Nicola Lofoco Blogger
Non c’è pace per la Turchia. L’attentato di questa notte compiuto da 3 terroristi kamikaze all’aeroporto Kemal Ataturk di Istanbul ha provocato un pesantissimo bilancio (anche se provvisorio) in termine di vite umane spezzate: almeno 36 morti e oltre 147 feriti. Sebbene manchi ancora una rivendicazione ufficiale, le modalità di come sia stato letteralmente confezionato l’attentato rimandano certamente alla matrice islamica. Si tratta, quasi certamente, dell’ennesimo colpo di terrore rifilato al Paese della mezzaluna dall’Isis, ormai in piena rotta di collisione con le nuove politiche intraprese da Erdogan nei confronti della crisi siriana nell’ultimo anno. Se si riguardano bene le date della ripresa dell’attività terroristica in Turchia, ci si può accorgere facilmente che il tutto è ricominciato, in maniera durissima, il 20 Luglio 2015, quando nella città di Suruc vennero uccise 32 persone da una giovane jihadista legata allo “Stato Islamico”.
La scia di sangue è proseguita il 10 ottobre 2015 con l’attentato di Ankara costato la vita a 102 persone durante la marcia per la pace, con quello di Istanbul del 12 gennaio 2016 dove sono rimaste uccise 12 persone. E successivamente con i 28 morti provocati ad Ankara il 17 febbraio 2016. Anche a marzo non sono mancati gli attacchi: 37 morti ad Ankara provocati da un autobomba assassina il giorno 13 e altri 5 il giorno 19, uccisi a Istanbul da un attacco suicida nel cuore delle zone riservate allo shopping e alla movida. Solo nel leggere queste date, ci si rende facilmente conto che il fondamentalismo islamico ha preso di mira la Turchia nell’ultimo anno, dato che nel 2014 non vi erano stati attacchi legati all’estremismo islamico. Cosa è accaduto quindi negli ultimi mesi? Come mai l’Isis decide di riempire di terrore il sempre stupendo ed affascinante territorio turco? Forse non è un caso che, proprio dal 2015, ormai più nessuno chiede la fine del regime di Assad.
Lo stesso regime che è stato da sempre nemico dei turchi, per tante motivazioni legate alle politiche sia nazionali quanto internazionali. Chi ha quindi sempre attributo alla Turchia un ruolo di prima fila nella nascita dell’Isis ( cosa sempre smentita da Erdogan, ma su cui si potrebbe discutere molto) lo ha sempre fatto nella considerazione che il gruppo di Al Baghdadi , con la sua ferocia e le sue barbare esecuzioni mostrate in mondovisione, poteva essere uno strumento efficace contro Assad. Cosi come potevano servire a questo scopo l’appoggio ad altre fazioni jihadiste e ribelli presenti in Siria. Per questo la Turchia ha chiuso completamente gli occhi sulle sue frontiere, facendo in modo che sul suolo siriano potessero arrivare dall’esterno una marea di uomini che volevano unirsi alla lotta al regime siriano. Ma, ormai, quest’obiettivo è naufragato. Sino a quando la minaccia radicalista incarnata dall’Isis non sarà debellata per sempre, meglio tenere Assad al suo posto.
Per questo sia gli Stati Uniti quanto la Russia (con la quale è in atto un operazione di disgelo diplomatico dopo l’abbattimento sui cieli turchi di un suo Jet lo scorso mese di Novembre) hanno rimesso in riga Erdogan, costringendolo a compiere dei controlli più rigidi e seri sui suoi confini. Un evento che non poteva non lasciare Daesh indifferente, dato che si è visto chiudere la sua principale fonte di approvvigionamento dei suoi continui rinforzi umani: il confine turco. Per questo l’Isis sta colpendo duramente la Turchia, e forse continuerà a farlo ancora se il governo di Ankara non prenderà dei provvedimenti ancora più seri in materia di sicurezza. In un momento in cui Erdogan sta cercando di ripianare i rapporti diplomatici con Israele, che sono in forte crisi da 6 anni, quest’attacco giunge anche in un momento in cui è in atto una totale ridefinizione dei ruoli e degli equilibri esterni relativi alla crisi siriana. Lasciar passare chiunque ai proprio confini per andare a rimpolpare le file della ribellione contro Assad è stato un errore gravissimo. Erdogan sta raccogliendo ora le spine di questa politica, e farebbe bene ora ad intraprendere una nuova e dura lotta ai tanti jihadisti che sono ora sparsi per tutta sua nazione come in un nido di vespe. Altrimenti la mezzaluna rischia di finire per molto tempo avvolta dal terrore.
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