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Leopardi. Religione o Istituzione? Giacomo e Monaldo Leopardi

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di Loretta Marcon

L’argomento è stato (ed è tuttora) dibattuto e perciò ho pensato (tramite le fonti) di chiarire alcuni aspetti. Vorrei qui accennare alla questione del Canonicato che nel gennaio del 1826 venne offerto a Giacomo come suo diritto di famiglia. In un primo tempo egli si dichiarò disposto ad accettarlo, perché non comportava l’obbligo di ordini sacri, ma successivamente quando Monaldo gli prospettò l’opportunità di accedere al sacerdozio, egli gli fece osservare di non sentire questa vocazione (almeno in quel momento). La famiglia Leopardi, quindi, decise di accettare il Canonicato in via provvisoria, fino alla maggiore età del minore Pierfrancesco. Ma l’autorità ecclesiastica non accettò questa soluzione e il Canonicato andò ad altri. Monaldo scrisse allora una lettera, datata Recanati 13 aprile 1835, al principe di Canosa (con il quale era in diretto rapporto poiché costui dirigeva “La Voce della Verità” cui Monaldo collaborava) in questo tono: “[…] e oggi che le mie povere fatiche sono per la Chiesa e per lo Stato, un mio figlio il quale era provveduto di un Canonicato e non ha fatto NIENTE (scritto nell’originale così e sottolineato due volte) per demeritarlo, ne è stato spogliato in termini di 24 ore facendosi al mio figlio un trattamento che non si sarebbe fatto a un figlio di Lutero se ne avesse avuti dalla sua sacrilega baldracca. Consoliamoci però che le cose dell’altro mondo non marceranno come marciano in questo…”

Risulta chiara qui la convinzione di Monaldo riguardo a Giacomo e cioè che questi conservasse in fondo all’animo la fede dell’infanzia. D’altronde Giacomo stesso aveva scritto al padre il 28.5.1832 “[…] io non sono mai stato né irreligioso né rivoluzionario di fatto né di massime…” Entriamo qui nel privato leopardiano, in quelle lettere che egli scriveva al suo “carissimo papà”, in quelle carte che tanta parte di critica considera un espediente sleale per far credere al padre che nulla era mutato in lui. Ma io non credo ad una così bassa finzione, non lo credo perché l’anima di Giacomo non sarebbe stata capace di tanta ipocrisia.

Allora potrei dire che qui si può distinguere la religione istituzionalizzata del tempo che, come abbiamo visto, suscitava perplessità persino nel cattolicissimo Monaldo e invece il credere in Dio, sia pure quel Dio minaccioso e nascosto contro il quale Giacomo imprecherà… Ma, se non c’è alcuno, perché imprecare?

Molto ci sarebbe ancora da dire, non ultimo il “problema” tuttora insoluto della date liturgiche riportate integralmente in un testo assolutamente privato qual è lo Zibaldone.

Ma questa è altra storia per altro momento…

 

 

(da: Leopardi in blog. Testi, pretesti e attualizzazioni in 100 post, prefazione di G. Trapanese, Cleup, Padova 2010.)

 

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