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Referendum Trivelle. Matteo Renzi sfoggia la vittoria, ma il vero appuntamento è a ottobre senza quorum

Referendum Trivelle, dato provincia di Macerata (HuffingtonPost)

Referendum Trivelle, dato provincia di Macerata (HuffingtonPost)

di Alessandro De Angelis – da HuffingtonPost

Quando alle 23,18 Matteo Renzi si presenta davanti alle telecamere a Palazzo Chigi la vittoria, oggettiva, diventa sfoggio – di forza – con un’enfasi pari alla preoccupazione (e al nervosismo) trapelata alla vigilia: “Il governo non si annovera nella categoria dei vincitori ma crede che i vincitori siano gli operai e gli ingegneri che domani torneranno alle loro piattaforme sapendo di aver conservato il posto di lavoro. È per loro che ho invitato all’astensione. Levo il calice con quelle oltre diecimila persone che hanno conservato il posto di lavoro”. Il premier rivendica una vittoria netta, critica la “demagogia” di chi “ha voluto cavalcare il referendum per esigenze personali”, rivendica l’invito all’astensione. Poi il messaggio che va ben oltre le trivelle: “I grandi esperti hanno teorizzato spallate, hanno ipotizzato crolli. Una parte della classe dirigente di questo Paese si dimostra autoreferenziale. Vivono su Twitter, su Facebook”.

Ecco, il premier sente di aver scavallato l’ostacolo: il partito della “spallata” ha perso. I numeri lo dicono senza margine di dubbio. Il quorum non è stato raggiunto, con la soglia dei votanti che si è attestata al 32 per cento. E il premier, evocando la spallata, proietta la vittoria nell’ambito di quella corsa che terminerà col referendum di ottobre, passando per il voto delle amministrative. Insomma, sente e comunque vuole trasmettere il messaggio che chi aveva fatto di questo referendum una battaglia per logorarlo ha perso e che il dato odierno lo mette in una posizione di forza in vista, soprattutto, della madre di tutte le battaglie, il referendum di ottobre.

Più di un commentatore presente nei tanto criticati salotti tv, al termine dell’intervento del premier, coglie nella mimica e nel linguaggio del corpo, talvolta più efficaci delle parole, un tratto di nervosismo, proprio di chi ostenta il risultato con spirito di rivalsa, più che con la serenità del vincente. Perché non c’è dubbio che sulle trivelle la sensazione è stata, nelle ultime settimane, di un profondo danno di immagine del governo, dalle dimissioni della Guidi all’indagine sul vicepresidente di Confindustria Ivan Lo Bello, arricchito da un romanzo di intercettazioni che alludono a legami della “cricca” con pezzi di governo.

C’è tutto questo nell’atteggiamento del premier ma – forse – il nervosismo si spiega anche con la consapevolezza che – dentro il responso delle urne – c’è un dato molto più complesso la leggere. A partire dal fatto che, se le comparazioni hanno un senso, con la sola eccezione del referendum sull’acqua del 2011, quello sulle trivelle, col 32 per cento dei votanti, è stato tra i più partecipati degli ultimi anni, se paragonato con quello del 2005 sulla fecondazione (quando il cardinal Ruini invitò alla astensione) e quello del 2003 sull’estensione dell’articolo 18 (quando all’astensione invitarono i Ds). Solo la politicizzazione dello scontro ha acceso la luce su un quesito pressoché incomprensibile per i più. Rilevante, anche, dall’analisi dei primi risultati che la più alta percentuale di votanti (e di sì) si è registrata nelle regioni toccate dal problema trivelle, con la Basilicata di Roberto Speranza unica regione che raggiunge il quorum col 50,4 – 19 punti più della media nazionale – e la Puglia di Michele Emiliano dove i votanti arrivano a quota 42. Proprio a Potenza, città di Speranza, ma anche città da dove parte l’inchiesta Tempa Rossa si raggiunge il record della vittoria dei sì col 58 per cento.

La lettura politica rivela anche una doppia fragilità nel dato di oggi. Una che chiama in causa gli oppositori di Renzi, inclini a politicizzare ogni questione nell’ambito della battaglia per logorare il premier. L’altra chiama in causa il premier. Perché il dato non è banale. Il 32 per cento milioni di votanti corrisponde a 14 milioni di voti, con l’80 per cento di sì. Voti che rappresentano una “massa critica” di opposizione a Renzi, che il premier non ha ridotto, ma forse cementato. E rappresentano una parte, in carne ed ossa, di quella opposizione che si troverà di fronte a ottobre, quando ci sarà una forte mobilitazione di tutti i partiti che stavolta non c’è stata: “Gli oltre 14 milioni di italiani che oggi hanno votato – dice il senatore della minoranza dem Federico Fornaro – sono largamente superiori a quelli della tanto decantata vittoria di Renzi alle europee e tra loro ci sono tanti elettori del PD”. A ottobre il premier compiere un bello sforzo di mobilitazione per battere, senza quorum, uno schieramento ben più largo di quello “no-triv”.

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