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Porto Recanati Amministrative. Programmi e Lobby

 

Foto tratta da internet

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Conclusa la presentazione delle varie liste con i relativi programmi, ad una generica lettura, abbiamo  trovato  delle linee di programma  che rappresentano, in maniera innegabile, interessi di gruppi di pressione.

Per Lobby si intende un gruppo di pressione (in lingua inglese lobby), cioè un gruppo organizzato di persone che cerca di influenzare dall’esterno le istituzioni per favorire particolari interessi, la cui influenza può far leva su elementi immateriali, come il prestigio di cui il gruppo gode, o su elementi materiali, come il denaro di cui dispone.

Alcuni di questi temi interessano sicuramente anche gli elettori che non appartengono a questi gruppi di pressione.

Un tema poco trattato nelle varie dichiarazioni pubbliche è, per esempio, la direttiva Bolkestein per le concessioni balneari. Tema che risulta ad oggi rimandato dal governo centrale.
La comunità europea, citata spesso nei dibattiti pubblici e dichiarazioni per i finanziamenti,richiama il governo centrale per le proroghe delle concessioni accordate agli stabilimenti, finite ora sotto la lente di osservazione della Corte di giustizia europea di Strasburgo e caldeggia l’indizione delle aste. Questo significa che siamo andati in procedura d’infrazione e ora abbiamo l’emergenza. Questo grazie alla mancanza di cura del governo del territorio demaniale, che è un bene indisponibile dello Stato che deve essere dato in concessioni brevi, onerose e senza speculazione edilizia.

Nella lotta che oppone, da ormai un decennio, i titolari degli stabilimenti turistico-balenari alla direttiva delle liberalizzazioni Bolkestein, è sicuramente interessante avere una dichiarazione in merito dei vari partiti e movimenti per vedere se stanno dalla parte dell’Europa o invece pongono dei distinguo e vedere le motivazioni.

Infatti, a rigore di logica economica, per un amministratore  è bene che si vada a gara perché si possono incrementare i servizi e la possibilità di uso del territorio, perché oggi vediamo che le spiagge possono essere utilizzate tutto l’anno coi cambiamenti climatici e, quindi, potenziare un settore turistico che da solo dà il 6% del Pil e potrebbe dare tantissimo lavoro oltre a rimpinguare le esauste casse delle amministrazioni locali.

Un altro punto, che non viene trattato ma complementare, è la porzione delle spiagge libere, che in Italia dovrebbero ammontare al 20% dei litorali. Direttiva sempre più disattesa a livello locale e si vede sempre mangiare territorio demaniale e renderlo a profitto.

 

Foto tratta da internet

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Concessioni sulle spiagge, governo studia lo stop alle deroghe. Balneari in rivolta

di Francesco Sanna
Un ddl a firma del sottosegretario Sandro Gozi prevede che le nuove aste di aggiudicazione siano anticipate dal 2020 al 2017, per mettere fine a una situazione in conflitto con la direttiva Bolkestein. Roma è già stata censurata dalla Ue attraverso una procedura di infrazione, poi chiusa. Ma il Tar Lombardia ha investito di nuovo della questione la Corte di giustizia del Lussemburgo. Intanto la lobby dei concessionari si mobilita

