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Le porte della Comunità di Capodarco sono aperte ad Amedeo Mancini

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“Le porte della Comunità di Capodarco sono aperte e tutti e quindi anche ad Amedeo Mancini”, l’ultrà 39enne che si trova in carcere, indagato per l’omicidio preterintenzionale per la morte del migrante nigeriano Emmanuel Chidi Nnamdi, colpito da un pugno dopo che aveva reagito agli insulti alla sua compagna. Lo ha detto don Vinicio Albanesi, presidente della Comunità di Capodarco e della Fondazione Caritas in veritate, che aveva accolto Emmanuel e la sua compagna Chyniere, ieri sera al termine della manifestazione contro il razzismo, organizzata da sindacati e associazioni. Don Vinicio, che aveva annunciato l’intenzione di costituirsi parte civile, potrebbe andare anche a trovare Amedeo Mancini nel carcere di Marino del Tronto. E “se me lo chiederanno” potrebbe anche accoglierlo in una della varie realtà che fanno capo a Capodarco.

Bandiere a mezz’asta negli edifici pubblici, un minuto di silenzio nei luoghi di lavoro, saracinesche dei negozi chiuse per mezz’ora, e una seduta congiunta del Consiglio regionale e dei Consigli provinciale e comunale, per dire ”no” ad un razzismo strisciante che in Italia ”esiste”, ha ricordato il presidente del Consiglio regionale Antonio Mastrovincenzo, e contro il quale tutti siamo chiamati a impegnarci. A Fermo giornata di lutto cittadino in memoria di Emmanuel Chidi Nnamdi, il profugo nigeriano di 36 anni ospite con la moglie del seminario vescovile ammazzato per strada da un ultrà di destra, Amedeo Mancini, che aveva insultato la donna chiamandola ”scimmia africana”. Il sindaco Paolo Calcinaro, una settantina di associazioni e movimenti hanno organizzato una giornata di riflessione su “Integrazione, accoglienza e solidarietà”. Temi ripresi anche in una manifestazione pubblica con la partecipazione di Moni Ovadia, i Modena City Ramblers, Marlene Kuntz.

Si aggrava la posizione di Amedeo Mancini, l’ultrà di destra di 39 anni fermato per omicidio preterintenzionale con l’aggravante razzista per la morte del migrante nigeriano Emmanuel Chidi Nnamdi, colpito da un pugno e deceduto dopo un giorno di coma a Fermo. Mancini resta nel carcere di Marino del Tronto su decisione del gip Marcello Caporale che oggi non ha convalidato il fermo della Procura, perché non sussiste pericolo di fuga, ma ha disposto la custodia cautelare in carcere, perché “è altamente probabile che per l’indagato si presenterà nuovamente l’occasione di molestare o aggredire altri soggetti extracomunitari, giacché gli stessi sono presenti in modo consistente in provincia di Fermo, in particolare presso la struttura seminario arcivescovile”, la stessa che dava ospitalità a Emmanuel e alla compagna Chinyere, entrambi richiedenti asilo. Ma sulla decisione del gip pesa anche la personalità dell’ultrà, “”una personalità violenta, aggressiva, prevaricatrice, insofferente ai dettami della legge”.

 

