Il presidente del Consiglio Matteo Renzi non è mai stato nominato durante la presentazione del libro di Salvatore Settis Costituzione! Perchè attuarla è meglio che cambiarla. Ma per un’ora l’autore, affiancato dal cosituzionalista Gustavo Zagrebelsky, ha duramente attaccato il progetto «arbitrario» di metamorfosi della carta costituzionale, per il quale è stato promosso il referendum di ottobre.
Al termine del dibattito l’affondo di Zagrebelsky circa l’inopportunità o addirittura l’incostituzionalità del pressing politico che sta facendo Renzi circa l’esito di questo referendum. Questa sorta di «Après nous le deluge» secondo Zagrebelsky impedirà che lo stesso referendum «possa svolgersi democraticamente». E ha aggiunto: «Chiederei volentieri al Presidente della Repubblica di ricordare al capo del governo che ha la fiducia delle Camere e non può legare la sua sorte all’esito di questa consultazione popolare alimentando un clima di paura. Proprio ai sensi dell’articolo 54 della Costituzione lui deve continuare a svolgere la propria carica con competenza, onore e responsabilità». Applausi da far tremare la Sala dei 500 del Lingotto.
IL DOCUMENTO DEI 56 COSTITUZIONALISTI SULLA RIFORMA COSTITUZIONALE. ECCO PERCHÉ DIRE ‘NO’
Siamo anzitutto preoccupati per il fatto che il testo della riforma – ascritto ad una iniziativa del Governo – si presenti ora come risultato raggiunto da una maggioranza (peraltro variabile e ondeggiante) prevalsa nel voto parlamentare (“abbiamo i numeri”) anziché come frutto di un consenso maturato fra le forze politiche; e che ora addirittura la sua approvazione referendaria sia presentata agli elettori come decisione determinante ai fini della permanenza o meno in carica di un Governo. La Costituzione, e così la sua riforma, sono e debbono essere patrimonio comune il più possibile condiviso, non espressione di un indirizzo di governo e risultato del prevalere contingente di alcune forze politiche su altre. La Costituzione non è una legge qualsiasi, che persegue obiettivi politici contingenti, legittimamente voluti dalla maggioranza del momento, ma esprime le basi comuni della convivenza civile e politica. E’ indubbiamente un prodotto “politico”, ma non della politica contingente, basata sullo scontro senza quartiere fra maggioranza e opposizioni del momento. Ecco perché anche il modo in cui si giunge ad una riforma investe la stessa “credibilità” della Carta costituzionale e quindi la sua efficacia. Già nel 2001 la riforma del titolo V, approvata in Parlamento con una ristretta maggioranza, e pur avallata dal successivo referendum, è stato un errore da molte parti riconosciuto, e si è dimostrata più fonte di conflitti che di reale miglioramento delle istituzioni.
Nel merito, riteniamo che l’obiettivo, pur largamente condiviso e condivisibile, di un superamento del cosiddetto bicameralismo perfetto (al quale peraltro sarebbe improprio addebitare la causa principale delle disfunzioni osservate nel nostro sistema istituzionale), e dell’attribuzione alla sola Camera dei deputati del compito di dare o revocare la fiducia al Governo, sia stato perseguito in modo incoerente e sbagliato. Invece di dare vita ad una seconda Camera che sia reale espressione delle istituzioni regionali, dotata dei poteri necessari per realizzare un vero dialogo e confronto fra rappresentanza nazionale e rappresentanze regionali sui temi che le coinvolgono, si è configurato un Senato estremamente indebolito, privo delle funzioni essenziali per realizzare un vero regionalismo cooperativo: esso non avrebbe infatti poteri effettivi nell’approvazione di molte delle leggi più rilevanti per l’assetto regionalistico, né funzioni che ne facciano un valido strumento di concertazione fra Stato e Regioni. In esso non si esprimerebbero le Regioni in quanto tali, ma rappresentanze locali inevitabilmente articolate in base ad appartenenze politico-partitiche (alcuni
consiglieri regionali eletti – con modalità rinviate peraltro in parte alla legge ordinaria – anche come senatori, che sommerebbero i due ruoli, e in Senato voterebbero ciascuno secondo scelte individuali). Ciò peraltro senza nemmeno riequilibrare dal punto di vista numerico le componenti del Parlamento in seduta comune, che è chiamato ad eleggere organi di garanzia come il Presidente della Repubblica e una parte dell’organo di governo della magistratura: così che queste delicate scelte rischierebbero di ricadere anch’esse nella sfera di influenza dominante del Governo attraverso il controllo della propria maggioranza, specie se il sistema di elezione della Camera fosse improntato (come lo è secondo la legge da poco approvata) a un forte effetto maggioritario.
Ulteriore effetto secondario negativo di questa riforma del bicameralismo appare la configurazione di una pluralità di procedimenti legislativi differenziati a seconda delle diverse modalità di intervento del nuovo Senato (leggi bicamerali, leggi monocamerali ma con possibilità di emendamenti da parte del Senato, differenziate a seconda che tali emendamenti possano essere respinti dalla Camera a maggioranza semplice o a maggioranza assoluta), con rischi di incertezze e conflitti.
