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Sharing economy Act, legalizzare tassando al 10%

Proposta di legge per Airbnb, Uber e co. L’Agcom valuterà le regole delle piattaforme e darà l’ok. Distinzione tra attività professionali e non.

di Gea Scancarello (Lettera 43)

Life is sharing

Life is sharing

Una proposta, infine, c’è.

È stata presentata il 2 marzo da un gruppo di parlamentari dell’Intergruppo innnovazione appartenenti a entrambi gli schieramenti, e rimarrà aperta per consultazione pubblica online fino al 16 maggio (a questo indirizzo). L’hanno chiamata – forse con poca fantasia – Sharing Economy Act, e riguarda in sostanza tutte le piattaforme che consentono di mettere a disposizione di altri, sotto pagamento, i propri beni e servizi.

REGOLE FISSE PER UBER E COMPAGNI. Si tratta insomma del tentativo di regolarizzare Airbnb, UberPop, Gnammo e compagni vari della cosiddetta economia della condivisione, facendoli uscire dalla zona grigia che ne ha in alcuni casi consentito uno sviluppo frenetico (e talvolta irregolare) o che ne ha al contrario sancito l’impossibilità a operare (UberPop, per esempio, dichiarato illegale dal tribunale di Milano a luglio 2015).

TOCCA ALL’AGCOM DECIDERE. La legge prevede che le piattaforme di sharing economy – 186 operative in Italia, secondo la recensione effettuata a Shareitaly – presentino all’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcom) un documento che indichi le proprie modalità operative e le condizioni contrattuali praticate agli utenti.

All’Agcom spetterà decidere se le modalità sono congrue, se violano le norme in altri settori, se sono necessarie modifiche e integrazioni, se è necessario che le società stipulino assicurazioni a protezione dei fruitori.

Se le modalità andrano bene, gli operatori (cioè Airbnb e compagni) saranno iscritti nel Registro nazionale delle piattaforme: riceveranno, insomma, il semaforo verde per operare.

NO TARIFFE FISSE, NO CONTROLLO OPERATORI. Meritoriamente, la legge specifica anche non si possono definire attività di sharing economy quelle in cui sia il gestore a stabilire tariffe fisse, che non sono ammessi operatori professionali, che in nessun modo i prestatori d’opera possono essere controllati e che in nessun caso i fruitori dei servizi possono essere costretti a cedere il loro diritto d’autore.

Precisazioni che sembrano essere fatte a misura di Uber Pop, la App per ‘tassisti fai da te’ che, attualmente, non potrebbe rientrare nel Registro. Nei Paesi in cui Uber Pop  è fuzionante è l’azienda californiana a decidere qual è il prezzo di ogni corsa, e non il singolo autista che offre il passaggio a negoziarlo. Non solo: moltissimi driver hanno denunciato scorrettezze da parte della società, dicendo di di essere costretti ad accettare un numero minimo di corse alla settimana  per non essere estromessi dal sistema.

Nel loro caso, insomma, la libertà e la flessibilità della sharing economy sarebbero in realtà soltanto un espediente retorico (e non il solo) per enfatizzare il lato ‘buono’ e innovativo del sistema.

TASSAZIONE AL 10% FINO A 10 MILA EURO. Gli introiti generati sulle piattaforme, per esempio affittando casa propria o una camera libera, saranno tassati con una aliquota del 10% fino ai 10 mila euro: saranno le stesse piattaforme a trattenerli, agendo come sostituto di imposta. I pagamenti dovranno essere unicamente digitali, dunque, per favorirne la tracciabilità.
Una volta superata la soglia, però, le attività non verranno più considerate come extraprofessionali, e saranno sommate agli altri redditi a fini fiscali. Quelli che hanno reso Airbnb la primaria fonte di sostentamento, magari affittando a ciclo continuo seconde e terze case, dovrebbero avere vita più difficile. Mentre chi cerca di arrotondare, magari dando passaggi (BlaBlaCar, ma anche Zego o la stessa UberPop) o cucinando per altri (Gnammo), potrebbe aver finito di avere grane con la legge.

NON TUTTE LE PIATTAFORME UGUALI. Ammesso, certo, che la proposta venga considerata e discussa. Ma anche che sia ritenuto verosimile che l’Agcom si faccia carico di stabilire, di caso in caso, quali sono i paletti.

Perché se è facile dire che noleggiare il proprio impianto stereo ai vicini per una festa per dieci euro o poco più non è certo un’attività professionale, molti casi sono più difficili da valutare. Improvvisarsi tassisti con UberPop può servire ad allargare i servizi a disposizione della cittadinanza e il mercato, ma certamente genera uno squilibrio competitivo con professionisti che hanno pagato la licenza e che sono sottoposti a molti vincoli; lo stesso si può dire di chi usa Airbnb per promuovere ‘professionalmente’ il proprio bed and brekfast.

RESTA ESIGENZA DI CAMBIARE SINGOLE NORME. Non è una motivazione sufficiente per decidere di bloccare le possibilità di crescità del settore – che, secondo le stime dei depositari, potrebbe generare 150 milioni di tasse all’anno per lo Stato già ora e fino a 3 miliardi nel 2025 – ma certamente implica una riflessione molto complessa, che passa per rivedere le normative (spesso vetuste) negli specifici settori (la legge sui trasporti che regola i taxi risale al 1992) e per valutarne le implicazioni sociali.

La proposta, insomma, è un buon punto di partenza, ma non ancora quello di arrivo.

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