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Dialetto in pillole – 47. Parole loretane con la F (1)

Un po’ di voci loretane e modi di dire collegati, presenti nel glossario “Parlà loretano” (1994), di Augusto Castellani. Li ripropongo così come li ha scritti lui, magistrale interprete del dialetto della “felix civitas lauretana”; di mio ci sono solo alcune osservazioni sull’etimologia e i riferimenti letterari. Questa è una selezione; Castellani, di vocaboli, ne ha registrati assai di più e pertanto invito il curioso a procurarsi il suo volumetto.

ABBREVIAZIONI

lat. = latino / it. = italiano / arc. = arcaico / med. = medievale / fr. = francese / cfr. = confrontare / onom. = onomatopeica / volg. = volgare / rom. = romanesco / incr. = incrocio / tosc. = toscano / prov. = provenzale / ant. = antico / euf = eufemismo / mil. = milanese / ven. veneto

 

fa’/ffa’nun fa’ e nun fìcca, non fa nulla, è un fannullone – chi mal ffa’, mal pènsa, piena corrispondenza tra pensiero e azione – màle nun ffa’, paùra n’avé’, se non fai nulla di male, di che cosa puoi aver paura?; lat. volg. fàre; tra i molteplici impieghi, vedi bajòcco, buganèlla, frégna, gàtto, mbuccatóri, móscio, prìmi, ròccolo, trànci, vècchia

fàcciafàccia smitriàta, persona ribalda, sfacciata, impudente; greco mítra, benda, fascia; passato nel dialetto attraverso il toscano immetriàto, cioè che porta la mitria sul capo come si faceva ai condannati dall’inquisizione negli autodafè – fàccia de càvoli, faccia da schiaffi – fàccia dùra che ce se pò’ ciaccà’ ‘na nóce, ha una faccia tosta, quindi dura, con la quale si può schiacciare una noce; lat. facies; vedi sbriùta.

fadìga vòja de fadigà’, sàlteme addòsso …, rivolto a persona sfaticata; il motto continuava così: fadìga tu per me, ché io non pòssose ‘ncóntro chi ha ‘nventàto la fadìga …, seria, quanto vana, minaccia a chi ha osato tanto; lat. volg. fatigàre; vedi guadagnànza, barigèllo, camìgia.

fagòttoo fagòtto, ma cùsa càmpi a ffa’?, stupidotto, ma che ci fai al mondo?; fr. fagot, grosso involto di forma sconnessa, sghemba; per estensione anche persona goffa.

fantiòlenun me ffa’ venì’ le ‘fantiòle, non farmi venire le convulsioni come ai bambini; lat. infantìlis>it. pop. infantigliole. Tra i rituali più diffusi per prevenire le convulsioni c’era il così detto bottone di fuoco, una moneta rovente applicata nella parte posteriore del collo del soggetto; ciò avveniva nonostante la condanna biblica (Deuteronomio, XVIII, 10) di questa usanza di origine ebraica: Non si trovi in mezzo a te chi faccia passare per il fuoco il suo figlio o la sua figlia.

fàvaè ‘na fàva che nun se còce, è un affare che non matura, un desiderio che non si realizzerà; la fava che non si cuoce fa forse riferimento alla zuppa di fave che costituiva il sostentamento principale degli emigranti durante la lunga traversata oceanica in nave; non si cuoce forse perché manca la fonte energetica (carbone o altro); cfr. il detto nap. a nava cammina e a fava se còce; lat. fàba, come fàbula > fàvula. Le fave con i carciofi costituiscono un buon piatto della tradizione gastronomica marchigiana. Lo stesso vale per le fave in porchetta. Ai primi di novembre, nella ricorrenza dei Defunti, si facevano le fave dei morti, dolcetti di lunga durata che, in realtà, sono a base di mandorle. Racconta poi Petra Carsetti, che nella notte di san Giovanni (24 giugno) era tradizione mettere tre fave sotto il cuscino. La mattina dopo, appena sveglia, la ragazza doveva prenderne una: quella sbucciata significava marito povero, quella mezza sbucciata né povero né ricco, quella con il baccello ricco assai. Esisteva anche in campagna, comunque, la tradizione seguita sulla costa relativa alla bottiglia messa al seré, all’aria aperta, riempita a metà d’acqua dentro la quale si metteva un albume; durante la notte l’albume assumeva delle forme, che, viste al mattino, costituivano indicazioni sul futuro della ragazza.

fédegoperché te voj ruvinà’ el fédego?, perché vuoi prenderti un’ arrabbiatura, ti fa male; anche fégheto: lat. ficàtum.