E per di più quella di un uomo “che non ha i necessari freni inibitori per evitare, seppur provocato, un gravissimo delitto conto la persona”. Il giudice sottolinea “la gravità e odiosità del fatto” che ha poi portato alla morte di Emmanuel: dopo l’insulto (“scimmia”) rivolto a Chinyere che scatena la reazione di entrambi (lei lo colpisce con una scarpa senza tacchi) e un primo scontro con Emmanuel, Mancini “mima a mò di sberleffo la mossa della scimmia o dell’orango tango”. La ricostruzione del gip, svuota di contenuto la versione di Chinyere, secondo la quale Emmanuel sarebbe stato colpito da Mancini con il paletto mobile della segnaletica stradale. Il gip chiude la strada ad ogni possibilità di scenario di legittima difesa: il pugno mortale sarebbe stato sferrato quando Emmanuel e Mancini si erano già separati. E dopo che il nigeriano è stramazzato a terra, l’ultrà si vanta in dialetto: “come lo so’ pjiato bene, lo so’ allungato (“come l’ho preso bene, l’ho steso per terra”) mentre la compagna grida “tu razzista”. Oggi, secondo il suo difensore Francesco De Minicis, Mancini è apparso “molto provato, sincerissimo”. “E’ vero, le ho detto scimmia” ha ammesso, come per altro aveva detto subito, al gip, davanti ai pm Francesca Perlini e Mirko Monti. “Riconosce pienamente di avere responsabilità morali, ma non giudiziarie” – spiega il legale -, tanto che ha offerto al Chinyere “tutte le sue proprietà, un terzo di casa colonica e un pezzo di terra ereditato dai suoi genitori, sono a sua disposizione da domani”.

A Chinyere,  provata dal dolore e sotto choc, nessuno ha ancora parlato dell’offerta. Don Vinicio Albanesi sottolinea comunque che gli atti di buona volontà ”vanno accolti”. Oggi a Fermo giornata di lutto cittadino, con bandiere a mezz’asta, serrande abbassate per mezz’ora e la riunione congiunta dei Consigli regionale e Comunale che approveranno una mozione contro le discriminazioni. In serata manifestazione contro il razzismo organizzata da varie associazioni con Moni Ovadia e Marlene Kuntz.

Addio a Emmanuel Chadi Namdi, il 36enne nigeriano morto dopo una colluttazione con un ultrà, tra i canti e i colori della sua terra africana, l’abbraccio delle istituzioni dello Stato, il pianto straziante e inconsolabile della sua compagna Chinyere. Pieno il Duomo di Fermo: oltre alla presidente della Camera Laura Boldrini, alla ministra Maria Elena Bochi al vice presidente dell’Euroaparlamento David Sassoli e all’europarlamentare Cecile Kyenge, al presidente del Consiglio regionale delle Marche Antonio Mastrovincenzo, al sindaco Paolo Calcinaro, tanti rappresentanti delle associazioni di volontariato e di assistenza migranti, ma anche gente comune. Contro le forme barocche della chiesa, spiccano i rossi e i neri degli amici del seminario arcivescovile, con fasce rosse sulla fronte in segno di lutto come si usa in varie parti dell’Africa. Abito e fazzoleto bianco per Chinyere, la 24enne giunta in Italia con Emmanuel e a lui legata da una promessa di matrimonio. Intorno a lei le piccole Sorelle Jesu Caritas, che l’assistono e le fanno aria. Ma la tensione è troppa per la giovane donna, che sviene, proprio nel momento di scambio del segno di pace e viene portata fuori: dopo qualche minuto soccorsa in una ambulanza rientra in chiesa e rimane sino alla fine della cerimonia. Il rito è quello tradizionale per i funerali della chiesa cattolica, ma arricchito alla fine da uno spazio dedicato agli amici e ai conterranei di Emmanuel. Che prima leggono in francese e in inglese passi degli Apostoli, poi li parafrasano: “nessuno uomo nasce per sé e vive per sé, tutti viviamo in dio. E’ dio che ci ha fatto bianchi e neri, siamo di colori diversi, ma nelle nostre vene scorre lo stesso sangue”. E’ il momento più commovente che molti in chiesa seguono con le guance rigate di lacrime, fino ad un applauso finale quando i ragazzi concludono “Emmanuel poteva morire nel Mediterraneo, se è morto qui 7 mesi dopo in Italia, è la volontà di Dio. Sia fatta la volontà di Dio, che Dio vi benedica”, prima di intonare canti tradizionali con tamburi e altri strumenti esotici. Poi è la volta di un gruppo di donne dagli abiti coloratissimi, alcune sono religiose. Anche loro cantano vari inni e alla fine si lanciano in una trascinante versione di “When the saints go marchin’in” che viene intonata da tutta la gente raccolta in chiesa. Una di loro legge un messaggio del presidente della Nigeria al presidente Mattarella. Infine prende la parola don Vinicio Albanesi, affiancato da Chinyere, che piange e grida in modo ritmato. “Lei – spiega il presidente della Comunità di Capodarco – mi ha chiesto ‘dove era Dio mentre mio marito moriva? Le ho risposto che era con Emmanuel, Lui che è stato schernito, deriso, umiliato e infine crocifisso”.