Il governo Renzi ha mancato l’appuntamento per “il riordino complessivo della materia delle concessioni demaniali marittime e dei canoni demaniali” previsto per il 15 ottobre dalla legge di Stabilità 2014. Un ritardo che sembra destinato ad aggravarsi, se si considera che per ora non esistono note ufficiali dell’esecutivo sull’argomento. Tuttavia hanno iniziato a circolare anteprime di un disegno di legge risolutivo a firma Sandro Gozi (Pd), sottosegretario alla presidenza del Consiglio con deleghe alle Politiche e affari europei, supportato dal ministro Maria Carmela Lanzetta. Il testo, stando a indiscrezioni, prevede la conclusione anticipata delle concessioni demaniali in essere, nel 2017 anziché nel 2020, e il riaffidamento tramite gare sulle quali non graverebbe quel diritto d’opzione per i concessionari uscenti inviso alla Ue. La lobby dei balneari è già sul piede di guerra. Il 2 ottobre Fiba Confesercenti, Oasi Confartigianato, Assobalneari Confidustria, Coordinamento Cna Balneatori e Sib Confcommercio avevano pubblicato una richiesta di incontro inviata alla Lanzetta (Affari regionali) nella quale esprimevano la “fortissima e crescente preoccupazione delle 30.000 aziende che operano in regime di concessione” e manifestavano perplessità per aver dovuto “dedurre” che l’argomento sia “tornato nelle specifiche competenze” degli Affari regionali. Il riferimento era forse al fatto che nel luglio scorso è stata Francesca Barracciu, sottosegretario ai Beni culturali e turismo, ad accogliere per il governo un ordine del giorno alla Camera vicino alle tesi dei concessionari, a firma Benamati (PD), Abrignani (Forza Italia) e Pizzolante (NCD). Nell’occasione il governo ha preso l’impegno di regolare definitivamente il tema delle concessioni demaniali marittime promettendo di “garantire la coerenza con le specificità nazionali della disciplina europea del turismo balneare”, ovvero riconoscendo come legittimi i diritti acquisiti – d’opzione e di superficie – rivendicati dagli attuali concessionari. Che l’Ue non ammette, in forza della Direttiva 123/2006 nota come “Bolkestein”.

Il Tar lombardo risveglia la Ue – La storia, come già raccontato da ilfattoquotidiano.it, ha del paradossale. Attualmente 30mila imprese balneari italiane operano su arenile del demanio in regime di proroga delle concessioni di cui godono fino al 31 dicembre 2020, in contravvenzione alla direttiva, grazie a un articolo inserito in extremis nel decreto legge “Crescita 2.0” e pubblicato in Gazzetta ufficiale il 18 dicembre 2012. L’Italia era appena uscita dalla procedura d’infrazione proprio grazie all’approvazione di un decreto in cui stabiliva che a fine 2012 scadessero tutte le concessioni attive. Appena il tempo di evitare un richiamo formale, però, e arrivò l’articolo 34-duodiecies che sancì la proroga per altri 8 anni. Finora l’Unione Europea non se n’è accorta e tutto procede come da copione, ma qualcuno è andato a stuzzicarla a proposito. Si tratta del Tar Lombardia Milano, Sezione quarta, che nella sua sentenza numero 2401 del 26 settembre ha “rimesso alla Corte di Giustizia dell’Ue” la questione pregiudiziale della “compatibilità con la normativa comunitaria delle disposizioni nazionali”. Il Tribunale amministrativo si era trovato a dover valutare il ricorso di un’impresa concessionaria di un’area demaniale extraportuale nel Comune di San Felice del Benaco (BR). L’impresa aveva citato il consorzio dei Comuni della Sponda Bresciana del Lago di Garda, che non aveva prorogato la concessione, avviando una gara che non tutelava il concessionario uscente rispetto agli altri concorrenti. Il consorzio si era avvalso di una delibera della Giunta regionale lombarda dove si legge che “le concessioni demaniali possono essere rilasciate a seguito di apposita procedura di selezione comparativa ispirata ai principi di libera circolazione dei servizi”, senza quindi prevedere alcun regime transitorio o forme di tutela degli intestatari. L’impresa chiedeva l’annullamento sia del provvedimento con cui veniva negato il rinnovo automatico della concessione (quindi la proroga) sia della delibera regionale. Il Tar, davanti all’incongruenza tra diritto comunitario (concessioni a termine e gare senza tutela del concessionario uscente) e prassi nazionale (proroghe), ha alzato bandiera bianca e rinviato il tutto alla Corte dell’Unione Europea, che molto probabilmente rileverà l’illegittimità della prassi nazionale e solleciterà una nuova procedura di infrazione per l’Italia. A meno che l’Italia non corra ai ripari per tempo.

