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Inchiesta. Industria bellica, ong: “Chi vende armi ai Paesi in guerra guadagna con controlli alle frontiere Ue. Anche Finmeccanica”

Il dramma dell'immigrazione

Il dramma dell’immigrazione

di Enrico Piovesana

Il rapporto “Guerre di frontiera”, promosso dalla ong olandese Stop Wapenhandel, spiega che le aziende che fanno profitti grazie alle politiche di “contrasto all’immigrazione clandestina” sono le stesse che forniscono armamenti in Medio Oriente e Africa

Le principali aziende belliche europee che vendono armi nelle aree di conflitto da cui fuggono i profughi sono le stesse che stanno traendo profitto dalla crescente militarizzazione delle frontiere dell’Unione europea, grazie alla loro potente lobby che detta la politica alla Commissione europea. Tra queste spicca l’italiana Finmeccanica-Leonardo. Lo rivela il rapporto “Guerre di frontiera. Come i produttori di armamenti traggono profitto dalla tragedia dei rifugiati in Europa”, promosso dalla Ong olandese Stop Wapenhandel e pubblicato dal Transnational Institute.

Internet

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Il rapporto, diffuso in Italia dalla Rete Italiana per il Disarmo, analizza il fiorente mercato della sicurezza delle frontiere alimentato dalle politiche europee di “contrasto all’immigrazione clandestina”. Stimato in circa 15 miliardi di euro nel 2015, questo mercato si prevede raddoppierà nel giro di pochi anni, superando i 29 miliardi di euro nel 2022. Frontex, l’agenzia europea per il controllo delle frontiere, ha visto accrescere il proprio bilancio del 3.688% tra il 2005 e il 2016, portandolo da 6,3 milioni a 238,7 milioni di euro.

Le principali aziende del settore difesa operatori nel settore della sicurezza dei confini dell’Europa sono Airbus, Finmeccanica-Leonardo, Thales, Safran e Indra. Tre di queste imprese, Airbus, Finmeccanica e Thales, sono anche tra le prime quattro aziende europee esportatrici di sistemi militari: tutte sono attive nel vendere i propri armamenti ai paesi del Medio Oriente e del Nord Africa, alimentando i conflitti che sono all’origine della fuga di intere popolazioni in cerca di rifugio. Tra il 2005 e il 2014, gli Stati membri dell’Unione europea hanno autorizzato queste e altre aziende ad esportare oltre 82 miliardi di euro di sistemi militari verso Medio Oriente e Nord Africa.

“E’ perverso e immorale – commenta Mark Akkerman, autore del rapporto e membro di Stop Wapenhandel – che le aziende che hanno contribuito ad alimentare la crisi traggano adesso profitto dal difendere i confini dell’Europa. Questo certamente garantisce la sicurezza degli amministratori delegati e degli azionisti delle imprese di armamenti, ma sta di fatto accrescendo l’insicurezza collettiva e la sofferenza per i rifugiati”.

“Mentre l’Unione europea chiude l’ingresso ai disperati che fuggono dalla guerra, spalanca le porte ai produttori di armamenti che commerciano morte e che ora presidiano i nostri confini”, denuncia Nick Buxton del Transnational Institute, co-editore del rapporto. “Per affrontare davvero la crisi dei rifugiati dobbiamo innanzitutto smettere di alimentare i conflitti e investire il denaro speso a favore delle aziende della sicurezza e della difesa per fornire un passaggio sicuro e un equo trattamento dei rifugiati”.

Il rapporto spiega che se l’industria degli armamenti sta facendo affari d’oro con l’emergenza profughi è grazie al suo potere di influenzare, se non proprio di dettare la politica europea di sicurezza delle frontiere per mezzo di un’efficace attività di pressione condotta soprattutto tramite la loro lobby ufficiale, l’Organizzazione europea per la Sicurezza (Eos) presieduta da Andrea Biraghi di Finmeccanica-Leonardo.

Il documento olandese svela in particolare come la proposta della Eos per l’istituzione di un’agenzia europea per fronteggiare per terra e per mare il crescete flusso migratorio sia stata immediatamente adottata lo scorso dicembre dalla Commissione europea, con l’annuncio della trasformazione di Frontex in una “Guardia costiera e di frontiera europea” con un budget ancor maggiore di quello attuale.

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