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Social network e big data, giù le mani dalla privacy

Il Garante della privacy ha chiesto che i cittadini siano informati in modo chiaro sull'uso che viene fatto dei loro dati. (Lettera43)

Il Garante della privacy ha chiesto che i cittadini siano informati in modo chiaro sull’uso che viene fatto dei loro dati. (Lettera43)

di Franco Moscetti, Lettera43 (21/03/2016)

Il web ormai ci ‘profila’. Difendiamoci prima che la salute diventi un affare commerciale.

Privacy è il termine inglese equivalente a riservatezza.

E rappresenta appunto il diritto al riserbo sulla propria vita privata: The right to be let alone («Il diritto di essere lasciati in pace»), secondo la formulazione del giurista statunitense Louis Brandeis che fu probabilmente il primo al mondo a formulare una legge sul tema, insieme con Samuel Warren (si veda il loro articolo ”The Right to Privacy”, in Harvard Law Review, 1890).
Nell’era dello sviluppo dei social network difendere la privacy è diventato sempre più difficile perché, pur nel rispetto della legge, i social sono straordinari canali di acquisizione di informazioni.
Durante la navigazione sul web ogni individuo lascia, il più delle volte inconsapevolmente, molti più dati di quanto si potrebbe pensare.
Che diventano poi facile preda degli uomini (o donne) di marketing e della comunicazione.

UN MALE NECESSARIO? Ognuno di noi viene “profilato” in base alle proprie abitudini alimentari, a come trascorre il tempo libero, ai luoghi che visita, alle abitudini familiari, alle idee politiche e a tutto quanto possa servire non solo alle aziende, ma anche a chiunque sia interessato al target che dopo la profilazione l’utente rappresenta.
C’è chi lo considera un “male necessario”, chi lo rifiuta drasticamente evitando di utilizzare i social e chi, pur frequentandoli, cerca di difendersi in qualche modo con gli strumenti (spesso pochi) che vengono messi a sua disposizione.

VIOLAZIONE SISTEMATICA. C’è però anche un’altra categoria di utenti: ovvero coloro che, pur lamentandosi della violazione sistematica della propria privacy, postano su Facebook, Twitter o Instagram (solo per citare i più diffusi) ogni genere di informazione privata o spesso più intima.
Si va dalla pubblicazione delle foto dei bambini (che dovrebbe essere vietata per definizione) ad alcune cosiddette osées (viaggiando per i social si incontrano non poche foto di donne in bikini o in atteggiamenti da attrici consumate, e anche alcuni uomini non sono da meno) alla pubblicazione di cose abbastanza intime rispetto alla vita privata.

QUANTE CONTRADDIZIONI. È abbastanza contraddittorio da un lato lamentarsi e dall’altro alimentare questo grande crogiuolo di informazioni con dati così sensibili.
Chissà perché ciò che spesso non si ha il coraggio di dire a un amico, a un’amica o a un familiare, non si ha problema a postarlo su un social sapendo che il post può diventare immediatamente preda dei webnauti.

I social hanno oltrepassato anche le mura del Vaticano

(© Ansa) Francesca Immacolata Chaouqui.

(© Ansa) Francesca Immacolata Chaouqui.

Paradossale è anche il fatto che le barriere della riservatezza siano cadute proprio nel momento in cui il legislatore si è sensibilizzato di più sul tema, agendo al riguardo.
Se prendiamo i temi socio/economici siamo ormai nel pieno di una confusa “glasnost” dove tutto viene messo in piazza da tutti non assumendo la trasparenza come obiettivo primario, ma ribaltando il paradigma per cui la “glasnost” di russa memoria era nata: l’abitudine generalizzata a sostituire al dibattito e alla discussione la propaganda, la retorica, il nascondimento dei problemi e delle responsabilità.

È purtroppo la sensazione che attanaglia chiunque segua attualmente i dibattiti social.

L’EMBLEMA DI VATILEAKS. Qualche anno fa sarebbe stato impensabile seguire attraverso internet ciò che sta per esempio accadendo nel cosiddetto caso “Vatileaks”.
Le mura vaticane per secoli avevano gelosamente custodito tutto ciò che riguardasse le più segrete cose del piccolo Stato nel cuore di Roma.
Oggi, grazie anche alla scelta di alcuni protagonisti della storia, è praticamente possibile seguirla online.
Tramite Twitter o Facebook Francesca Immacolata Chaouqui ribatte colpo su colpo a ogni intervento, articolo o particolare che riguardi lei o la sua posizione processuale.

SCENARIO INIMMAGINABILE. Sia chiaro che non sto dando un giudizio di merito. L’interessata non deve certo chiedere a me quale sia il comportamento da tenere nella circostanza per il quale ha fior di avvocati che la assistono.
Coerentemente con il tema che sto trattando mi limito soltanto a dire che quanto sta avvenendo non sarebbe stato immaginabile solo pochi anni fa.
Difficilmente l’opinione pubblica avrebbe avuto la possibilità di conoscere dettagli così intimi di personaggi vaticani senza “l’aiuto” dei social network o (forse meglio) senza una interpretazione piuttosto estensiva del concetto di privacy da parte di alcuni dei protagonisti del Vatileaks.

SOLO DEGRADO DEI COSTUMI? È chiaro come sul tema non ci sia una opinione condivisa. Alcuni potranno considerare questo aspetto un fatto molto positivo, altri, viceversa, ritenerlo una ulteriore conferma del degrado dei costumi che sta attraversando il nostro Paese e non solo.
Comunque la si pensi, si tratta di temi con i quali occorrerebbe confrontarsi e sui quali sarebbe bene aprire un dibattito prima che la situazione possa sconfinare in un tema etico non più correggibile.

La prossima frontiera saranno infatti i dati relativi alla nostra salute che potrebbero essere utilizzati a fini meramente commerciali.

BIG DATA INARRESTABILI. Il concetto di big data è ormai inarrestabile. Ma se questo termine è usato per rappresentare una raccolta di dati così estesa in termini di volume, velocità e varietà da richiedere tecnologie e metodi analitici specifici per l’estrazione di valore (cfr. Wikipedia) sarebbe bene che tutto ciò avvenga non a discapito di quel sistema valoriale che da sempre è alla base dell’esistenza degli esseri umani.

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