La lobby si muove per ottenere leggi ad hoc – Intanto i concessionari, coscienti della precarietà di questa condizione illegittima sul piano del diritto comunitario, si stanno tutelando: hanno iniziato a richiedere all’Autorità competente di mettere il timbro “prorogato fino al 31 dicembre 2020” sulla concessione in essere, per potersi rivalere in sede giudiziaria sullo Stato nel caso il quadro normativo nazionale torni nei paletti fissati dalla Ue. Inoltre hanno ottenuto attenzione trasversale da molti gruppi parlamentari. Di cui resta traccia in due proposte di legge presentate alla Camera: la 2142 (firmata Ncd) e la 2431 (FI). Entrambe definiscono le imprese balneari concessionarie come “importante, se non addirittura vitale per alcuni territori, realtà socio-economica e di sviluppo” e sostengono che svolgono “una vera e propria missione al servizio delle comunità nelle quali operano”. Per questo i firmatari propongono di assicurare “il passaggio dal demanio al patrimonio dello Stato delle sole aree dove insistono i manufatti e le proprietà immobiliari degli stabilimenti balneari, con l’obiettivo di assegnarle con diritto di superficie, con opzione per i concessionari attuali”. Vale a dire riconoscere al concessionario il diritto di prelazione sull’area in cui ha sviluppato la sua attività e la possibilità, in caso di mancata vittoria della gara di aggiudicazione, di vedere valorizzate costruzioni realizzate in modo illegittimo. Un’evidente violazione del Codice della navigazione, che impone ai concessionari il ripristino delle condizioni in cui hanno ricevuto il bene demaniale al momento della fine della concessione, a spese loro ed entro tempi rapidi. Insomma: hai costruito un immobile sulla spiaggia per metterci un bar? Se perdi la concessione dell’area lo devi abbattere. Ma la semplicità del ragionamento diviene complessa nella realtà italiana, se si calcola che molti concessionari hanno addirittura ricevuto licenze edilizie dai Comuni a cui fanno capo le aree demaniali a loro affidate.

Se passa la linea di Fi rischio svendita delle spiagge – Per ovviare a questo problema, la proposta di legge promossa da Forza Italia (Abrignani, Brunetta, Bergamini, Laconico) arriva addirittura a “ridefinire il perimetro delle aree comprese nell’ambito del demanio marittimo, oggetto di concessione per lo svolgimento di attività con finalità turistico-ricreative già valorizzate, escludendole, mediante un apposito decreto, dal demanio marittimo in quanto non più destinate agli usi pubblici del mare”. Tali aree sarebbero di conseguenza “cedute con riconoscimento a favore del concessionario attuale, mediante diritto di opzione, nonché attraverso il diritto di prelazione nel caso di vendita a un prezzo inferiore a quello di esercizio dell’opzione medesima”. Se questa linea fosse raccolta dal testo Gozi-Lanzetta, non solo l’Italia entrerebbe in rotta di collisione con la normativa europea, ma finirebbe per svendere ai privati le spiagge.

 

3 commenti a Porto Recanati Amministrative. Programmi e Lobby

  • attilio

    il giorno 27 la lista Città Mia farà un incontro con la città e i vari operatori turistici sulla Bolkestein, saranno presenti Assessori regionali e il candidato Sindaco Giovanni Giri

  • italia nostra marche

    A proposito di lobby

  • Sira Feliciotti

    Io credo che il senso dell’appartenenza scaturisca da una relazione consapevole con il luogo in cui si abita e non da un semplice legame biologico, di nascita. La consapevolezza porta con sé a riconoscere il valore dell’eredità ricevuta dal passato, mantenendo qualcosa di ciò che non esiste più, ma che dal ricordo può essere riattivato. Qui, c’è ancora qualcosa di presente, che però rende visibile un’assenza; qualcosa di contemporaneo che segnali innanzi tutto il suo essere passato? Porto Recanati è stato svuotato di quanto, ai nostri occhi, ne fa un luogo di memoria. Un luogo privo di contrassegni figurali ha però un’identità debole e l’orientamento e l’identificazione diventano difficili. Infatti la memoria è anche il presupposto dell’orientamento e svolge una funzione essenziale nell’identificazione di qualsiasi luogo. Ogni luogo possiede la sua peculiare identità ed è compito dell’uomo comprenderla e averne cura. La fisionomia del nostro paese, invece, che lo distingueva da tutti gli altri paesaggi costieri, è stata alterata in un devastante processo di omologazione, sradicamento e delocalizzazione.
    Se esistono appartenenza e identificazione, e queste si manifestano in modo intelligibile, allora esiste il luogo, altrimenti è un non-luogo. In questo caso, è impossibile riconoscere valori di appartenenza in una comunità che ha svenduto e abbruttito la “terra natia” per insipienza o poco lungimirante calcolo economico.

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