fenòcchiomèjo cavàsse un òcchio, che magnà’ el vèrmine d’un fenòcchio, secondo una leggenda, il serpente in procinto di cambiare pelle, se si avvicina al finocchio vi genera un verme che, inghiottito da una persona; lat. fenùculum.

féntacamìna, fa’ fénta de gnè’, vai avanti, sbrigati, come se niente fosse, fai finta di non vederla-lo; lat. fìngere.

feréttiquéllo, se ci (av)ésse i ferétti, farìa le códe ai passerétti, è uno capace di far tutto, persino le code artificiali ai passeri, ha le mani d’oro; lat. fèrru(m) con dim.

fèro‘gnà bàtte’ el fèro finch’è càldo, non bisogna mai lasciarsi sfuggire l’occasione finchè la si può sfruttare; lat. fèrrum.

fèstete cóncio pe’ le fèste, ti bastono per bene; lat. fèsta; vedi ‘nucentì’, pàgni, cìmbulu.

fetà’se te féta, me ne dàghi uno?, riferito a qualche capo di abbigliamento (specie il cappello) per significarne la stranezza, la forma bizzarra, inusuale e di cattivo gusto; lat. fétus.

La fiacca - sito bellezza.ondenews.it

La fiacca – sito bellezza.ondenews.it

fiàccabàtte’ la fiàcca, lavorare poco, pigramente, detto di persona svogliata e sfaticata; lat. flàccus, stanco, debole.

fialùtala bràgia mandàva le fialùte, dalla brace si levavano scintille; gr. phiálē, tazza, + lat. alùta, scintilla, recipiente che contiene la fiamma.

fiamìngas’è magnàto ‘na fiamìnga de cannelló’, ha mangiato una grossa quantità di cannelloni; lat. med. flammìnghus, piatto di portata di forma oblunga, originario delle Fiandre.

fiarà’je fiàra tùtto el dediètro, le surriscalda, le brucia il sedere (forse il grande calore della fiamma nel camino); lat. flagràre, fare la fiamma>it. ant. fiara<prov. flar.

ficcàssendu’ te sî ficcàto ch’è tànto che nun te védi?, ma dove sei andato a finire ché non ti si vede più? – te sî ficcàto nt’un bell’intrìgo, ti sei cacciato in un bel guaio; lat. fìgere > lat. volg. figicàre, incalzare con forza; cfr. sp. fijar, fincar, fissare (… mandan fincar la tienda …, Cantar de Mio Cid, XII sec.)..

fiè’a fiè’, in abbondanza; forse dall’antico detto piovere fieno, usato con riferimento a qualcuno che crede di essere sapiente mentre la sua intelligenza è poco più di quella di un bue, quindi su di lui piove fieno, come sui buoi, cui se ne dà sempre in abbondanza – càccia lo vì’, tàja lo fiè’, attribuito ai veterinari (forse di Civitanova Marche, per via dell’art. lo) per dire: dammi da bere e taglia il fieno per il mio cavallo, pretesa cui i contadini non potevano certo esimersi di soddisfare; lat, fènum > lat. volg. flènum.

fiengàsseme se fiénga le gàmbe, mi si piegano le gambe (per stanchezza, debolezza etc..); fr. ant. flanc, fianco, come piegarsi su di un fianco per il dolore, la fatica.

fiézzapèttinete ‘ssa fiézza!, dai una rassettata a quella ciocca di capelli!; nel XVIII sec. con fiézza veniva indicata la matassa, più precisamente le ciocche di lana della stessa, poi immaginate come capelli; nel linguaggio marinaro della sciabica, la fiézza è una cucitura della rete.

Che Guevara - Glamourising a Mass Murderer

Che Guevara – Glamourising a Mass Murderer

fìgopàre un fìgo, sembra facile, come cogliere un fico (o forse perché il fico è pianta facile da coltivare) – fa’ el fìgo, imprigionare il pollice tra indice e medio come gesto di dileggio o scaramazia; si tratta di un gesto antichissimo riprodotto in alcuni amuleti egiziani, etruschi e romani, citato anche da Dante (Inf., XXV, 1-4), Gian Giorgio Trissino, XVI sec., (L’Italia liberata dai Goti, XII,) ed altri; oggi, nel linguaggio giovanile, vale: fare il dandy, lo snob, l’elegantone, essere azzimato, alla moda; lat. fìcus. Il fico come frutto è originario della Turchia, ma oggi è diffuso (in circa 700 specie!) in tutta l’area mediterranea.

fìjome pàri el fìjo de nisciù’, sei così trasandato, mal vestito, che sembri un povero orfanello; lat. fìlius; vedi caradòri, dònna, òca, presciolósa.

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