Arcivescovo di Fermo, noi i disperati – “Bisogna alimentare la speranza di chi tra mille peripezie arriva tra noi. E mi dà fatidio quando sento i media definirli disperati. Ma dove? Ma quando? Semmai noi lo siamo con la nostra vita inutile e insensata”. E’ il monito dell’arcivescovo di Fermo mons. Luigi Conti, pronunciato nell’omelia durante il funerale in Duomo di Emmanuel Chidi Nnamdi, il migrante nigeriano morto dopo una colluttazione con un ultrà, a cui si era ribellato per gli insulti razzisti rivolti alla compagna. Mons. Conti riprende il monito pronunciato oggi all’Angelus dal Papa – “Dio è nel migrante che tanti vogliono cacciare” – invita a recuperare il senso delle proporzioni e l’unione della comunità. Si rivolge alla platea della politica: in chiesa ci sono la presidente della Camera Laura Boldrini, il ministro Maria Elena Boschi, il vice presidente del Parlamento Europeo David Sassoli, l’europarlamentare Cecile Kyenge, tutti lì a testimoniare solidarietà alla giovane e affranta compagna di Emmanuel e a dire no al “virus del razzismo” e alla tentazione di derubricare la morte del giovane migrante ad incidente. Il vice presidente del Senato Roberto Calderoli (Lega) cavalca la polemica auspicando che “lo Stato sia presente con la Boldrini e i ministri a ogni funerale di ogni cittadino ucciso in risse stradali o episodi di delinquenza,a prescindere dal colore della pelle o della nazionalità sia della vittima sia di chi uccide”. E a proposito di funerali dice: “Perché lo Stato non ha partecipato a quelli delle vittime della strage di Dacca”?. Analoghi argomenti da parte dell’altro vice presidente Maurizio Gasparri (Fi), che invita la presidente della Camera a essere “antirazzista sempre”. Lei però rimanda tutto al mittente: “dire scimmia a una donna non è una battuta”. Ma ora è il momento di costruire ponti: “Fermo non è una città razzista” dice Boldrini, rassicura gli italiani affermando che “non permetteremo che la nostra società sia inquinata dal razzismo” e invita tutti, in particolare “chi ha responsabilità pubbliche” a “non diffondere odio”. Mons. Conti parla al suo gregge fermano: una comunità divisa, che ha reagito con ambivalenza alla tragedia. C’è chi si è indignato e è venuto al funerale, “per testimoniare che quello che è successo è ingiusto”, c’è chi minimizza, come dimostra una conversazione colta oggi al volo nella centralissima piazza del Popolo: “è stata una giornata no” per tutti i due, cioè per Emmanuel, il migrante venuto in Italia a cercare la pace, per Amedeo Mancini, il 39enne ultrà, secondo molti con simpatie di destra, aggressivo e attaccabrighe, come se dare della scimmia ad una donna e del cornuto ad un tifoso avversario fossero la stessa cosa. Una dicotomia, che si ritrova, – ma è inevitabile – nel procedimento giudiziario: per il difensore di Mancini, lui ha agito per legittima difesa, per i rappresentanti della parte offesa (la compagna e la Fondazione Caritas in Veritate), Emmanuel è stato ammazzato a forza di botte. Se ne saprà di più con il prosieguo dell’inchiesta: domani è in programma l’udienza di convalida per Mancini. Annuncia battaglia don Vinicio Albanesi, che si è costituito parte civile per la Fondazione Caritas in veritate: “Emmanuel ha difeso la dignità della sua compagna e sulla dignità non si media”.

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