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Ieri è morto a 89 anni uno dei più grandi filosofi del Novecento. Un realista dal volto umano

Matrix, i "cervelli in una vasca" di Putnam

Matrix, i “cervelli in una vasca” di Putnam

da Il Sole 24 Ore

Ieri è morto Hilary Putnam: e stavolta, l’espressione «uno dei più importanti filosofi americani del Novecento» non suona rituale né retorica. Putnam è stato un pensatore dai vasti interessi — basta scorrere i tre volumi dei suoi Philosophical Papers per rendersene conto — e dalla penna particolarmente felice. A differenza di molti suoi colleghi, anche quando espone argomenti ostici legati alla filosofia della matematica o del linguaggio rimane sempre una lettura piacevole. (Be’, quasi sempre).

Putnam era nato nel 1926 a Chicago, in una famiglia comunista e atea (benché la madre fosse ebrea, religione che poi egli stesso seguì). Insegnò per quasi tutta la vita ad Harvard, da cui si ritirò nel 2000, senza però abbandonare l’attività filosofica. Negli anni Sessanta partecipò alle lotte dei movimenti americani e criticò duramente la guerra in Vietnam: e benché negli anni seguenti il suo impegno politico andò scemando, non dimenticò mai l’ispirazione radicale e la sete di mutamento sociale che lo accompagnò in giovinezza — una sete che pervade anche i suoi scritti sulla democrazia e sull’etica.

Cercare di riassumerne il pensiero è un compito veramente arduo, vista la varietà e la complessità dei temi che lo attraversano. Putnam ha dato contributi fondamentali alla semantica, difendendo l’idea che «i significati non stanno nella testa» — cioè sono indipendenti dagli stati mentali degli individui. Buon matematico (ah, il sano legame fra scienza e filosofia…) ha riflettuto a lungo sullo status delle entità astratte, e si è dedicato alla teoria della computabilità.

Soprattutto, negli anni ha cercato di impostare una forma di realismo — che egli chiamò per un certo periodo “interno” — secondo cui ogni nostra esperienza dipende sempre da un dato schema concettuale: la realtà non si trova «là fuori» già pronta e data una volta per tutte, bensì è il risultato di un lungo processo di interazione con la nostra mente. (Ma a differenza dei relativisti assoluti o degli idealisti, si premurava sempre di spiegare che è il mondo — e non le nostre categorie — a pronunciarsi sulla verità o meno di un’asserzione. Come spiega in Reason, Truth and History (Ragione, verità e storia, Il Saggiatore, 1985, a cura di Salvatore Veca) se un individuo ritiene vero uno schema secondo il quale gli esseri umani sono in grado di volare, che si getti pure dalla finestra: l’impatto col suolo gli mostrerà subito che non tutto è “interpretazione” o “cultura”).

Matrix, i "cervelli in una vasca" di Putnam

Matrix, i “cervelli in una vasca” di Putnam

In un certo periodo è anche diventato celebre — per quanto può diventarlo un filosofo — a causa di un esperimento mentale riutilizzato nel 1997 dai fratelli Wachowski come fondamento di Matrix: la famosa ipotesi dei “cervelli in una vasca”. (Putnam ha sempre amato questi esperimenti: fra le sue pagine si trovano anche gatti robot e gemelli di terre diverse).

L’argomento è semplicissimo, una riedizione moderna del dubbio iperbolico di Cartesio. Immaginiamo uno scienziato pazzo che estrae un cervello dal corpo di un uomo e lo deposita in una vasca piena di liquido nutriente, collegandolo a una macchina che lo sollecita a piacimento. Stimolato nei punti giusti, il cervello continuerà tranquillamente a pensare di appartenere a un corpo e mangiare, andare al cinema, fare sesso e così via. Come possiamo distinguere questa esperienza dalla nostra? Siamo sicuri di non essere tutti cervelli in una vasca? La soluzione escogitata da Putnam per evitare questo scetticismo radicale (è lunghetta e ve la risparmio) non è mai apparsa del tutto convincente, ma lo spunto solleva una quantità di problemi interessanti.

Soprattutto a partire dagli anni Ottanta, Putnam si è sforzato di andare oltre la distinzione rigida fra filosofia analitica e filosofia continentale: vedeva bene il rischio della scolastica e dell’iper-tecnicismo della prima, e quello dell’oscurità gratuita della seconda. Reagì cercando di ridonare alla sua disciplina una virtù — oserei dire una rinnovata purezza — quasi socratica: una filosofia non per meri specialisti, ma capace di interrogarsi con passione e rigore sul senso complessivo della nostra esistenza.

Fedele a una concezione pluralista della razionalità, ha criticato la divisione netta fra fatti e valori, sostenendo che ogni descrizione del mondo dipende comunque da una prassi e da criteri legati a una comunità di riferimento. Una tesi che assume un colore morale: nella ricerca scientifica come nelle nostre azioni di ogni giorno dobbiamo affidarci a una ragione fallibile, eternamente in viaggio, il cui specchio politico è una democrazia matura e tollerante. Il “bene assoluto” non è raggiungibile, e ogni tentativo di perseguirlo si trasforma in fretta nel suo opposto. Non è un caso se un libro di Putnam del 1991 si chiama Realism with a Human Face (Realismo dal volto umano, Il Mulino, 1995, a cura di Eva Picardi) — un riferimento al “socialismo dal volto umano” di Dubček. Titolo particolarmente riuscito, perché fonde in poche parole le preoccupazioni metafisiche, etiche e sociali che hanno sempre attraversato il suo pensiero, fin dagli esordi.

L’aspetto di Putnam che mi ha sempre colpito di più, però, è la sua capacità di rivedere le proprie posizioni: ha cambiato idea diverse volte nel corso della sua carriera, a volte anche con molto coraggio, e attirandosi critiche di vario tipo. Possedeva due doti sommamente filosofiche che lo accomunano a un altro grande del pensiero scomparso da poco, Umberto Eco: una curiosità intellettuale inesausta e una luminosa ironia.

Pur prendendo molto sul serio tutti i problemi cui si dedicava, era come se riflettesse sempre con un sorriso — lo stesso che ricorre in quasi tutte le sue fotografie. E quando aprì il suo primo blog nel 2014, a ottantotto anni, non gli diede un titolo altisonante da trombone universitario. Lo chiamò semplicemente Sardonic comment. Aggiungendo che quelle pagine erano dedicate ai «commenti, non tutti sardonici, sull’effimero show filosofico».

I libri di Hilary Putnam disponibili in italiano:

  • Che cos’è la logica, Mondadori Università (2014)
  • La filosofia nell’età della scienza, Il Mulino (2012)
  • Filosofia ebraica, una guida di vita, Carocci (2011)
  • Fatto / Valore: Fine di una dicotomia, Fazi (2004)
  • Il pragmatismo: una questione aperta, Laterza (2003)
  • Mente, corpo, mondo, Il Mulino (2003)
  • Matematica, materia e metodo, Adelphi (1993)
  • Mente, linguaggio e realtà, Adelphi (1987)

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