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La realtà aumentata è in mezzo a noi

Internet

Internet

Matteo Bordone

 

Una regola incontestabile dell’innovazione è quella per cui sono i prodotti, i servizi e le funzioni a dare senso alle tecnologie, e non viceversa. Da anni si parla di realtà aumentata, di quell’integrazione tra il mondo che i nostri telefoni vedono così bene, e infiniti strati di dati che con questa realtà possono intersecarsi. A parte le migliaia di articoli scritti sul tema, però, la realtà aumentata fino a pochi giorni fa è sempre stata una strada percorribile ma quasi del tutto deserta.

C’era realtà aumentata nelle applicazioni di qualche museo (punti la statua e ottieni le informazioni che la riguardano) o come opzione in altri servizi che risultavano comunque più intuitivi su una cartina a due dimensioni: se cerco un negozio, meglio sapere che strada devo fare per arrivarci, piuttosto che tenere alto il telefono come fosse una bacchetta da rabdomante e procedere verso la meta.

Tutto questo valeva fino a mercoledì scorso, quando sugli app store Android e iOs di Australia, Nuova Zelanda e Stati Uniti è apparso Pokémon Go, gioco di cui in sei giorni si sta parlando più di quanto non si sia parlato di qualsiasi altra applicazione negli ultimi anni.

Pokémon Go è figlio della collaborazione tra Niantic, Game Freak, The Pokémon Company e Nintendo. Le ultime tre sono ideatrice, editrice e studio di sviluppo dei giochi legati al mondo dei Pokémon, e sono anche legate dal punto di vista finanziario. La Niantic invece è lo studio nato dentro Google che ha sviluppato l’unico altro precedente significativo di app collettiva basata sulla geolocalizzazione e sulla realtà aumentata, cioè Ingress. In Ingress, che esiste da due anni e mezzo, si decide di che esercito fare parte, se gli illuminati in verde o la resistenza in blu, e si conquistano i punti disseminati ovunque nel mondo (sotto casa, al Taj Mahal, davanti alle poste di Trani) semplicemente andandoci: più si è meglio è, e per riconquistare i luoghi più ambiti ci si dà appuntamento in centinaia o migliaia di persone.

Una delle ragioni per cui il gioco è esploso è che non si gioca in un momento preciso, ma si è costantemente in azione

Nonostante il suo successo, Ingress esce dalla sua dimensione carbonara e si mostra a chi non lo frequenta solo in occasione di questi raduni dimostrativi, dove una città viene occupata da masse di appassionati verdi e blu. Pokémon Go parte da quel concetto ma lo rende individuale, più kawaii (”carino” in un senso piacevole per ogni genere e ogni età) e compatibile con la vita di ciascuno. Una delle ragioni per cui il gioco è esploso in maniera così dirompente è il fatto che non si giochi in un momento preciso, ma si sia costantemente in azione anche mentre si fa altro.

In Pokémon Go, per farla molto semplice, ci si muove con il proprio telefono e si cercano i Pokémon per catturarli. Più ci si sposta e più se ne trovano. L’avvicinamento si può fare con il telefono in tasca, ma quando si è vicini bisogna estrarlo e cercare gli animali inquadrandoli con la videocamera, puntandoli e colpendoli con una pallina. I Pokémon sono ovunque e rispondono alla categorizzazione del territorio: per esempio, vicino a un parco è facile trovare dei Pokémon di tipo erba, e sulle sponde di un lago ci sono le specie legate all’acqua. A fine mese la Nintendo distribuirà Pokémon Go Plus, un bracciale che vibra quando è vicino ai Pokémon rendendo la caccia più facile. Scaricare Pokémon Go e giocarci è gratuito ma, secondo lo schema tipico del freemium, si ottengono miglioramenti e si risparmia tempo spendendo delle piccole cifre.

Dopo anni di presenza esclusiva sui propri dispositivi, ragione per cui nessuno ha mai visto Mario su un telefono, la Nintendo qualche mese fa è comparsa sul mercato delle app mobili con la piattaforma sociale Miitomo. Pokémon Go è solo il secondo titolo per dispositivi mobili legato all’azienda di Kyoto, ed è per rilevanza chiaramente il gioco dell’anno. Nintendo è da sempre una società imperscrutabile nelle sue dinamiche. Spesso le sue scelte non sono chiare, a volte sembrano del tutto insensate e capita che lo siano. Ma è tipico che, soprattutto in momenti di apparente stanca, Nintendo estragga improvvisamente dal cilindro un coniglio che nessuno si aspettava di vedere.

