di Giampiero Venturi – da Difesa Online (20/05/16)
L’Albania cambia, l’Albania è già cambiata. L’Albania soprattutto continua a cambiare in un modo che sfugge a molti, a noi italiani per primi.
Non c’è bisogno di particolari scienze. Basta fare un giro al centro di Tirana tra i palazzi costruiti da noi e la pedonale ciottolosa Murat Toptani. Basta fermarsi e prendere un caffè o un raki tra la gente che passa, sempre la stessa ma ogni giorno diversa da quello prima.
A un passo c’è piazza Skanderbeg, con la statua equestre identica a quella di piazza Albania a Roma, in un angolo dimenticato dell’Aventino. L’eroe nazionale e paladino della cristianità albanese, come tutti i simboli nazionali dei paesi ex comunisti fu riesumato alla fine del regime del “Compagno Supremo” Hoxa e messo in piazza proprio al suo posto.
Ora per il luogo più centrale della capitale è previsto un altro restyling finanziato questa volta da un prestito del Kuwait. Abituato ad una vita dura, Skanderbeg a Tirana non trova pace nemmeno sotto forma di statua. E ancora una volta la ragione è politica. Piazzato così nel cuore della città oggi è un richiamo troppo forte al risentimento storico che gli albanesi nutrono per la Turchia in un momento in cui il vento della geopolitica spinge invece a mettere in luce il legame fra i due Paesi.
Un legame che nonostante la feroce repressione dei secoli passati, indubbiamente c’è. Le attiguità fra Ottomani e albanesi sono testimoniate dagli usi, dai costumi, ma soprattutto da quel 40% di popolazione musulmana (la più alta in Europa) testimone dell’eredità più evidente di una colonizzazione concausa di infinite divisioni per cui sono proverbiali i Balcani.
I cristianissimi serbi non a caso chiamano “turchi” gli albanesi (ovviamente anche quelli del Kosovo) e confinano in questa accezione un odio etnico e culturale iniziato a fine 1300. Indicare il nemico di oggi col nome del nemico di sempre, equivale ad assegnare una parentela con cui l’Albania, anche se recalcitrante, deve in qualche modo fare i conti.
Poco da fare, tutto va in quella direzione. Più di tutti si vede negli investimenti che Ankara fa a mani basse a Tirana e dintorni: la Telecom albanese dal 2007 è proprietà di un consorzio in cuiTürk Telekomunikasyon e una holding arabo-turca hanno la maggioranza.
Ancora più eloquente il TAP (il Trans Adriatic Pipeline), il progetto del gasdotto che porterà gas in Europa dal Mar Caspio attraverso la Turchia e quindi l’Albania. L’importanza strategica di Tirana per la Turchia e per Bruxelles (quindi per l’America…) in funzione antirussa, viene da sé.
L’Albania prende soldi turchi e si piega quindi ai venti politici e culturali conseguenti. Con l’ingresso nella NATO nel 2009 i tavoli d’incontro con Ankara sono aumentati. Aumentati al punto che la nuova grande moschea nella capitale albanese è finanziata guarda caso con le lire… Avrà minareti alti 50 metri e ospiterà un importante centro culturale. La sfumatura con scuola coranica, non è mai chiara…
Da più di un anno parliamo su questa rubrica dell’islamizzazione della Turchia. Se il qeleshe albanese somiglia sempre di più alfez turco, le conseguenze non sono difficili da capire.
Il ritorno degli Ottomani nei Balcani, aiutato dagli Stati Uniti da metà anni ’90, sventola con la mezzaluna anche sul ponte di Mostar in Bosnia ricostruito coi soldi di Ankara. Il sapore è lo stesso dell’Albania. In un’intera regione contesa da secoli si ha la sensazione di una terra ogni giorno più vicina all’Islam.
Tra un caffè e un raki allora, forse l’occhio sui passanti di Murat Toptani va buttato meglio. Facendo più attenzione in effetti, le donne con i veli islamici sono sempre più numerose. A Tirana il 70% della gente è di fede musulmana. Sì, non c’è dubbio, sono più di ieri…
L’Albania allora si sta islamizzando?
La contrazione dei cattolici dal 19 al 13% della popolazione in soli 6 anni (dati 2005-1999) la dice lunga. I minareti stilizzati del monumento all’amicizia a Tirana parlano altrettanto chiaro.
Ma la città per quanto il fenomeno sia percettibile, lascia il tempo che trova. È tra i katunari, i contadini delle aree remote, che si vede la differenza. Zall Bastar, villaggio di quattro anime perso nelle valli a nordest di Tirana, si arriva solo col fuoristrada. Dall’alto e da lontano si nota una moschea all’ingresso e tre minareti che spuntano dentro. L’offerta supera la domanda. Stranezze balcaniche…
Le zone musulmane sono distribuite a macchia di leopardo. Difficile capire, difficile orientarsi. L’Albania è un crocicchio di montagne ferme e scure, sorelle di quelle più a nord dove tra fiumi epici e slavi sanguigni, scorre odio da secoli. Croce e mezzaluna qui sono di ferro: tagliente come spade o arrugginito come lamiere abbandonate; dipende dai periodi.
Eppure stavolta la mezzaluna gioca pesante. Dalla fine del comunismo si è inserita in un vuoto di riferimenti che qualcuno si è sbrigato a rimepire.
Fosse solo per “mamma li turchi” sarebbe poco. L’aeroporto di Kukes, donazione degli Emirati Arabi Uniti, è denominato ufficialmente Sheikh Zayed bin Sultan bin Zayed Al Nahyan.
Gli arabi come i turchi fanno man bassa. Qatar Holding è dietro a metà delle nuove grandi opere programmate per i prossimi anni. Albanian Qatar Foundation ha aperto i battenti nel 2002 e con la sua sede a Tirana sovraintende al progressivo ingresso del mondo arabo nel Paese.
Piovono soldi e i finanziamenti hanno tutti un interesse. L’ex Albania rossa sta diventando verde Islam, come è stato per il Kosovo e come capita ogni giorno di più in Bosnia. Gli americani lasciano fare, anzi soffiano sul fuoco. Fa parte del gioco. Tutto è successo in meno di 20 anni. Tempo di digerire la fine de comunismo è un altro ordine balcanico si è rimesso in marcia.
Salutiamo l’Albania lasciandoci sulla destra Shijak, appena lasciata Durazzo, sulla strada per Tirana. Il centro islamico di qui è importante e fa scuola, in tutti i sensi…
Noi che ci mettiamo? Noi in senso stretto, noi italiani. Qui eravamo i benvenuti, i meno peggio, i cugini ricchi che quando c’è il vento buono si vede la Puglia… La nostra storia, la nostra cultura, la nostra croce così importanti come regolatori delle febbri balcaniche, dall’altra parte dell’Adriatico non ci sono proprio arrivate. Sono colate a picco con la nostra saccente cialtroneria.
Adesso ci sono gli altri che in questo Paradiso acerbo, ci fanno affari d’oro. Ci sono gli altri che in cambio di una lira, impongono una mezzaluna…
Un grazie particolare a Umberto, spalla a spalla in viaggi di ogni tipo.
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