L’assetto regionale della Repubblica uscirebbe da questa riforma fortemente indebolito attraverso un riparto di competenze che alle Regioni toglierebbe quasi ogni spazio di competenza legislativa, facendone organismi privi di reale autonomia, e senza garantire adeguatamente i loro poteri e le loro responsabilità anche sul piano finanziario e fiscale (mentre si lascia intatto l’ordinamento delle sole Regioni speciali). Il dichiarato intento di ridurre il contenzioso fra Stato e Regioni viene contraddetto perché non si è preso atto che le radici del contenzioso medesimo non si trovano nei criteri di ripartizione delle competenze per materia – che non possono mai essere separate con un taglio netto – ma piuttosto nella mancanza di una coerente legislazione statale di attuazione: senza dire che il progetto da un lato pretende di eliminare le competenze concorrenti, dall’altro definisce in molte materie una competenza “esclusiva” dello Stato riferita però, ambiguamente, alle sole “disposizioni generali e comuni”. Si è rinunciato a costruire strumenti efficienti di cooperazione fra centro e periferia. Invece di limitarsi a correggere alcuni specifici errori della riforma del 2001, promuovendone una migliore attuazione, il nuovo progetto tende sostanzialmente, a soli quindici anni di distanza, a rovesciarne l’impostazione, assumendo obiettivi non solo diversi ma opposti a quelli allora perseguiti di rafforzamento del sistema delle autonomie.
Il progetto è mosso anche dal dichiarato intento (espresso addirittura nel titolo della legge) di contenere i costi di funzionamento delle istituzioni. Ma il buon funzionamento delle istituzioni non
è prima di tutto un problema di costi legati al numero di persone investite di cariche pubbliche (costi sui quali invece è giusto intervenire, come solo in parte si è fatto finora, attraverso la legislazione ordinaria), bensì di equilibrio fra organi diversi, e di potenziamento, non di indebolimento, delle rappresentanze elettive. Limitare il numero di senatori a meno di un sesto di quello dei deputati; sopprimere tutte le Province, anche nelle Regioni più grandi, e costruire le Città metropolitane come enti eletti in secondo grado, anziché rivedere e razionalizzare le dimensioni territoriali di tutti gli enti in cui si articola la Repubblica; non prevedere i modi in cui garantire sedi di necessario confronto fra istituzioni politiche e rappresentanze sociali dopo la soppressione del CNEL: questi non sono modi adeguati per garantire la ricchezza e la vitalità del tessuto democratico del paese, e sembrano invece un modo per strizzare l’occhio alle posizioni tese a sfiduciare le forme della politica intesa come luogo di partecipazione dei cittadini all’esercizio dei poteri.
DI SEGUITO TUTTI I FIRMATARI: Francesco AMIRANTE Magistrato Vittorio ANGIOLINI Universita’ di Milano Statale Luca ANTONINI Universita’ di Padova Antonio BALDASSARRE Universita’ LUISS di Roma Sergio BARTOLE Universita’ di Trieste Ernesto BETTINELLI Universita’ di Pavia Franco BILE Magistrato Paolo CARETTI Universita’ di Firenze Lorenza CARLASSARE Universita’ di Padova Francesco Paolo CASAVOLA Universita’ di Napoli Federico II Enzo CHELI Universita’ di Firenze Riccardo CHIEPPA Magistrato Cecilia CORSI Universita’ di Firenze Antonio D’ANDREA Universita’ di Brescia Ugo DE SIERVO Universita’ di Firenze Mario DOGLIANI Universita’ di Torino Gianmaria FLICK Universita’ LUISS di Roma Franco GALLO Universita’ LUISS di Roma Silvio GAMBINO Universita’ della Calabria Mario GORLANI Universita’ di Brescia
Stefano GRASSI Universita’ di Firenze Enrico GROSSO Universita’ di Torino Riccardo GUASTINI Universita’ di Genova Giovanni GUIGLIA Universita’ di Verona Fulco LANCHESTER Universita’ di Roma La Sapienza Sergio LARICCIA Universita’ di Roma La Sapienza Donatella LOPRIENO Universita’ della Calabria Joerg LUTHER Universita’ Piemonte orientale Paolo MADDALENA Magistrato Maurizio MALO Universita’ di Padova Andrea MANZELLA Universita’ LUISS di Roma Anna MARZANATI Universita’ di Milano Bicocca Luigi MAZZELLA Avvocato dello Stato Alessandro MAZZITELLI Universita’ della Calabria Stefano MERLINI Universita’ di Firenze Costantino MURGIA Universita’ di Cagliari Guido NEPPI MODONA Universita’ di Torino Walter NOCITO Universita’ della Calabria Valerio ONIDA Universita’ di Milano Statale Saulle PANIZZA Universita’ di Pisa Maurizio PEDRAZZA GORLERO Universita’ di Verona Barbara PEZZINI Universita’ di Bergamo Alfonso QUARANTA Magistrato Saverio REGASTO Universita’ di Brescia Giancarlo ROLLA Universita’ di Genova Roberto ROMBOLI Universita’ di Pisa Claudio ROSSANO Universita’ di Roma La Sapienza Fernando SANTOSUOSSO Magistrato Giovanni TARLI BARBIERI Universita’ di Firenze Roberto TONIATTI Universita’ di Trento Romano VACCARELLA Universita’ di Roma La Sapienza Filippo VARI Universita’ Europea di Roma Luigi VENTURA Universita’ di Catanzaro Maria Paola VIVIANI SCHLEIN Universita’ dell’Insubria Roberto ZACCARIA Universita’ di Firenze Gustavo ZAGREBELSKY Universita’ di Torino
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