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Dalla scuola si vede il vuoto della politica Ogni vera classe dirigente ha messo la formazione al primo posto. Perché lì nasce l’ethos di un Paese. In Italia invece non va così. Da decenni

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di Massimo Cacciari – Espresso

Ogni classe dirigente degna di questo nome si è sempre qualificata per l’interesse primario per il processo formativo. La sua qualità non solo sta alla base dell’energia innovativa e della mobilità sociale di un Paese, ma del suo stesso ethos, nel senso più concreto e nient’affatto “moralistico” del termine: riconoscimento della propria storia, capacità di pensare un proprio, specifico destino, modalità nel rapportarsi alle altre culture.

Nulla caratterizza più profondamente la crisi della politica italiana dagli anni ’70 a oggi dei modi in cui il problema complessivo della scuola è stato affrontato o, meglio, ignorato.

La “sinistra” ha perduto proprio qui, dopo il ’68, la sua occasione storica per diventare riformista davvero. Meccanismi selettivi del corpo docente dichiaratamente anti-meritocratici, corporativismo sindacale, proliferazione campanilistica di corsi e sedi universitarie, sono stati in gran parte farina del suo sacco.

Ai clamorosi errori della politica per la scuola della “sinistra” ha risposto l’interesse zero della “destra” e dei “poteri forti” per ogni forma di impegno sul processo formativo nel suo insieme. Cultura e scuola è dove «si può tagliare» – e «tanto mio figlio lo mando a studiare in America».

Ripeto: una classe dirigente cosi “ontologicamente” ignorante sulla centralità della scuola può soltanto mandare un Paese allo sfascio. Nell’assenza di politica e impresa, il burocratese l’ha fatta da padrone, producendo leggine attraverso leggine, ordinamenti, regolamenti, norme, complicando sistematicamente gli affari più semplici, portando alla precarizzazione di massa. È legge di natura che ciò avvenga quando la direzione politica è nulla.

Sul carro del vincitore sono saliti, come è anche naturale, molti esimi professori, gratificati da incarichi di sotto-potere, consulenze, amicizie ministeriali, attraverso i quali determinare criteri di valutazione, offerte didattiche, meccanismi concorsuali. Burocrati e cultori di astratti metodologismi, le inamovibili potenze dei ministeri romani e gli scientifici inventori di calcoli per ridurre urbi et orbi a numero qualità e produttività di didattica e ricerca, si sono dati appassionatamente la mano. Senza un disegno complessivo, senza un fine. Senza che mai si aprisse la discussione sul valore che, oggi, in questo Paese, vogliamo attribuire alla scuola.

E ai suoi docenti, che la mandano avanti tra difficoltà inenarrabili, la prima delle quali è certamente la mancanza di ogni riconoscimento del loro ruolo. Le forme di selezione della classe docente sono cambiate di continuo, nella confusione più totale. L’unica cosa immodificabile sono le condizioni economiche in cui essa dovrebbe non solo impegnarsi al massimo nella sua missione educativa, ma continuare a leggere, aggiornarsi, partecipare attivamente al confronto culturale. Potrà mai una classe politica detenere oltre che un fuggevole potere, anche vera autorità, senza un vitale rapporto con chi è chiamato a formare i giovani? La storia direbbe di no – ma noi siamo creativi anche in questo.

Per coprire il proprio vuoto progettuale, la politica inventa, allora, la leggenda della “neutralità”, di una “tecnica” formativa non condizionata da scelte di “valore”. Non esiste, invece, scuola “neutrale”. Un processo formativo funziona se è guidato da un’idea di quello che un popolo, un Paese vuole essere. Non esiste scuola come mera trasmissione di saperi. Una vera scuola non “informa”, ma comunica un futuro. L’educazione diviene una praticaccia se non esprime una “causa finale”. La scuola anarchico-burocratica che abbiamo “costruito” da due generazioni in qua un’idea, tuttavia, la esprime, coerente alla propria natura: l’assoluto centralismo. Tutto a piramide, da centro a centro: dall’Alto Dirigente di Viale Trastevere adesso anche al Preside. E gli altri a “partecipare”, perché altrimenti che democrazia è?

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