È quello che ha fatto anni fa con la Wii e i suoi telecomandini, che ha ripetuto mettendo nel suo Ds uno schermo 3d antiquato ma capace di sopravvivere alla fine della moda del 3d, e che è ricapitato questa settimana con la realtà aumentata. In un anno in cui all’E3 di Los Angeles Nintendo ha mostrato quasi solo un nuovo capitolo della saga di Zelda, stupefacente ma senza una console hd su cui girare (visto che il WiiU si avvia al pensionamento e NX non è ancora uscita) è arrivato Pokémon Go un mercoledì d’estate, e le azioni di Nintendo sono salite del 9 per cento venerdì 8 luglio e del 24 per cento lunedì 11 luglio.

Una donna gioca a Pokémon Go a New York, l’11 luglio 2016. – Mark Kauzlarich, Reuters/Contrasto Una donna gioca a Pokémon Go a New York, l’11 luglio 2016. (Mark Kauzlarich, Reuters/Contrasto)

Quello che colpisce davvero è la penetrazione orizzontale del gioco nelle società in cui è uscito. Non solo ne parla la gente rete, ma c’è chi gira per i parchi a fare video di persone rapite da questa estasi deambulatoria. E poi ci sono le curiosità, che sembrano tanto degli “strano ma vero” a tema. A Darwin, in Australia, un posto di polizia cui è capitato di corrispondere a un luogo importante di Pokémon Go ha dovuto chiedere alla gente di giocare stando all’esterno dell’edificio.

L’altro giorno a O’Fallon (Missouri) pare che dei ladri abbiano attratto dei giocatori con l’app in un luogo isolato per derubarli comodamente. Per non parlare della ragazza che cercava un pupazzetto e ha trovato un cadavere. Oppure c’è il dipartimento dei trasporti dello stato di Washington che ha pubblicato un tweet per chiedere agli automobilisti di non “pokemonare” al volante, coniando il neologismo “pokemoning”.

Antidepressivo e stimolante

Ma soprattutto da qualche giorno sui social network compaiono testimonianze di persone affette da depressione che riescono a uscire dal letto la mattina con una facilità che non ricordavano più, e solo per il piacere di andare in giro a cercare Pokémon. Perché il connubio tra videogiochi e attività fisica è una novità: l’idea che sia un gioco a spingere le persone a uscire e passeggiare rappresenta un ribaltamento inedito di uno stereotipo che i detrattori della cultura digitale hanno sempre additato come gravissimo.

Volendo si potrebbero trovare dei punti di contatto tra questo gioco e la psicogeografia, approccio situazionista allo spazio urbano che si basa non sulla destinazione ma sulla deriva, sull’inseguimento delle suggestioni visive senza una finalità sensata. L’incontro su un tavolo anatomico di Guy Debord e Pikachu è solo uno dei risvolti piacevolmente deliranti che può prendere questo fenomeno. Va anche detto che le segnalazioni di abrasioni e slogature di chi è inciampato sui marciapiedi o caduto dallo skateboard perché aveva gli occhi sullo schermo sono già numerose.

Nelle prossime settimane e nei prossimi mesi sentiremo parlare di questo gioco come di un prodigio, un’emergenza sanitaria, una manifestazione scintillante del futuro e un segno portatile dell’apocalisse. È probabile che Pokémon Go non sia niente di tutto questo, ma entro qualche giorno uscirà anche in Europa e sarà in mezzo a noi. Prima che compaiano editoriali allarmati nelle pagine della cultura dei quotidiani, vedremo la gente fare cose insolite in giro per le città, se non saremo noi stessi a cercare animaletti da impallinare durante il tragitto tra casa e lavoro. Non è nemmeno detto che la porta della realtà aumentata che il gioco ha spalancato non si richiuda alle sue spalle. Per ora nulla si sa, insomma, e tutto s’immagina.

La realtà aumentata non è altro che uno strato che sta tra noi e il mondo. Per anni si è teorizzato che volessimo uno strato di informazioni per rendere le cose davanti ai nostri occhi più fitte e cariche di dati, ma il pubblico ha sempre rifiutato questa impostazione. Al contrario sembra divertirci molto l’idea che in quel livello intermedio ci sia della leggerezza, del gioco, dell’immaginazione pura: che come gli spiriti giapponesi o la “gente nascosta” dei miti scandinavi, esistano nello spazio intorno a noi delle creature che solitamente non vediamo, e in qualche modo abbiano qualcosa da dirci.

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