di essere informati , di esprimersi in tutte le forme possibile, incluse la satira, attiene al buon funzionamento di tutte le istituzioni democratiche, perché se non c’è trasparenza non ci può essere una cittadinanza informata e consapevole e quindi capace di esprimere la sua volontà in maniera piena e indipendente e non solo abbeverandosi a un po’ di propaganda. Riprendendo un concetto già espresso in questo blog, ogni laccio all’informazione e alla satira, per quanto truculenta e faziosa ci sembrerebbe immotivato, pericoloso e utile soltanto a chi teme che la gente sappia troppo. Quelli che considerano il popolo un “minorenne” a cui non mostrare le brutte cose che si devono fare quando si gestisce il potere.
A tal proposito pubblichiamo una interessante intervista al Prof. Paolo Berdini, assessore all’Urbanistica di Roma, sulla questione della Legalità e delle periferie, quale contributo per una riflessione più generale.
Berdini: “Legalità e periferie, così rilancerò Roma”
Già al centro del ciclone per la sua opposizione alle Olimpiadi, parla il neoassessore all’Urbanistica della giunta Raggi: “Negli ultimi 20 anni la sinistra ha smesso di fare la sinistra accettando le dottrine liberiste”. E sul suo rapporto con il movimento di Grillo dice: “Il M5S ha saputo dare battaglia sul tema della precarietà giovanile e su quello del ripristino della legalità in un sistema che sta affondando negli scandali. Sono oggettivamente due bandiere antiche della sinistra”.
“Perseguire le Olimpiadi e lasciare, ad esempio, che si viaggi ancora su carrozze vecchie e malandate sulla linea Roma Ostia è una contraddizione così stridente che non necessita di essere argomentata con troppe parole”. Paolo Berdini è il nuovo assessore all’Urbanistica del governo Raggi, a Roma. Profilo di sinistra, vicino ai movimenti sociali, si trova ora nel delicato ruolo di riqualificare le periferie capitoline e contrastare lo strapotere di palazzinari e lobbies del mattone: “Venti anni di abbandono delle periferie hanno generato un nuovo pensiero che chiede riscatto sociale in un quadro di ripristino della legalità e fine di ogni favoritismo. La città si deve preparare a costruire, con il coinvolgimento pieno degli abitanti, un progetto di recupero sociale e fisico delle periferie”.
Berdini, i cittadini romani hanno eletto Virginia Raggi come sindaco. A cosa si deve preparare la città?
La vittoria di Virginia Raggi al ballottaggio è stata superiore ad ogni previsione. Il dato che più balza agli occhi è l’enorme consenso che il movimento 5stelle ha ottenuto nelle periferie più lontane, da Ostia a Tor Bella Monaca. Segno evidente che in quei luoghi insieme ad un severo giudizio su coloro che avevano guidato il Campidoglio, c’è stata anche una grande apertura di credito verso una forza che fino a tre anni fa non era neppure presente in consiglio comunale. E’ un dato che deve far riflettere.
Da dove arriva il modello 5 Stelle? E’ paragonabile ad altre esperienze europee?
Tutte le nazioni europee sono investite da una evidente sfiducia verso i partiti espressione delle culture tradizionali che hanno garantito quattro decenni di progresso economico e sociale. Questa fiducia è incrinata perché dagli anni ’80 la sinistra ha accettato acriticamente tutte le dottrine neoliberiste in campo economico e sociale. Sono stati intaccati i diritti dei lavoratori e le conquiste del welfare strappate con decenni di mobilitazioni sono state sacrificate sull’altare delle politiche di bilancio.
La società è diventata più ingiusta e una larga parte del ceto medio vive in condizioni peggiori che negli anni passati. Se a questo si aggiunge che le giovani generazioni vivono una cupa fase di precarietà senza prospettive e che la crisi economica sembra non aver mai fine, si comprendono i motivi dei profondi mutamenti politici in atto. In ogni Paese, dalla Spagna alla Grecia, si è palesata questa profonda esigenza di cambiamento. E in Italia la richiesta di cambiamento si è incarnata nel Movimento 5stelle.
Che rapporto c’è tra i 5 Stelle e la cultura di sinistra? Cosa hanno mutuato e dove le differenze sono irriducibili?
Riflettere sulla cultura del M5S fa comprendere quale cesura sia avvenuta nelle idee della sinistra europea nei tre decenni del trionfo del neoliberismo. Rispondere alla sua domanda, infatti, obbliga a dover definire cosa sia la sinistra e francamente non sono convinto che le politiche poste in essere dal governo Renzi appartengano a tale cultura: precarietà giovanile, cancellazione del welfare e diminuzione dei diritti dei lavoratori sono i tre pilastri su cui si è concentrato quel governo e rappresentano una evidente cesura con il pensiero storico della sinistra. Il M5S ha saputo dare battaglia sul tema della precarietà giovanile e su quello del ripristino della legalità in un sistema che sta affondando negli scandali. Sono oggettivamente due bandiere antiche della sinistra.
Il voto delle periferie a Roma ha avuto un grande peso, la rabbia ha prevalso sulla rassegnazione lì dove è più evidente il valore della dignità di una città. Cosa è oggi periferia e cosa rivoluzionare nelle periferie?
Il voto delle periferie è stato sicuramente provocato dalla rabbia contro l’abbandono. Insieme a questo c’è però la speranza di vedere concretizzate tutte le battaglie su cui la società civile si è impegnata in questi anni. Nei tre anni dell’amministrazione Marino le battaglie contro le più scandalose cementificazioni sono state condotte dai comitati di cittadini che hanno però avuto come interlocutori istituzionali i consiglieri capitolini e municipali dei 5 stelle. Sta in questa oggettiva convergenza il motivo profondo del successo nelle periferie.
Ora si arriva alla fase propositiva e si dovrà affrontare il tema della “riunificazione” della città. Oggi il centro storico meraviglioso ma sottoposto ad una pressione turistica insostenibile si contrappone ad una periferia immensa senza qualità e servizi degni della capitale d’Italia. Bisogna mettere fine a questo divario e portare qualità urbane, cultura, trasporti su ferro (penso alle tramvie) così da ridurre la distanza fisica e culturale che divide le due città.
Roma ha circa 10 miliardi di debito pubblico. E’ una partita che il nuovo Sindaco potrà giocare alla pari con le banche?
Certo, e questa opzione è chiaramente emersa nelle posizioni espresse dal sindaco Raggi durante la campagna elettorale. C’è poi da avviare – e anche questo è ormai patrimonio del movimento – la fase di inversione delle logiche urbanistiche che hanno portato alla formazione di quel debito insostenibile. Roma è alla bancarotta perché non ha governato il territorio ed ha accettato ogni proposta di edificazione in zone agricole sempre più lontane dal centro.
Quelle zone devono essere dotate di servizi, dai trasporti alla raccolta dei rifiuti, e questo spiega perché Atac e Ama – ruberie a parte – sono sull’orlo del fallimento. Insomma, più espandiamo la città e più aumentiamo il debito. Si tratta dunque di fare tesoro di questo fenomeno perverso e di concludere per sempre la fase della crescita urbana dissennata e senza regole.
Il problema degli sfratti a Roma è drammatico. Di cosa ha bisogno la città in termini di urbanistica e di edilizia pubblica?
La città ha bisogno di case per le famiglie che non hanno il reddito sufficiente ad accedere al “mercato”. Ha bisogno di case per i giovani che per le loro condizioni precarie non possono accedere al mutuo come le generazioni precedenti. Ha bisogno di case integrate con servizi alla persona per i tanti anziani che vivono condizioni di solitudine e di marginalità. Ha bisogno di case per gli immigrati. La città ha insomma bisogno di un intelligente progetto pubblico che ponga al primo posto le fasce sociali più deboli, analogamente a quanto fece agli inizi del secolo scorso il pensiero liberale istituendo gli istituti per le case popolari. Certo oggi quella nobile ricetta va aggiornata. Non dobbiamo costruire nuove case ma recuperare l’immenso patrimonio pubblico abbandonato da anni, penso alle caserme militari e non solo. Solo così riusciremo a inverare la prospettiva di un cambiamento profondo che sa tener conto dei ceti sociali sfavoriti che in questi anni di idolatria del mercato sono stati sacrificati.
Le Olimpiadi di Roma hanno tenuto banco durante la campagna elettorale ben più del taglio verticale dei servizi sociali. Lati positivi e negativi di un grande evento come le Olimpiadi in questa fase?
L’idea delle Olimpiadi è stata presa in un circolo ristretto di persone le quali non hanno a cuore i destini complessivi della città, del dolore che esiste nelle periferie lontane. Nelle prossime settimane si dovrà decidere se continuare a perseguire il progetto avulso dalle condizioni reali della città o se è ancora possibile riportarlo ad evento ordinario in cui la città intera si riappropria del proprio destino e cerca di utilizzare le potenzialità di quell’evento per sanare le ferite più profonde che offendono la dignità delle persone. La periferia fisica e esistenziale, come afferma spesso papa Francesco, posta al centro delle Olimpiadi sarebbe invece una straordinaria inversione culturale che favorirebbe l’inclusione sociale e la ricostruzione di un clima di fiducia.
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